Araldica Eclesiastica

di Giorgio Aldrighetti

Lo Stemma

giovannicheