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Araldica Eclesiastica

di Giorgio Aldrighetti

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 I simboli dei crociati e degli ordini equestri vennero quasi subito imitati dalla Chiesa, anche se gli enti ecclesiastici in periodo “prearaldico” disponevano già di segni distintivi, tanto che al sorgere di tale disciplina, nel sec. XII, queste figure assunsero gli smalti, ossia i colori, metalli e pellicce propri della scienza del blasone.

In quel periodo i primi stemmi ecclesiastici risultavano con lo scudo timbrato dalla mitria con le infule svolazzanti; con il passare del tempo si consoliderà invece alla sommità dello scudo il cappello prelatizio con i cordoni e le nappe.

Preme ricordare, altresì, che gli ecclesiastici sino a tempi recenti usavano il loro stemma di famiglia o gentilizio, molto spesso e ovviamente privo di simbologie religiose.

Per riconoscere le armi ecclesiastiche, quali “ornamenti esteriori” dello scudo, non si poteva usare l’elmo che indicava, di norma, la condizione militare, né, tantomeno, la corona che indicava lo stato nobiliare. Si scelsero, di conseguenza, i copricapi liturgici per timbrare gli scudi ecclesiastici anche se, da principio, gli scudi prelatizi – salvo quelli dei Papi – non figurano con ornamenti esteriori, distintivi di dignità; nel tempo appariranno anche il pastorale, il cappello con le nappe, il pallio ed altre insegne di gerarchia, tra le quali una o due spade a fianco o dietro lo scudo per i vescovi e gli abati che detenevano giurisdizione feudale.

papacolor3Di conseguenza, gli ornamenti esteriori degli scudi ecclesiastici sono la tiara, le chiavi, il gonfalone o basilica, la mitra, il pastorale, il cappello prelatizio, il pallio, la croce astile, il motto o la divisa, il bastone priorale o cantorale, il paternostro o rosario e le insegne cavalleresche, limitatamente, però, al Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, detto di Rodi, detto di Malta ed all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro.

A rigore, nell’Araldica Ecclesiastica non si dovrebbero usare i termini di scudo o di arme, essendo vietato ai chierici l’esercizio della milizia ed il porto delle armi. Perciò si dovrebbe sempre parlare di simboli, di figure allegoriche ed emblematiche della Chiesa. Fino a qualche tempo fa, poi, si riteneva che le diocesi, gli ordini religiosi, i capitoli delle cattedrali, i prelati avessero incominciato ad usare le insegne araldiche verso la metà del Duecento, circa un secolo dopo che feudatari e nobili avevano iniziato a far uso di scudi gentilizi; non si considerava, invece, che in Terrasanta l’araldica dei vessilli, dei gonfaloni e degli scudi degli ordini religioso – militari, in particolare per i Giovanniti, Templari e Teutonici, era già in piena fioritura, fin dagli albori delle Crociate.

    Goffredo di Crollalanza, 1) descrivendo gli ornamenti esteriori ecclesiastici, così annota:

 

“Nell’arme del Papa: la tiara sullo scudo; due chiavi, una d’oro, l’altra d’argento, legate d’azzurro, accollate in croce di Sant’Andrea e una croce a tre traverse in palo dietro lo scudo.
Nell’arme dei Cardinali: il cappello rosso e lo scudo accollato da una croce alta trifogliata in palo.
Nell’arme dei Patriarchi e Primati: la croce patriarcale e il cappello verde.
Nell’arme degli Arcivescovi: il cappello arcivescovile, la croce trifogliata e il pallio.
Nell’arme dei Vescovi: il cappello vescovile, la mitra di fronte a destra e il pastorale in palo a sinistra, volto all’infuori.
Nell’arme dei Prelati della Corte Romana: il cappello nero.
Nell’arme degli Abati mitrati secolari: la mitra inclinata a destra, e il pastorale in palo a sinistra, volto all’indietro.
Nell’arme degli Abati commendatari secolari: il cappello nero, la mitra inclinata a destra, e il pastorale a sinistra volto all’indietro.
Nell’arme dei Priori: il bastone priorale in palo.
Nell’arme dei cantori: il bastone cantorale in palo.
Nell’arme delle Badesse: il pastorale in palo volto a sinistra, e il rosario intorno allo scudo”.

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 Analizziamo ora gli ornamenti esteriori usati nell’Araldica Ecclesiastica.

La tiara

E’ il più insigne fra gli ornamenti esteriori ecclesiastici, emblema primario del papato. Copricapo extra-liturgico in uso, sino al pontificato di Paolo VI, solamente nel corso di grandi solennità ed un tempo nelle processioni, rappresenta la dignità del Sommo Pontefice nella sua doppia veste di capo supremo della tiarapapale3Chiesa e di sovrano dello Stato pontificio, mentre le chiavi simboleggiano la giurisdizione. Per tale motivo, alla morte di un Papa, si rappresentava l’arme della Chiesa con la sola tiara, senza le chiavi. Ha un’origine comune con la mitra, somigliando al copricapo frigio, usato alla corte persiana, divenuta poi l’insegna dell’imperatore di Bisanzio. Sembra venisse usata dal tempo del papa Costantino (708-715) come segno del potere temporale. Agli inizi assumeva la forma di un cono alto e acuminato, confezionata con stoffa bianca e con una fascia dorata che circondava l’orlo inferiore. Questo copricapo è da non confondersi dal camelaucum che si trasformò poi in mitra liturgica. Verso il X secolo, la fascia dorata della tiara divenne una corona, che nel XIII secolo sarà sormontata da punte dentellate, chiamata regnum.

Con Bonifacio VIII (1294-1303) la tiara mutò leggermente la forma e venne aggiunta una seconda corona, quando con la bolla Unam sanctam il Sommo Pontefice dichiarò la sua sovranità sopra il mondo; lo stesso Papa, poi, sembra, fu il primo a timbrare il proprio scudo gentilizio con la tiara, mentre per altri autori la tiara inizia a timbrare lo scudo papale solo con Giovanni XXII (1316- 1334).

La doppia corona assume, così, lo stesso significato dell’autorità pontificale ed imperiale in analogia della doppia corona dell’imperatore che portava sopra la mitra clericale il “diadema imperii”. Innocenzo III (1198-1216) indica, invece, la mitra “pro sacerdotio”, mentre la tiara “pro regno”.

La terza corona venne aggiunta, secondo alcuni autori, sotto il pontificato di Benedetto XI (1303- 1304), per altri con Clemente V (1305-1314), per altri, ancora, nel 1334, con Benedetto XII, per dimostrare che il papa rappresentava le tre Chiese trionfante, militante e purgante, ovvero il dominio sulle regioni del Cielo, della terra e degli Inferi, o ancora la triplice sovranità del capo della Chiesa, consistente nella sovranità spirituale sulle anime; regalità temporale sugli Stati romani; sovranità eminente su tutti i sovrani della terra e di qui il nome triregnum.

Numerosi studiosi, nei secoli, si sono sbizzarriti per interpretare il perché delle tre corone poste nella tiara. Elenchiamo, di seguito, diverse loro interpretazioni. Per alcuni, le tre corone della tiara figurano in analogia alle tre corone dell’Imperatore: tedesca di Aquisgrana, lombarda di Milano – Monza, romana di Roma. Per altri il papa porta le tre corone come prefetto dell’Italia, Illiria e Africa. Altri asseriscono che le ha come Patriarca, Pretore e Prefetto, o per rappresentare le tre lingue ebraica, greca e latina; o per simboleggiare la preminenza del Papa su tutti i sovrani, o perché chiamandosi “Servo dei Servi” si deve maggior onore a chi si umilia.

Vi è chi dice che la tiara rappresenta il Sommo Sacerdote, il Re e il Legislatore Universale, o l’autorità pontificia sulle tre parti antiche del mondo, l’Asia, l’Europa e l’Africa, colonizzate dai discendenti dei figli di Noè, Sem, Jafet e Cam o ancora che la corona posta al culmine della tiara rappresenterebbe la sovranità pontificia sugli arcivescovi, che avevano diritto a una mitra con due cerchi, e sui vescovi, la cui mitra portava solo un cerchio.

Il cerimoniale dell’incoronazione papale, tratto dal “Pontificale romano” del 1596, prevedeva, invece, che il cardinale primo diacono, nell’imporre la tiara sulla testa del Sommo Pontefice, gli ricordasse che la riceveva perché Padre dei Principi e dei Re, Rettore dell’orbe, Vicario del Salvatore Nostro Gesù Cristo in terra. Per altri la triplice corona simboleggerebbe il triplice ministero papale di sacerdote, di pastore e di maestro della Fede.

Un’altra interpretazione afferma che le tre corone della tiara corrisponderebbero ai tre principali attributi delle persone della Santissima Trinità, ovvero la Potenza del Padre, la Saggezza del Figlio e l’Amore dello Spirito Santo, mentre altri vi scorgono i simboli delle tre virtù teologali, che devono coesistere in grado eroico presso il Santo Padre, che vive normalmente in uno stato di santità: la Fede, la Speranza e la Carità.

Per altri, ancora, il triregno ricorderebbe le tre corone donate ai Pontefici da Costantino, Clodoveo e da Carlomagno o, ancora, il simbolo della triplice autorità dottrinale, sacramentale e pastorale; per altri, infine, il simbolo della potenza della Chiesa che, come quella di Cristo suo fondatore, si estende oltre la vita presente e quindi sulle cose terrene, infernali e celesti.

Per completezza d’esposizione osserviamo, inoltre, che in antiche raffigurazioni della Santissima Trinità solo Dio Padre viene rappresentato con una tiara, ma a cinque corone.

Il Papa il cui nome, secondo il de Beatiano, 2) sarebbe l’abbreviazione di “Pater Patrum”, riceveva la tiara dalle mani del cardinale primo diacono, come in antico, fuori della Basilica Vaticana, il giorno della sua solenne incoronazione dopo celebrata la Messa solenne, dinanzi al popolo. La portava poi nella solenne cavalcata con la quale si recava a prendere il possesso dell’Arcibasilica Lateranense, dal tempo in cui stabilì ordinaria dimora nel Palazzo Vaticano.

La tiara, contornata di tre corone sovrapposte, sormontata, dal XIV secolo, dal globo crucifero e munita di due infule, ora rialzate verso la tiara, ora volte al basso, ordinariamente caricate ciascuna da una crocetta patente, è stata smessa come copricapo da Paolo VI, che però la ha mantenuta come ornamento esteriore nello scudo personale.

007 Benedetto XVI mini Con il pontificato di Benedetto XVI (2005)
la Tiara non timbra più lo scudo papale essendo stata sostituita dalla mitria
che timbra anche lo stemma del suo successore Francesco (2013).

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Le chiavi

Rappresentano la piena autorità del Sommo Pontefice di amministrare i tesori della Redenzione, meritati da Nostro Signore Gesù Cristo, e di insegnare la sua dottrina con autorità, in memoria del potere soprannaturale di legare e sciogliere, conferito a Pietro ed ai suoi successori da Gesù Cristo.

Le chiavi, nelAraldica Ecclesiastica, appaiono nel XIII secolo, poste in palo e addossate, con gli ingegni verso l’alto, a destra ed a sinistra. Dal XIV secolo, figureranno, invece, poste in decusse, sopra lo scudo e nel tempo, invece, addossate.

Nella simbologia araldica la prima chiave, a destra, d’oro, allude al potere che si estende al regno dei cieli; la seconda, a sinistra, d’argento, simboleggia, invece, l’autorità spirituale del papato sulla terra. Il de Beatiano afferma che le due chiavi, poste diagonalmente una d’oro e l’altra d’argento con i loro legamenti azzurri, denotano l’autorità data da Cristo a San Pietro e Suoi Successori.

1875_3Gli ingegni, quasi sempre, figurano traforati a forma di croce, per simboleggiare che il Papa detiene la potestà di legare e sciogliere, in virtù della morte di Gesù Cristo, e sono in alto, volti verso il cielo, mentre le impugnature in basso, nelle mani del vicario di Gesù Cristo. Il cordone con le nappe che lega le impugnature delle chiavi allude, invece, al legame fra i due poteri. Il colore del cordone è stato generalmente d’azzurro, ma nel tempo si trovano anche cordoni di rosso o d’oro.

Sembra che il primo papa che ha accollato le chiavi al proprio scudo gentilizio sia stato Bonifacio VIII (1294-1303). Alla morte di un Sommo Pontefice, sul catafalco veniva collocata la sola tiara, in quanto le chiavi araldiche pontificie, durante la sede vacante, passano nell’arme del cardinale camerlengo di S. R. C., che le pone accollate sopra o dietro lo scudo, assieme al gonfalone, che cima lo stemma. Infatti sino alla elezione del nuovo pontefice è il cardinale camerlengo che deve amministrare la Chiesa.

Ma le chiavi non figurano solo nell’emblema dei Sommi Pontefici e del cardinale camerlengo, durante la sede vacante, ma anche, come evidenziato, assieme alla tiara, nell’arme della Santa Sede e dei vari istituti e dicasteri vaticani, delle nunziature e delegazioni apostoliche. Le chiavi sono presenti, altresì, nelle insegne proprie delle basiliche pontificie, assieme al Gonfalone o ombrello papale, chiamato comunemente “basilica”.

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Il gonfalone o basilica

Con il termine araldico di “basilica” si intende, infatti, il gonfalone papale a forma di ombrellone a gheroni rossi e gialli; con i pendenti tagliati a vajo e di colori contrastanti, sostenuto da un’asta di rosso a forma di lancia coll’arresto, è attraversato dalle chiavi pontificie, una d’oro e l’altra d’argento, decussate, addossate, gli ingegni, traforati a forma di croce, in alto, rivolti a destra e a sinistra, e legate da un cordone di rosso, terminante, d’ambo le parti, con una nappa dello stesso.

Anticamente tale baldacchino, a forma d’ombrellone, serviva per proteggere eminenti personaggi dalla pioggia o dal sole; successivamente venne utilizzato, invece, quale segno di particolare dignità ed onore e veniva posto di fronte al personaggio ragguardevole, in quanto previsto dal cerimoniale d’accoglienza. Si trovava, di conseguenza, nelle basiliche pontificie presenti in Roma, perché doveva essere tenuto pronto per ricevere il Sommo Pontefice, nel corso delle sue visite; per questo motivo, il gonfalone o ombrello ha assunto la denominazione di “basilica” ed è divenuto emblema primario per tutte le basiliche del mondo, maggiormente ricamato per le basiliche maggiori rispetto a quelle denominate minori.

La “basilica”, appare, quale figura araldica, per la prima volta nel XV secolo, in un sigillo, assieme alle chiavi pontificie, volendo così rappresentare il potere temporale della Chiesa. L’ombrello, anche se il Papa non lo usa quale insegna araldica, fa parte degli emblemi pontifici, essendo considerato insegna della gonfalone3Chiesa romana e del suo potere temporale. E’ presente, quindi, nell’arme del cardinale camerlengo di S. R. C., assieme alle chiavi, proprio per denotare che i poteri e la giurisdizione papale non cessano con la morte di un pontefice, poiché tali poteri sono stati affidati alla Chiesa fino alla fine dei tempi.

Gli emblemi araldici della “basilica” e delle chiavi, vengono usati dal Sacro Collegio Cardinalizio, dalla Camera apostolica e da istituti e seminari pontifici. Ricordiamo, anche, che l’art. 83 del Massimario della Consulta araldica del Regno d’Italia recita: “le famiglie che dettero Sommi Pontefici alla cattolicità, od ebbero il Vicariato od il generalato della Romana Chiesa, o ne furono privilegiate, possono usare l’ornamentazione araldica della così detta Basilica; cioè: il gonfalone della camera Apostolica accollato con le chiavi pontificie, cimandone lo scudo, e ponendolo in capo, secondo la tradizione, previo riconoscimento, caso per caso, preceduto dal parere della Commissione araldica romana”. I vessilliferi o gonfalonieri di S. R. C. ottennero, invece, la facoltà di caricare nel loro scudo gentilizio, il famoso ed ambito “palo della Chiesa”, di rosso, caricato dal gonfalone papale e dalle chiave pontificie.

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La mitria

La mitra, copricapo liturgico, è il simbolo primario dell’ordine episcopale; è insegna pontificale e di conseguenza, appartiene ai vescovi, che sono i veri pontefici, in quanto godono della pienezza del sacerdozio. La mitra, nella forma attuale, è un copricapo a soffietto, di forma rotonda, con le due parti terminanti in punta (cornua), e con la parte posteriore ornata di due infule. Fino alla metà del secolo XII, la mitra, che risultava di forma molto bassa, si portava con le punte sopra le orecchie; dal secolo XIV aumenterà, invece, in altezza e larghezza e verrà sempre di più ornata di ricami e di pietre preziose.

A seconda dell’uso, si distinguevano tre tipi di mitra: la mitra semplice, di seta o di tela di lino bianca, con le frange delle infule di rosso, che viene tuttora usata nelle funzioni dei defunti e nel Venerdì Santo; la mitra aurifregiata di tela d’oro, senza nessun altro ornamento, che veniva usata nell’Avvento e nella Quaresima, eccetto le domeniche Gaudete e Laetare e nelle vigilie e nella Messa e nei Vesperi alla cattedra e la terza, la mitra preziosa, ornata di ricami d’oro, seta e pietre preziose, con nelle infule ricamato lo scudo timbrato dal rispettivo cappello ecclesiastico, che veniva adoperata per le solennità, portandosi il prelato all’altare o nelle processioni e nelle benedizioni.

L’uso della mitra, come copricapo liturgico, non si trova documentato prima del X secolo e sembra che derivi dal berretto extra liturgico proprio dei Sommi Pontefici, di forma conica, senza essere divisa in due parti o corni. Per alcuni autori, di conseguenza, deriverebbe dalla tiara, modificata poi per divenire l’insegna dei vescovi, mentre la tiara rimase l’insegna principale dei soli romani Pontefici.

La prima testimonianza di concessione della mitra romana ad un vescovo si ha con Leone IX (1049 -1054) che nel 1049 la concesse all’arcivescovo Everardo di Treviri affinché egli ed i suoi successori se ne servissero per l’ufficio ecclesiastico. Due anni dopo lo stesso romano Pontefice la concesse per determinate occasioni anche ai cardinali di Bamberga e Besancon. Ben presto numerosi altri vescovi la ottennero, divenendo, così, la loro insegna principale.

Il papa Alessandro III, nel 1063, concesse l’uso della mitra anche all’abate Engelsino del monastero di Sant’Agostino in Canterbury; successivamente numerosi altri abati ne ottennero la concessione.

Nel tempo, i romani Pontefici concessero l’uso dei mitra anche ai Protonotari e ad altri prelati, ma bisogna chiarire che in questi casi la mitra veniva assegnata per privilegio, in quanto tali prelati godevano solo dei diritti pontificali “ad usum” e non “ad exercitium”, prerogativa questa che spetta solo agli insigniti dell’ordine episcopale.

Per il valore simbolico della mitra, il papa Innocenzo III (1198-1216) afferma che la mitra significa la conoscenza dell’Antico e del Nuovo testamento. I corni sono i due testamenti: le infule sono, invece, lo spirito e la lettera.

L’Enciclopedia Cattolica, parlando della mitra, descrive che è gemmata per chi ha l’ordine vescovile, posta di fronte e cima lo scudo a destra della croce; è bianca e posta di profilo per gli abati aventi giurisdizione, inclinata a sinistra per gli altri; è d’oro per i protonotari; bianca per gli altri che ne hanno il privilegio e posta al centro al luogo della croce.

Goffredo di Crollalanza afferma che nell’araldica la mitra serve da cimiero e i diversi ecclesiastici la portano come segue:

 

mitriapiumeparadisoAbati secolari: di profilo;
Abati regolari: inclinata a destra;
Abati commendatari: di profilo a destra;
Canonici mitrati: di profilo a destra;
Vescovi: di fronte a destra;
Arcivescovi: di fronte nel mezzo.

 

La mitra, quale figura araldica caricata in uno scudo, rappresenta dignità ecclesiastica o premio di virtù.

Descriviamo, di conseguenza, lo stemma di Sua Eccellenza Reverendissima mons. Giovanni Battista Piasentini, LXXVII° vescovo di Chioggia, dal 1952 al 1976, l’ultimo della serie dei vescovi clodiensi a portare la mitra ed il pastorale nella Sua arme, in quanto con “L’Istruzione sulle vesti, i titoli e gli stemmi dei cardinali, dei vescovi e dei prelati inferiori” del 1969, tali insegne vennero soppresse dagli scudi:

“Partito: nel 1°: campo di cielo a tre monti di verde moventi dalla punta, quello di mezzo più alto e sostenente un cestello al naturale, ripieno di erba, di verde e sormontato da una colomba di bianco nell’atto di beccare il cibo per distribuirlo (Carità); i laterali sormontati da un cipresso al naturale (Fede e Speranza) (Religione delle Scuole di carità, Padri Cavanis); nel 2°: d’azzurro al fuoco ardente di rosso, sormontato da una stella (6) d’oro; al capo di San Marco: di rosso al leone passante d’oro, alato e nimbato dello stesso, tenente con la zampa anteriore destra il libro aperto d’argento recante le parole nella prima facciata, in quattro righe, PAX TIBI MARCE, nella seconda facciata, similmente in quattro righe, EVANGELISTA MEUS, con la scritta in lettere maiuscole romane di nero”.

007 Benedetto XVI mini Con il pontificato di Benedetto XVI (2005)
la Tiara non timbra più lo scudo papale essendo stata sostituita dalla mitria
che timbra anche lo stemma del suo successore Francesco (2013).

[/vc_column_text][/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Sezione 6″ tab_id=”1458513128234-dbe0c586-4b34″][vc_column_text]Il pastorale

Il pastorale, come già ricordato per la mitra, è l’emblema della dignità pontificale. Il pastorale, in origine, si componeva di un’asta di legno o di ferro, cimata da una croce; dal secolo XI il bastone venne munito di un riccio e si cominciarono ad usare metalli preziosi, quali l’argento e l’oro e ad adornarlo con pietre preziose e smalti. In origine, il pastorale serviva come bastone per gli evangelizzatori, inviati dalla Chiesa; nel V secolo lo si trova in uso presso alcuni abati e Sant’Isidoro di Siviglia, nel 633, in un decreto del IV Sinodo toledano, lo descrive come insegna della giurisdizione dei vescovi.

Interessante è a tal punto osservare che i Sommi Pontefici non portano il pastorale; il motivo risale ad una leggenda del X secolo, riportata da San Tommaso d’Aquino, secondo la quale il vescovo di Roma non ha il pastorale perché Pietro inviò il suo per risuscitare uno dei suoi discepoli; questi si tenne il pastorale e più tardi divenne vescovo di Trier. A ricordo di questo avvenimento il papa porta il pastorale solo nella diocesi di Trier, e mai altrove, e questo per significare che il suo potere non ha confini, poiché il riccio ricurvo significa una limitazione dei poteri.

Ricordiamo, altresì, che i cardinali, anche quando non erano consacrati vescovi, avevano l’uso legittimo del pastorale e della mitra; lo stesso privilegio è riconosciuto agli abati e ai prelati “nullius” dal canone 325 del codice di diritto canonico del 1917 e agli altri abati che abbiano ricevuto la benedizione abbaziale, invece, dal canone 625.

Il pastorale in uso ai vescovi, secondo le antiche norme del Cerimoniale dei vescovi, doveva essere dorato, mentre quello degli abati argentato e munito del “sudario”, piccolo drappo di seta bianca che pendeva dal nodo, posto sotto il riccio, per non consentire alla mano sinistra di impugnare direttamente il pastorale, in quanto gli abati non avevano il diritto di portare i guanti, prescritti, invece, per i soli vescovi.

Goffredo di Crollalanza afferma che nell’araldica il pastorale cima lo scudo e i diversi ecclesiastici lo portano come segue:

Abati secolari: col pastorale volto all’indietro;
Abati regolari: col pastorale a sinistra, volto all’indietro per dimostrare che non hanno giurisdizione spirituale fuori dei loro chioschi;
Abati commendatari: col pastorale a sinistra volto all’indietro;
Vescovi: col pastorale a sinistra volto all’infuori;
Arcivescovi: col pastorale a sinistra volto all’infuori.

Il Regolamento tecnico araldico della Consulta araldica del regno d’Italia, approvato con R. D. n. 234 del 13 aprile 1905, all’art. 68 recita che gli Ecclesiastici possono usare le insegne tradizionali della loro dignità; segue una nota esplicativa del barone Antonio Manno, commissario del re presso la Consulta, che ricorda che la posizione del pastorale indica la giurisdizione e pende all’infuori per i prelati secolari, mentre è rivolto all’interno per i regolari.

radossi3Piero Guelfi Camajani, 3) parlando del pastorale, afferma che lo si pone nello scudo in palo o dietro accollato. Quando il pastorale è posto dentro lo scudo indica dignità ecclesiastica, se è posto in palo accollato dietro lo scudo indica, invece, il grado della carica prelatizia. E continua osservando che il vescovo porta il pastorale d’oro accollato in palo sulla sinistra dello scudo. L’arcivescovo, la croce doppia o patriarcale detta anche di Lorena, trifogliata d’oro in palo dietro lo scudo. Il cardinale, la croce latina trifogliata d’oro come sopra, il papa, la croce tripla. L’abate secolare, l’abate regolare e l’abbadessa portano il pastorale d’argento accollato in palo dietro lo scudo; il Priore e la Priora, infine, il bastone pastorale simile al bordone in palo dietro lo scudo.

L’Enciclopedia Cattolica, descrivendo il pastorale, annota che è d’oro per l’Ordine vescovile, posto a sinistra della croce e volto all’infuori, d’argento nella stessa positura per gli abati generali e abati nullius dioeceseos; volto all’interno per gli abati aventi giurisdizione nel proprio monastero; inclinato a sinistra per gli altri.

Il pastorale, secondo alcuni autori, è il simbolo della Fede, di cui il vescovo ne è l’interprete; la forma, terminante a riccio aperto, simboleggia la potenza celeste aperta sulla terra, la comunicazione dei beni divini e il potere di creare e ricreare gli esseri; per altri, la curvatura verso il popolo rappresenta il simbolo della cura pastorale; l’asta diritta, il simbolo della guida e della ferma amministrazione e la punta inferiore il simbolo dello stimolo e della correzione o, ancora, l’asta è diritta per reggere e governare con rettitudine il gregge; curva in cima per trarre a sé le pecorelle che si allontanano, acuto in punta per trafiggere i lupi, ossia i nemici della Chiesa. Nell’antico “Pontificale Romano” il profondo simbolismo del bastone pastorale viene, infatti, così espresso: riunisci insieme il povero che pellegrina per il mondo, con riguardo al riccio ricurvo; rianima il debole, il malato e il peccatore, con riguardo all’asta o bastone; sollecita il lento, il pigro e il negligente, con riguardo alla punta inferiore. E’, di conseguenza, simbolo di un’autorità di origine divina.[/vc_column_text][/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Sezione 7″ tab_id=”1458513950297-ce3c1f53-29fc”][vc_column_text]

Il cappello

In araldica il cappello ecclesiastico è l’ornamento esteriore maggiormente usato per indicare il grado di dignità, timbrando i prelati il proprio scudo con il cappello che sta in luogo dell’elmo.

Il Moroni, 4) parlando dei cappelli prelatizi, afferma che nel 1245, nel corso del Concilio di Lione, il papa Innocenzo IV (1243-1254) concesse ai cardinali un cappello di rosso, quale particolare distintivo d’onore e di riconoscimento tra gli altri prelati, da usarsi nelle cavalcate in città. Lo prescrisse di rosso per ammonirli ad essere sempre pronti a spargere il proprio sangue per difendere la libertà della Chiesa e del popolo cristiano. Ed è per questo motivo che dal XIV secolo i cardinali timbrano il loro scudo con un cappello di rosso, ornato di cordoni e di nappe dello stesso colore.

Blasoniamo, di conseguenza, l’arme di Sua Eminenza Reverendissima il signor cardinale Marco Cè, patriarca emerito di Venezia, che porta il cappello cardinalizio di rosso e carica, nello scudo, il capo patriarcale di Venezia:

“D’azzurro a due stelle d’oro (6), poste in fascia, accompagnate in punta da un giglio dello stesso; al capo patriarcale di Venezia: d’argento al leone passante, alato e nimbato, tenente con la zampa anteriore destra il libro aperto recante le parole nella prima facciata, in quattro righe, PAX TIBI MARCE, nella seconda facciata, similmente in quattro righe, EVANGELISTA MEUS, il tutto al naturale, con la scritta in lettere maiuscole romane di nero. Lo scudo, accollato ad una croce astile patriarcale d’oro, trifogliata, posta in palo, è timbrato da un cappello con cordoni e nappe di rosso. Le nappe, in numero di trenta, sono disposte quindici per parte, in cinque ordini di 1, 2, 3, 4, 5”.

Sempre il Moroni aggiunge che i cappelli cardinalizi erano di quattro tipi: il primo, appena ricordato, si chiamava galero o cappello pontificale, perché accordato dal Sommo Pontefice; era di panno di rosso, con una tesa molto larga e trapassata da due cordoni che terminavano con due fiocchi che, agli inizi, venivano annodati sotto il mento, oltre ai due fiocchi laterali che sporgevano dalla tesa o cupolino; il secondo, chiamato cappellone o parasole, era di seta cremisi, con due fiocchi laterali al cupolino ed un altro all’estremità dei due cordoni, ma non si portava nel capo, bensì veniva sostenuto dal maestro di camera del cardinale, per riparare dal sole il porporato, nelle processioni di canonizzazione ed in altre solenni liturgie; il terzo, chiamato cappello rosso piccolo o usuale di feltro, è della forma di quello degli ecclesiastici, venendo sostenute le tre ali da cordoncini d’oro, ed infine il quarto, chiamato cappello nero, di feltro, della forma di quello degli altri ecclesiastici, con la sola distinzione di una fettuccia rossa con ricami in oro, attorno al cupolino, e usato dai cardinali quando portavano la talare nera.

giovannicheli3Il galero, che nel tempo aveva perso la primitiva forma, risultava assai piatto e veniva consegnato al neoeletto cardinale dal Sommo Pontefice, nel corso del concistoro pubblico. Veniva, però, in pratica usato solo durante il funerale del porporato e dopo appeso presso la tomba. In araldica il cappello di rosso che timbra lo scudo cardinalizio appare agli inizi del XIV secolo, come si può osservare nella cattedrale di Siena, nella tomba del cardinale Petroni, deceduto nel 1313. L’uso divenne comune nel XV secolo, con la graduale scomparsa della mitra nello stemma dei cardinali.
card. Scola patriarca VeneziaI fiocchi non erano definiti; così, nel tempo, si possono osservare cappelli cardinalizi con uno, tre, quattro o sei fiocchi per lato, al termine dei cordoni. Il numero dei fiocchi diviene, d’uso comune, disposto in quindici per parte, in cinque ordini, di 1, 2, 3, 4 e 5, sotto il pontificato di Pio VI (1775-1779) e confermato nel 1832, con il Decreto della S. Congregazione Cerimoniale del 9 febbraio, dove si recita che si mantenga il numero dei fiocchi, da collocarsi per ciascuno dei due fianchi dello stemma degli eminentissimi padri cardinali, portato a quindici da non molti anni, e sia a tutti proibito qualunque numero ad esso superiore.
angelodallacqua3Con la Costituzione apostolica Militantis Ecclesiae regimini del 19 dicembre 1644 Innocenzo X ordinò, invece, a tutti i Cardinali di S. R. C., allo scopo di costruire l’unità e l’eguaglianza del sacro collegio, di rimuovere dai loro sigilli e da qualsiasi loro insegna, comunemente chiamata stemma, le corone, i segni e tutti gli attributi di origine secolare, ad eccezione di quelle che sono all’interno dello scudo dell’arme della loro famiglia come parte essenziale e integra dello stemma stesso, restando insigniti e decorati del solo cappello rosso, risplendente del colore medesimo del sangue prezioso di Cristo. Il galero o cappello cardinalizio venne abolito da Paolo VI.[/vc_column_text][/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Sezione 8″ tab_id=”1458558363454-69e2c906-9f4a”][vc_column_text]

Passando ai cappelli dei vescovi, sempre il Moroni descrive che i patriarchi, gli arcivescovi e i vescovi, benché religiosi, usano due cappelli, l’usuale di feltro nero nella forma di quello degli ecclesiastici e lo adoperano sempre quando incedono con abito corto, o prelatizio, ed il semipontificale di seta color verde della forma di quello dei cardinali, che adoperavano nelle cavalcate e nelle sacre funzioni vestiti di cappa, o mantelloni, con cordoni e fiocchi di egual colore. I patriarchi nel cappello nero usano i fiocchi di seta verde con oro frammischiato, gli arcivescovi e vescovi la semplice fettuccia e fiocco di seta verde. Continua sempre il Moroni affermando che l’origine e l’uso dei cappelli verdi adoperati dai patriarchi, arcivescovi e vescovi, e collocati nei loro stemmi gentilizi, si vuole derivato dalla Spagna, dal quale regno, pretende inoltre il p. Menestrier, che derivasse l’uso del cappello per tutti i prelati.

Per quanto riguardo il numero dei fiocchi, il Moroni continua descrivendo che anticamente si usava solo quello che riuniva il cordone sotto al mento, poi ne vennero adottati due, quindi in progresso si accrebbero, per cui si osserva che dai due cordoni dei patriarchi, e nunzi apostolici, comunque fregiati della dignità episcopale, ne pendono quattro per parte, contenente ognuno dieci fiocchi, e da quelli degli arcivescovi e vescovi tre dai due lati, cioè sei fiocchi per cadaun cordone.

Descrivendo il cappello dei prelati, sempre il Moroni osserva che i prelati della romana Chiesa usano due cappelli di color nero, cioè l’usuale di feltro, come quello di tutti gli ecclesiastici, ed il pontificale, o semipontificale di panno nero foderato di seta paonazza o cremisi, della stessa forma di quello dei vescovi, il primo con fettuccia e fiocco di seta rosso, paonazzo o verde, a tenore del grado, o del collegio di appartenenza, e il secondo con cordoni simili, con fiocchi paonazzi o misti degli stessi colori paonazzo e nero, a seconda della specie dei prelati. Ricorda, infine, che i Protonotari apostolici partecipanti e soprannumerari, a mente del Decreto del 17 febbraio 1617 della S. Congregazione dei Riti, sotto il pontificato di Paolo V, hanno la facoltà di usare il cappello con gli ornamenti paonazzi; parimenti gli uditori di Rota usano il cordone paonazzo nel cappello, come dal breve del Sommo Pontefice Alessandro VII, emanato nel 1655.

Interessante è anche riportare cosa annota il de Beatiano nel suo L’Araldo veneto overo universale armerista, stampato in Venezia nel 1680, sempre per i cappelli ecclesiastici.

marcoceInfatti, descrive che i Cardinali portano per marca di così cospicua dignità sopra lo scudo delle loro arme il pileo di color rosso con cordoni allacciati in cinque ordini che formano quindici nappe, o fiocchi, cioè uno, due, tre, quattro e cinque dello stesso colore per ciascun lato; furono questi istituiti in luogo dei Senatori Romani e rappresentano la Potestà del Re sopra tre Duchi e quella dei Primati sopra tre Arcivescovi.

stemmadiunpatriarc3
I Patriarchi portano similmente sopra i loro armeggi il cappello di color verde, foderato di porpora con dieci nappe, o fiocchi, per parte con la croce a tre bracci; di questi furono eletti nella Chiesa quattro, che sono il Costantinopolitano, l’Antiocheno, l’Alessandrino e il Gerosolimitano in luogo dei Consoli Romani.

stemmadiunarcivescovo3

stemmadiunvescovo3Gli Arcivescovi, o Metropolitani, portano per segno della loro dignità un cappello verde con cordone rosso con dieci fiocchi per parte, come i Patriarchi, e sotto di esso una croce a due branchi. Sono questi uguagliati ai Duchi, perché come quelli hanno sotto di sé molti Conti, così questi hanno pure molti Vescovi.

I Vescovi tengono per marca episcopale un cappello verde allacciato a sei nappe e una croce sotto con mitra e baculo, sormontati allo scudo cioè ai lati, o angoli di quello; rappresentano questi i Conti.

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stemmadiabatenullius3stemmadiunaabadessa3

Gli Abati portano per segno del loro ufficio la mitra e baculo sopra lo scudo delle loro arme; sono questi in luogo dei Tribuni dei Soldati.

 

I Priori portano dietro allo scudo un bastone a guisa di bordone con una punta; rappresentano i Primipili.

I Canonici canonicocolor3portano sopra lo scudo delle loro arme il capperone di pelle di vaio fimbriato a code dello stesso; questi sono uguagliati per i Centurioni.

Gli Arcipreti portano sopra lo scudo una tunica bianca; rappresentano i Tribuni della plebe.

L’abate Vincenzo Coronelli, nel suo Blasone veneto, 5) riportando anche i disegni delle dignità ecclesiastiche, per i stemmadiabatenullius3.gifCardinali prevede: il cappello di rosso con cordoni e 10 fiocchi dello stesso colore per parte, disposti 1, 2, 3 e 4, mentre per i Patriarchi porta, invece, il cappello di verde con cordoni e 10 fiocchi, sempre dello stesso colore per parte, disposti 1, 2, 3 e 4.

Goffredo di Crollalanza, parlando dei cappelli araldici ecclesiastici, annota che il cappello da abate è nero, da cui scendono due cordoni, che si dividono da ciascun lato in un nodo e tre fiocchi, disposti 1 e 2. Per il cappello da arcivescovo, invece, cappellanogreco3descrive che è verde, con i cordoni a due nodi e 10 fiocchi per parte disposti 1, 2, 3 e 4; che si è iniziato ad usare dal XVI secolo. Informa, altresì, che qualche autore pretese che i cordoni dovessero essere intrecciati d’oro, ma ciò venne praticato da pochi.

Passando al cappello da cardinale recita che è rosso, guarnito di due lunghi cordoni che s’intrecciano con tre nodi ed hanno cinque file di fiocchi da ciascuna parte, nell’ordine di 1, 2, 3, 4 e 5, per un totale di 15 fiocchi per parte. Continua affermando che nel XIV secolo si vedono cappelli cardinalizi scolpiti sulle tombe con soli due fiocchi per lato o, sempre nel tempo, anche con 12 fiocchi per lato disposti 1, 1, 2, 2, 3 e 3 o ancora in affreschi con 20 fiocchi, quest’ultimi, forse per materiale ignoranza degli esecutori.

Per il cappello da patriarca annota, invece, che è simile a quello d’arcivescovo, mentre quello da prelato della Corte Romana è simile a quello d’abate. Per il cappello da protonotario apostolico scrive che è nero, ma con i fiocchi di color violetto, in numero di tre per parte ed, infine, per il cappello da vescovo, scrive che è verde, con un solo nodo e tre ordini di fiocchi per lato, disposti 1, 2 e 3, informando, però, che non sempre i vescovi si accontentarono di soli sei fiocchi e spesso ne posero 10 o 15 come gli arcivescovi.

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Riportiamo ora, tratti da: Regolamento tecnico araldico della Consulta araldica del regno d’Italia, approvato con R.D. 13 aprile 1905, n. 234, opera del Senatore Barone Antonio MANNO, Commissario di Sua Maestà il re presso la Consulta araldica e dai RR. DD. 7 giugno 1943 nn. 651 e 652, Ordinamento dello Stato Nobiliare Italiano e Regolamento per la Consulta araldica del regno, gli stemmi ecclesiastici, avvertendo che “L’Istruzione sugli abiti, i titoli e gli stemmi dei Cardinali, dei Vescovi e dei Prelati”, datata Città del Vaticano, 31 marzo 1969, a firma dell’em. mo e rev. mo signor Cardinale Segretario di Stato Cicognani, per quanto riguarda gli stemmi ecclesiastici, all’art. 28, così delibera: E’ consentito l’uso dello stemma da parte dei Cardinali e dei Vescovi. Lo scudo dello stemma dovrà tener conto delle regole dell’araldica ed essere semplice e leggibile. Si sopprime nello stemma la riproduzione del pastorale e della mitria

Stemma Cardinalizio.

 


Gli eminentissimi e reverendissimi signori Cardinali di Santa Romana Chiesa timbrano lo scudo con il cappello, cordoni e nappe (fiocchi) di rosso. I fiocchi, in numero di trenta sono disposti quindici per parte, in cinque ordini di 1, 2, 3, 4, 5.


 

Stemma del Cardinale camerlengo

 

L’eminentissimo e reverendissimo signor Cardinale Camerlengo di Santa Romana Chiesa, porta lo stesso cappello degli altri Cardinali, ma timbrato, durante munere, ossia durante la sede vacante apostolica, dal gonfalone papale o stendardo papale, chiamato altresì Basilica. Il gonfalone a forma di ombrellone a gheroni rossi e gialli con i pendenti tagliati a vajo e di colori contrastati e sostenuto da un asta a forma di lancia coll’arresto ed è attraversata dalle chiavi pontificie, una d’oro e l’altra d’argento, decussate, addossate, con gli ingegni rivolti verso l’alto, legate di nastro di rosso.


 

Stemma Patriarcale

 

Gli eccellentissimi e reverendissimi Patriarchi timbrano lo scudo con il cappello, cordoni e nappe di verde con fili d’oro. I fiocchi, in numero di trenta sono disposti quindici per parte, in cinque ordini di 1, 2, 3, 4, 5.


 

Stemma Arcivescovile

 

Gli eccellentissimi e reverendissimi Arcivescovi timbrano lo scudo con il cappello, cordoni e nappe di verde. I fiocchi, in numero diventi sono disposti dieci per parte, in quattro ordini di 1, 2, 3, 4.


 

Stemma Vescovile

 

 

Gli eccellentissimi e reverendissimi Vescovi timbrano lo scudo con il cappello, cordoni e nappe di verde. I fiocchi in numero di dodici sono disposti sei per parte, in tre ordini di 1, 2, 3.


 

Stemma dei Prelati domestici di Sua Santità
(ora Prelati d’onore di Sua Santità )

I reverendissimi Prelati d’onore di Sua Santità timbrano lo scudo con il cappello, cordoni e nappe di paonazzo. I fiocchi in numero di dodici sono disposti sei per parte, in tre ordini di 1, 2, 3.


 

Stemma dei Protonotari apostolici.

I reverendissimi Protonotari apostolici di Sua Santità timbrano lo scudo con il cappello, cordoni e nappe di paonazzo. I fiocchi in numero di dodici sono disposti sei per parte, in tre ordini di 1, 2, 3.


 

Stemma dei Camerieri d’onore di Sua Santità
(ora Cappellani di Sua Santità)

I reverendissimi Cappellani di Sua Santità timbrano lo scudo con il cappello di nero, cordoni e nappe di paonazzo. I fiocchi in numero di sei sono disposti tre per parte, in due ordini di 1, 2.


 

Stemma
Abbazia, Abate Nullius e Abadessa

 

 

 


 

Ricordiamo altresì che gli Abati Mitrati timbrano lo scudo con il cappello, cordoni e nappe di nero. I fiocchi in numero di dodici sono disposti sei per parte, in tre ordini di 1, 2, 3.

Stemma di un Presbitero


 Gli Ordini e le Congregazioni religiose
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 Il dettato dell’art. 39 del Regolamento tecnico araldico della Consulta araldica del regno d’Italia, approvato con R. D. n. 234 del 13 aprile 1905, lo ritroviamo eguale anche nell’art. 92 del Regolamento per la Consulta araldica del regno d’Italia, approvato con R. D. n. 652 del 7 giugno 1943.

L’Enciclopedia Cattolica, descrivendo il cappello e i fiocchi, quali ornamenti di dignità, annota che il cappello cima lo scudo, sostituendo l’elmo degli stemmi nobiliari, sovrastando agli ornamenti di giurisdizione e d’ufficio. I fiocchi scendono ai lati dello scudo disposti a cono.

Per il cardinale il cappello – cimato della “basilica” per il cardinale camerlengo – e i fiocchi sono di rosso e questi in numero di trenta, disposti quindici per parte, in cinque ordini di 1, 2, 3, 4, 5.

Per i patriarchi il cappello è verde ornato di nastro dello stesso colore e fili d’oro e i fiocchi in numero di trenta con la stessa disposizione che per il cardinale.

Per gli arcivescovi e vescovi immediatamente soggetti è verde con cordone e fiocchi verdi in numero di venti, dieci per parte su quattro ordini; così per il vescovo, che ne ha dodici, sei per parte, su tre ordini; per i protonotari partecipanti e ad instar è paonazzo con cordoni e fiocchi cremisi in numero di dodici, sei per parte, su tre ordini; mentre è nero con fiocchi neri per i protonotari onorari.

Per i prelati di fiocchetto – maggiordomo, vicecamerlengo, uditore generale e tesoriere generale della rev. Camera apostolica – il cappello è paonazzo con venti fiocchi cremisi , dieci per parte, su quattro ordini.; è paonazzo per i prelati domestici con dodici fiocchi dello stesso colore, sei per parte su tre ordini; verdi per il reggente della cancelleria.

Il cappello è nero per i camerieri e i cappellanogreco3cappellani segreti con fiocchi paonazzi in numero di dodici, sei per parte su tre ordini; neri, di egual numero e disposizione, per gli abati, vicari generali, arcipreti, vicari foranei; in numero di sei a due ordini per i beneficiati – con fili d’oro, per i cappellani militari e di Corte – e per i priori, i guardiani, i rettori.

Arthur Charles Fox–Davies 6) nella sua tavola di Esempi di araldica ecclesiastica per i Patriarchi porta il cappello di verde, con cordoni e fiocchi di verde, intrecciati d’oro, in numero di trenta, disposti quindici per parte, in cinque ordini di 1, 2, 3, 4 e 5, mentre per gli Abati mitrati e prevosti porta il cappello di nero, con cordoni e fiocchi dello stesso colore, disposti tre per parte, in due ordini di 1, 2.

Carl-Alexander von Volborth, 7) parlando dell’araldica nella Chiesa Cattolica Romana, porta i disegni di tutte le dignità ecclesiastiche.

[/vc_column_text][/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Sezione 12″ tab_id=”1458583871666-694f70fa-87d5″][vc_column_text]

In particolare, per le armi di un patriarca porta lo scudo timbrato da un cappello di verde, con cordoni e fiocchi dello stesso colore, in numero di trenta, disposti quindici per parte, in cinque ordini di 1, 2, 3, 4 e 5.

Ricordiamo, a tal proposito, che la Venerabile Curia Patriarcale di Venezia ci ha affidato l’incarico dell’ideazione, blasonatura ed esegesi dello stemma del nuovo patriarca di Venezia, Sua Eccellenza Reverendissima monsignor Angelo Scola, che ha preso possesso della cattedra di San Marco il 3 marzo 2002. Riportiamo, di conseguenza, quale atto di filiale devozione, la blasonatura dello stemma del patriarca Angelo: “D’azzurro alla barca all’antica, d’oro, munita di un solo albero centrale cimato dalla crocetta, dello stesso, l’albero unito a quattro sartie d’oro, due e due in sbarra ed in banda, e ornato, sotto la crocetta dalla fiamma desinente in tre code, sventolante in banda, d’argento, la barca con due bandiere all’antica a poppa, d’argento, astate d’oro, la barca sostenuta dal angeloscola3mare di azzurro ondato d’argento e accompagnata nel canton destro del capo dalla stella di otto raggi, d’oro; al capo patriarcale di Venezia: d’argento al leone passante, alato e nimbato, tenente con la zampa anteriore destra il libro aperto recante le parole nella prima facciata, in quattro righe, PAX TIBI MARCE, nella seconda facciata, similmente in quattro righe, EVANGELISTA MEUS, il tutto al naturale, con la scritta in lettere maiuscole romane di nero. Lo scudo, accollato ad una croce astile patriarcale d’oro, trifogliata, posta in palo, è timbrato da un cappello con cordoni e nappe di verde. Le nappe, in numero di trenta, sono disposte quindici per parte, in cinque ordini di 1, 2, 3, 4, 5. Sotto la scudo, nella lista bifida e svolazzante d’argento, il motto in lettere maiuscole di nero: SUFFICIT GRATIA TUA”.

[/vc_column_text][/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Sezione 13″ tab_id=”1458583983858-69a3f4ed-63d2″][vc_column_text]

Per le armi di un abate e prevosto il von Volborth porta, invece, lo scudo timbrato da un cappello di nero, con cordoni e fiocchi dello stesso colore, in numero di dodici, sei per parte, su tre ordini, disposti: 1, 2 e 3, con accollato, dietro lo scudo, in palo, un pastorale con il “sudario”;

per le armi di un abate e di un prelato “nullius” porta lo scudo timbrato da un cappello di verde, con cordoni e fiocchi dello stesso abatenulliuscolore, in numero di dodici, sei per parte, su tre ordini, disposti: 1, 2 e 3, con accollato, dietro lo scudo, in palo, un pastorale con il “sudario”;

per le armi di un prelato “di fiocchetto” porta lo scudo timbrato da un cappello viola, con cordoni e fiocchi rossi, in numero di venti, dieci per parte, su quattro file, disposti in 1, 2, 3 e 4;

per le armi di un primo cancelliere apostolico porta lo scudo timbrato da un cappello viola, con cordoni e fiocchi rossi, in numero di dodici, sei per parte, su tre file, disposti in 1, 2, 3;

per le armi di un prelato onorifico porta lo scudo timbrato da un cappello viola, con cordoni e fiocchi dello stesso colore, in numero di dodici, sei per parte, su tre file, disposti in 1, 2, 3;

per le armi di un cappellano del papa porta lo scudo timbrato da un cappello di nero, con cordoni e fiocchi di viola, in numero di dodici, sei per parte, su tre file, disposti in 1, 2, 3;

per le armi di un canonico porta lo scudo timbrato da un cappello di nero, con cordoni e fiocchi dello stesso colore, in numero di sei, tre per parte, su due file, disposti in 1, 2;

per le armi di un decano e per i superiori minori porta lo scudo timbrato da un cappello di nero, con cordoni e fiocchi dello stesso colore, in numero di quattro, due per parte, su due file, disposti in 1, 1 ed, infine, per le armi di un prete porta lo scudo timbrato da un cappello di nero, con cordoni e fiocchi dello stesso colore, in numero di due, disposti uno per parte.

[/vc_column_text][/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Sezione 14″ tab_id=”1458584401636-918a55b8-d751″][vc_column_text]

Lorenzo Caratti di Valfrei, 8) descrivendo le distinzioni araldiche ecclesiastiche, assegna al Patriarca e Primate il cappello verde, ornato di nastro dello stesso colore e di fili d’oro, con i cordoni e i fiocchi verdi, ovviamente, dello stesso numero e disposizione come per i cardinali; all’Abate e Prelato “nullius” il cappello verde con i cordoni e i fiocchi del medesimo colore, nello stesso numero e con la stessa disposizione come per i vescovi;
per il Prelato già denominato “di fiocchetto” il cappello paonazzo, con cordoni e fiocchi dello stesso colore, in numero di venti, dieci per parte, su quattro file, disposti 1, 2, 3 e 4;
al Protonotario apostolico il cappello paonazzo con cordoni rossi e fiocchi dello stesso colore, in numero di dodici, sei per parte, su tre ordini, disposti: 1, 2 e 3;
al Prelato d’onore il cappello paonazzo, con cordoni e fiocchi del medesimo colore, nello stesso numero e nella stessa disposizione come per il Protonotario apostolico;
al Cappellano di Sua Santità il cappello nero con cordoni e fiocchi paonazzi, in numero di dodici, sei per parte, in tre ordini, disposti: 1, 2 e 3;
all’Abate il cappello nero con cordoni e fiocchi dello stesso colore, in numero di dodici, sei per parte, in tre ordini, disposti: 1, 2 e 3
ed infine al Canonico, Priore, Guardiano e Rettore il cappello nero con cordoni e fiocchi dello stesso colore, in numero di sei, tre per parte, su due ordini, disposti 1 e 2.

Pienamente condivisibile, quindi, l’affermazione di Bruno Bernard Heim 9) che, anni addietro, sostenne che non fu facile sottomettere i cappelli ecclesiastici a una normativa, prima del motu proprio “Inter multiplices curas” del papa San Pio X, emanato in data 21 febbraio 1905.

Con tale “motu proprio”, che regolamenta gli abiti e le insegne dei protonotari e degli altri prelati della Curia romana, si prescrive che i protonotari apostolici di numero o partecipanti, soprannumerari e ‘ad instar participantium’ “potranno sovrapporre al proprio stemma o alle proprie insegne il cappello con dodici fiocchi, sei per parte, pure di colore rubino, senza croce né mitra”; che i protonotari apostolici titolari o onorari “alle proprie insegne o stemmi possono sovrapporre il cappello, ma di color nero soltanto, con cordoni e sei fiocchi pendenti per lato, anch’essi di color nero” ed infine, per gli altri prelati della Curia romana, che “non potranno mai usare altro colore che il paonazzo nel fiocco del berretto e nella fascia del cappello, che si distinguerà per essere intessuta di fili d’oro, e così pure nei cordoni e nei fiocchi, e nel cappello da sovrapporre allo stemma, come detto al n. 18” e quindi, con dodici fiocchi, sei per parte.

Ci sia consentito ricordare che San Pio X piodecimo3portava nella propria arme il capo patriarcale di Venezia, quale segno, simbolo della Sua provenienza dalla sede patriarcale di Venezia.

Lo stemma porta la seguente blasonatura: “d’azzurro all’ancora di tre uncini di nero cordata di rosso, posta in banda, pescante in un mare ondato al naturale e accostata al capo da una stella di sei punte d’oro; al capo patriarcale di Venezia: d’argento al leone alato e nimbato passante al naturale, reggente nella destra un libro aperto recante la leggenda: PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS”.

Ritornando ai cappelli ecclesiastici, ricordiamo che raramente si riscontrano caricati, quali figure araldiche, nel campo dello scudo.

[/vc_column_text][/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Sezione 15″ tab_id=”1458586139011-f85dfcc6-16a0″][vc_column_text]

Il pallio

Il pallio è l’insegna liturgica d’onore e di giurisdizione del Sommo Pontefice in quanto rivestito di supremo potere e piena giurisdizione; indica la sua missione di pastore e di guida dei vescovi e dei fedeli. Dal VI secolo, invece, inizia l’imposizione del pallio anche ai metropoliti, per indicare un particolare grado di partecipazione ai poteri del Sommo Pontefice.

Per alcuni autori il pallio deriverebbe dalla toga romana, per altri dal greco omophorion, ornamento, questi, usato dalla Chiesa orientale, che consisteva in un mantello che veniva portato sopra le altre vesti e, nel tempo, invece, ripiegato. Dal VI secolo assume la forma di sciarpa portata intorno alle spalle, con le due parti pendenti dalla spalla sinistra; dal IX secolo i due capi cominciano a pendere fino al ginocchio e vengono fermati con due spille, nel mezzo del petto e del dorso, mentre una terza spilla serviva a fissare il pallio sulla spalla sinistra. Dal XV secolo i capi pendenti, però, vengono accorciati sino alla forma attuale, che risale al XVII secolo.

Il pallio, attualmente, si compone di un nastro di lana bianca, largo circa sei centimetri, caricato da sei croci di seta nera, portato intorno al collo, con i due lembi pendenti frangiati di nero, l’uno sul petto, l’altro sul dorso ed ornato da tre spille gemmate sul petto, sul dorso e sulla spalla sinistra.

Viene confezionato con la lana dei due agnelli bianchi, benedetti il 21 gennaio nella basilica di Sant’Agnese, in Roma. pallio3Nella basilica vaticana, invece, i palii vengono benedetti dal Sommo Pontefice, nel corso dei solenni vesperi dei Santi Pietro e Paolo apostoli e conservati, poi, in una cassetta dorata presso la tomba di San Pietro; all’indomani, nella solennità dei Santi Pietro e Paolo, il papa, come da antica tradizione, li consegna ai nuovi arcivescovi metropoliti. Nei tempi passati, a Roma, l’imposizione del pallio veniva fatta dal cardinale primo diacono, oppure nella sede metropolitana, da parte di un vescovo delegato.

Il pallio viene portato sempre dal Sommo Pontefice sopra i paramenti liturgici, mentre gli arcivescovi metropoliti lo portano solo nelle Messe pontificali nelle chiese della loro diocesi e provincia ecclesiastica, nei giorni previsti dal Pontificale Romanum, oltre che nel corso delle ordinazioni sacerdotali e consacrazioni episcopali.

E’ da precisare che l’arcivescovo metropolita deve chiedere la concessione del pallio al Sommo Pontefice; tale usanza, chiamata postulazione del pallio, è documentata, a partire dal IX secolo. Il pallio, poi, non può essere prestato, donato o ceduto per testamento, ma, alla morte dell’arcivescovo metropolita, deve essere sepolto con il suo possessore; quanto sopra in forza dei canoni 276, 277 e 278 del codice di diritto canonico del 1917.

Il pallio, araldicamente, si rappresenta d’argento, a forma di pergola araldica, caricato dalle tre crocette di nero e scende, ai lati della croce, dal bordo superiore dello scudo, come insegna di giurisdizione metropolitana; per altri araldisti, invece, la collocazione migliore sarebbe all’interno dello scudo, divenendo così, però, figura araldica e non ornamento esteriore; per altri, infine, il pallio andrebbe collocato sotto la punta dello scudo, allo stesso modo delle insegne di ordini cavallereschi.

Ritornando ai cappelli ecclesiastici, ricordiamo che raramente si riscontrano caricati, quali figure araldiche, nel campo dello scudo.

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La croce astile

La croce che figura in palo dietro allo scudo ecclesiastico, ricorda la croce astile che anticamente precedeva il papa, i legati pontifici, i patriarchi e gli arcivescovi. Sembra che la croce astile, ad una sola traversa, venisse immediatamente prima della persona del Sommo Pontefice, già dal V secolo; nel tempo la troviamo anche in uso presso i legati pontifici, in quanto rappresentanti del romano Pontefice. Nel 1215 il papa Innocenzo III conferì il privilegio di farsi precedere dalla croce astile, anche ai patriarchi, ma non quando fosse presente il papa o un suo legato; Clemente V (1305-1314) estese tale prerogativa anche agli arcivescovi. Tale croce non è da confondersi, quindi, con quella che tradizionalmente apre le processioni, né tantomeno con la croce pettorale.

deantonicolor3I patriarchi e gli arcivescovi, per primi, usarono accollare la croce, ad una traversa, chiamata croce semplice o del Calvario, dietro il loro scudo; dal XV secolo si iniziano a vedere negli scudi patriarcali, accollate, delle croci a due traverse, volendo così ricordare, come annotano alcuni studiosi, con la traversa superiore, il cartello con l’iscrizione posto da Ponzio Pilato, alla sommità della croce di Nostro Signore, venendo così chiamata croce patriarcale.

Dal XVII secolo la croce doppia la si trova in uso anche negli scudi dei primati e nel tempo anche in quello degli arcivescovi.

I vescovi, invece, non ottennero mai l’autorizzazione di farsi precedere dalla croce astile, ma, nel tempo, posero la croce semplice, o ad una vescovo80sola traversa, come ornamento araldico, accollata dietro il loro scudo.

Di conseguenza, le croci astili, generalmente trifogliate, ad una o due traverse, secondo il grado della dignità ecclesiastica, figurano accollate in palo, dietro allo scudo prelatizio.

L’Enciclopedia cattolica, parlando della croce trifogliata descrive che viene accollata in palo, nel centro, dietro lo stemma del cardinale legato e dei vescovi ed ordinari; invece è a due bracci, per il patriarca e l’arcivescovo.

Piero Guelfi Camajani, descrivendo tale ornamento araldico, annota che la croce a due bracci orizzontali è per i patriarchi e i primati; la semplice, o del calvario, è per i cardinali e la tripla, che è sorretta con una mano da due angioli posti ai lati dello scudo, mentre con l’altra sostengono la tiara, appartiene al papa, ma Giacomo Bascapè e Marcello Del Piazzo 10) affermano che la croce triplice apparve solo talvolta nelle armi papali.

La croce astile, invece, non è mai comparsa, come ornamento araldico, nell’arme dei Sommi Pontefici, anche se qualche volta la si è notata in qualche antica raffigurazione, ma, come giustamente afferma Bruno Bernard Heim, unicamente come effetto dell’ignoranza degli artisti, dal momento che essa non è mai stata né insegna né emblema papale.

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La divisa

Con il termine araldico di “divisa” si intende il breve motto, scritto in lingua latina ed in lettere maiuscole romane, che appare nella lista svolazzante e generalmente bifida, posta in fascia, sotto la punta dello scudo. E’ buona norma che la lista figuri smaltata dello stesso smalto del campo dello scudo.

Generalmente il motto viene tratto dalle Sacre Scritture, in forma quanto mai succinta, e dovrebbe esprimere gli ideali che il prelato intende perseguire, nel suo ministero pastorale. Il motto deriva dall’antico grido dell’arme, usato antoniobommarco3per chiamare a raccolta i soldati sotto il vessillo e dall’impresa d’anima, sentenza e motto allegorico inerente all’arme.

Il motto, caricato sulla lista bifida e svolazzante, non necessariamente deve avere riferimento alle figure caricate nello scudo ed appare, di norma, sotto gli scudi dei cardinali, patriarchi, arcivescovi e vescovi.

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Il bastone priorale o cantorale

Il bastone priorale o bastonepriorale3cantorale, deriva dal bordone, l’antico bastone usato dai pellegrini ed è considerato il simbolo del tutore o del maestro; è segno, quindi, dell’autorità legittima affidata al capo eletto. Dal bastone deriva, di conseguenza, lo scettro portato dai re, il bastone da maresciallo portato dai condottieri ed il bastone pastorale portato dai vescovi.

Il bastone priorale o cantorale era d’argento cesellato o di legno rivestito d’argento e terminava, generalmente, con una sfera, o con la riproduzione di una chiesa o di altre figure allegoriche e costituiva l’insegna dei vicari foranei, dei capitoli canonicali e delle collegiate, degli arcipreti e dei priori di ordini religiosi.

Veniva usato, altresì, dai maestri di coro o primi cantori; in questo caso si chiamava bastone cantorale e terminava con l’estremità a forma di mazza. Il bastone serviva per impartire direttive durante le solenni celebrazioni liturgiche e nel corso del canto corale.

Araldicamente il bastone priorale o cantorale veniva accollato dietro allo scudo, in palo, quale contrassegno onorifico.

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Il paternostro o rosario

Goffredo di Crollalanza, descrivendo il “paternostro”, annota che è voce blasonica del rosario, o corona di grani. Si pone nello scudo per segno di devozione. I discendenti di Pietro l’Heremite, cui si attribuisce l’invenzione della corona del rosario, portano nello scudo il paternostro messo in capriolo. Si vede qualche volta anche intorno allo scudo, come nelle arme dei cavalieri professi dell’Ordine di Malta.

In araldica il paternostro o rosario si compone di una corona di cinque decine di grani, ciascuna separata da un grano più grosso e con un pendente di cinque grani che sostiene una croce. Il paternostro lo si può trovare d’argento e di nero o con i grani d’argento e di rosso ed è l’emblema araldico deie rligiosi non sacerdoti, che possono circondare il loro scudo con questo particolarissimo ornamento. Ovviamente anche le religiose possono far uso di tale ornamento nel loro scudo a cacciadominioni3losanga o ovale, forma, questa, prevista per le donne, circondandolo con il paternostro, quale segno della loro professione religiosa.

I cavalieri professi del Sovrano Militare Ordine di Malta, 11) che sono religiosi, avendo pronunciato i voti di castità, povertà ed obbedienza, circondano i loro scudi con il paternostro d’argento intrecciato con la croce di Malta; parimenti il rosario porta nel pendente la croce melitense.

Quale segno di devozione nei riguardi dell’Ordine di Malta e della persona del Gran Priore di Lombardia e Venezia, blasoniamo l’arme di Sua Eccellenza Frà Roggero Caccia Dominioni, Cavaliere Gran Croce di giustizia e Gran Priore di Lombardia e Venezia del Sovrano Militare Ordine di Malta: “Fasciato di rosso e d’argento. Lo scudo è accollato alla croce di otto punte e patente, d’oro, smaltata di bianco e ad una spada d’argento, manicata d’oro, posta in sbarra, con la punta verso l’alto; il tutto contornato dal paternostro”.

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Le insegne cavalleresche

Sovente, le croci di ordini cavallereschi sono state concesse anche a cardinali e vescovi e tali decorazioni, in particolare quelle dell’Ordine di Malta, dal XVII secolo, figurano, quali ornamenti esteriori, generalmente addossate e sporgenti ai quattro lati dello scudo prelatizio.

L’uso delle insegne cavalleresche nelAraldica Ecclesiastica figura regolamentato con il decreto della Sacra Congregazione Concistoriale del 15 gennaio 1915, dove, tra l’altro, si prescrive che sono permesse solo le croci del Sovrano Militare Ordine di Malta e dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

Ricordiamo, a tal fine, che l’Ordine di Malta è un ordine religioso, mentre l’Ordine del Santo Sepolcro è classificato ordine di sub collazione, per delega apostolica, ed è posto sotto la protezione della Santa Sede, al pari dell’Ordine Teutonico.

Quale segno di amicizia nei riguardi della persona del Cancelliere di Lombardia e Venezia, blasoniamo l’arme del alvisecicogna3N. H. patrizio veneto Alvise Cicogna, cavaliere di gran croce di grazia e devozione in obbedienza e Cancelliere del Gran Priorato di Lombardia e Venezia del Sovrano Militare Ordine di Malta: “D’azzurro alla cicogna d’argento beccata e piotata di rosso. Lo scudo è accollato alla croce di otto punte e patente, d’oro, smaltata di bianco”.

Ricordiamo, inoltre, che sino al 1951 era consentito timbrare gli scudi ecclesiastici con corone nobiliari. Tale ornamento esteriore scomparve in forza del decreto della Sacra Congregazione Concistoriale del 12 maggio 1951, che prescrisse a tutti gli ordinari di astenersi dall’usare titoli nobiliari, corone e altri segni secolari nei propri sigilli, insegne e stemmi, anche quando fossero annessi alla loro sede arcivescovile o vescovile. Antecedentemente, con il decreto della Sacra Congregazione Concistoriale del 15 gennaio 1915, si proibivano, invece, solo le corone nobiliari proprie della famiglia del prelato, mantenendo, invece, negli scudi quelle annesse alle rispettive sedi vescovili o arcivescovili.

Le corone timbravano gli scudi ecclesiastici, sia da chi teneva “pro tempore” feudi ecclesiastici, o feudi di origine imperiale, sia da chi proveniva da famiglie titolate. Annotiamo, a tal punto, che nel Triveneto i vescovi titolati, riconosciuti dalla Consulta Araldica del Regno d’Italia erano: Vescovo di Belluno e Feltre, Conte; Vescovo di Padova, Conte di Piove di Sacco; Arcivescovo di Trento, Principe, Altezza Reverendissima; Vescovo di Treviso, Duca, Marchese, Conte; Arcivescovo di Udine, Marchese di Rosazzo; Vescovo di Vicenza, Duca, Marchese, Conte. Inoltre, il titolo di Principe, d’uso comune, è stato ed è impiegato, pur in mancanza di un provvedimento da parte della Consulta Araldica del Regno d’Italia, per il Vescovo di Bressanone (ora Bolzano – Bressanone) e per l’Arcivescovo di Gorizia. 12)

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E’ opportuno, a tal punto, evidenziare che anche diverse diocesi, capitoli, confraternite, monasteri, ospedali, in quanto istituzioni ecclesiastiche, possedevano propri stemmi, che, per la maggior parte, si usano ancora.

angeloscola3Ricordiamo, di conseguenza, che il patriarcato di Venezia, usa lo stemma “d’argento al leone passante, alato e nimbato, tenente con la zampa anteriore destra il libro aperto, scritto delle parole a lettere maiuscole romane di nero PAX TIBI MARCE nella prima facciata in quattro righe, ed EVANGELISTA MEUS nella seconda facciata, similmente in quattro righe, il tutto al naturale”, come giustamente osservano Giacomo Bascapè e Marcello del Piazzo, 13) mentre, l’arme dell’arcidiocesi di Gorizia e Gradisca, presente nel palazzo arcivescovile di arcidiocesigorizia3Gorizia, così si blasona: “Partito: nel primo di nero alla croce trifogliata a tre traverse, d’argento; nel secondo della contea di Gorizia: trinciato: a) d’azzurro al leone d’oro; b) d’argento a due sbarre di rosso; al capo d’oro all’aquila spiegata di nero, caricata in cuore dello scudetto d’Austria: di rosso alla fascia d’argento, e dalle lettere d’oro M F caricate nell’ala destra e T I nell’ala sinistra, poste in palo. Lo scudo, accollato ad una croce astile semplice d’argento, trifogliata, posta in palo, è timbrato da un cappello con cordoni e nappe (fiocchi) di verde. I fiocchi, in numero di venti, sono disposti dieci per parte, in quattro ordini di 1, 2, 3, 4. Accollato allo scudo, un padiglione di velluto rosso, soppannato di ermellino, bordato con frange d’oro, annodato ai lati, in alto, con cordoni d’oro, con il colmo timbrato dalla corona di principe del S. R. I”.

E’ doveroso, però, osservare che, nel dipinto, la croce non doveva essere smaltata d’argento e ad una traversa, bensì d’oro e a due traverse, trattandosi di insegna arcivescovile.

Giacomo Bascapè e Marcello del Piazzo, 14) sempre per l’arcivescovado di Gorizia e Gradisca, insignito del principato del Sacro Romano Impero, riportano, invece, la seguente blasonatura dello scudo: “Partito: nel primo (di rosso) alla croce a tre traverse, d’argento; nel secondo della contea di Gorizia: trinciato: a) d’azzurro al leone d’oro coronato dello stesso; b) sbarrato d’argento e di rosso col capo d’Aquileia (d’azzurro all’aquila d’oro)”.

Ricordiamo, ora, che gli elmi non dovevano figurare nell’Araldica Ecclesiastica, ma la libertà di pittori e di incisori li pose, seppur raramente, specialmente sugli scudi episcopali.

Annotiamo, infine, come già ricordato, che con “L’Istruzione sulle vesti, i titoli e gli stemmi dei cardinali, dei vescovi e dei prelati inferiori” del 1969, 15) a firma dal Em.mo sig. cardinale segretario di Stato Amleto Cicognani, all’art. 28 si recita testualmente: “Ai cardinali e ai vescovi è permesso l’uso dello stemma. La configurazione di tale stemma dovrà essere conforme alle norme che regolano l’araldica e risultare opportunamente semplice e chiaro. Dallo stemma si tolgono sia il pastorale che la mitra”. Nel successivo art. 29 si precisa che ai cardinali è permesso di far apporre il proprio stemma sulla facciata della chiesa che è attribuita loro come titolo o diaconia.

Per quanto sopra riportato, ne consegue che, l’uso dello stemma compete solo al Sommo Pontefice ed ai cardinali, patriarchi, arcivescovi e vescovi.

Ci auguriamo, invece, che l’uso dello stemma venga legalmente permesso anche all’abate territoriale, in forza del can. 368 dell’attuale Codice di Diritto Canonico, promulgato nel 1983, che assimila l’abbazia territoriale alle diocesi e del can. 370 che, per l’abbazia territoriale, recita che è una determinata porzione del popolo di Dio, circoscritta territorialmente, la cura della quale viene affidata, per circostanze speciali, ad un Abate che la governa a modo di Vescovo diocesano, come suo pastore proprio.

[/vc_column_text][/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Sezione 22″ tab_id=”1458593412886-ee2e999d-e785″][vc_column_text]

Ricordiamo ora che i Sommi Pontefici San Pio X, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo I caricavano nei loro scudi, il capo patriarcale di Venezia, quale segno, simbolo, della Loro provenienza dalla città lagunare.

Lo stemma di Sua giovannivenitre3Santità Giovanni XXIII portava: “di rosso alla fascia d’argento, alla torre al naturale traversante sul tutto accostata da due gigli d’argento; al capo patriarcale di Venezia: d’argento al leone passante, alato e nimbato, tenente con la zampa anteriore destra il libro aperto, scritto delle parole a lettere maiuscole romane di nero PAX TIBI MARCE nella prima facciata in quattro righe, ed EVANGELISTA MEUS nella seconda facciata, similmente in quattro righe, il tutto al naturale ”.

L’arme di Sua Santità Giovanni giovannipaoloprimo3Paolo I, invece, portava: “d’azzurro al monte di sei pezzi d’argento, all’italiana, uscente dalla punta dello scudo, accompagnato in capo da tre stelle d’oro di cinque punte; al capo patriarcale di Venezia: d’argento al leone passante, alato e nimbato, tenente con la zampa anteriore destra il libro aperto, scritto delle parole a lettere maiuscole romane di nero PAX TIBI MARCE nella prima facciata in quattro righe, ed EVANGELISTA MEUS nella seconda facciata, similmente in quattro righe, il tutto al naturale”.

Infine, quale segno della nostra profonda devozione, blasoniamo, di seguito, l’arme di Sua Santità Giovanni Paolo II:

“D’azzurro alla croce d’oro, il montante posto verso destra e la traversa alzata, papacolor3accompagnata nel canton sinistro della punta da una M dello stesso. Lo scudo risulta accollato dalle chiavi pontificie, una d’oro e l’altra d’argento, decussate, addossate, gli ingegni, traforati a forma di croce, in alto, rivolti a destra e a sinistra, e legate da un cordone di rosso, terminante, d’ambo le parti, con una nappa dello stesso. Lo scudo risulta timbrato dal triregno papale terminante ad ogiva e argenteo, al quale sono applicate tre corone all’antica, d’oro e cimato da un piccolo globo crociato dello stesso. Dal triregno pendono due infule di rosso e frangiate d’oro, caricate ciascuna da una crocetta greca, dell’ultimo”

[/vc_column_text][/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Sezione 23″ tab_id=”1458594089804-5b092747-8d0b”][vc_column_text]

    Concludiamo, ricordando che nella Legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano, entrata in vigore il 22 febbraio 2001, lo stemma della Santa Sede viene così blasonato: “chiavi decussate sormontate del Triregno in campo rosso”; ne consegue che lo scudo risulta orfano dell’ornamento esteriore basilare e indicativo di dignità, quale è la tiara.

Siamo perfettamente coscienti che i tempi attuali sono meno sensibili al valore dei simboli ed alle norme araldiche; ci permettiamo, comunque, a futura memoria, di blasonare nella forma ideale lo stemma della Città del Vaticano: “di rosso alle chiavi pontificie, una d’oro e l’altra d’argento, decussate, addossate, gli ingegni traforati a forma di croce, in alto, rivolti verso i lati dello scudo e legate da un cordone d’oro, terminante, d’ambo le parti, con una nappa dello stesso. Lo scudo è timbrato dal triregno papale terminante ad ogiva e argenteo, al quale sono applicate tre corone all’antica, d’oro e cimato da un piccolo globo crociato dello stesso. Dal triregno pendono due infule d’oro, frangiate dello stesso, caricate ciascuna da una crocetta greca, dell’ultimo”.

bulletGli Anni Santi

bullet  Gli stemmi dei Vescovi della Diocesi di Chioggia

______________________________________

1) G. Crollalanza (di), Enciclopedia araldico-cavalleresca – Prontuario nobiliare, Pisa 1878.

2) G. C. De Beatiano, L’Araldo veneto overo universale armerista, Venezia MDCLXXX.

3) P. Guelfi Camajani, Dizionario araldico, Milano 1940.

4) G. Moroni, Dizionario di Erudizione Storico-Ecclesiastica, Venezia MDCCCLIV.

5) V. Coronelli, Blasone dello Stato Veneto, Venezia 1706.

6) A. C. Fox – Davies, Insegne Araldiche, Torriana (Fo) 1992.

7) C. A. von Volborth, Araldica, usi, regole e stili, Milano, 1992.

8) L. Caratti di Valfrei, Araldica, Milano 1996.

9) B. B. Heim, L’Araldica della Chiesa Cattolica, Città del Vaticano 2000.

10) G. C.Bascapè-M. Del Piazzo, con la collaborazione di L. Borgia, Insegne e simboli. Araldica pubblica e privata medioevale e moderna, Roma 1983.

11) G. Aldrighetti, Gli emblemi araldici del Sovrano Militare Ordine di Malta, “Nobiltà”, Rivista di araldica, genealogia, ordini cavallereschi, edita dall’Istituto Araldico Genealogico Italiano, Numero Straordinario dedicato ai 900 anni dello SMOM, n. 32, Milano, settembre-ottobre 1999.

12) Corpo della Nobiltà Italiana (a cura di Italo Quadrio), Famiglie Nobili delle Venezie, Udine 2001.

13) G. C.Bascapè-M. Del Piazzo, con la collaborazione di L. Borgia, Insegne e simboli. Araldica pubblica e privata medioevale e moderna, cit.

14) Ibidem.

15) Segreteria di Stato, Istruzione sulle vesti, i titoli e gli stemmi dei cardinali, dei vescovi e dei prelati inferiori, Città del Vaticano, 31 marzo 1969.[/vc_column_text][/vc_tta_section][/vc_tta_pageable][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]I bozzetti araldici del cardinale G. Cheli, del patriarca di Venezia A. Scola,
dell’arcivescovo di Gorizia D. De Antoni, di un cappellano S. M. O. M. e di un presbitero sono di Sandro Nordio

I bozzetti araldici in B/N dell’arcivescovo A. V. Bommarco,
e dei vescovi R. Radossi e G. B. Piasentini sono di Luigi Tomaz [/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]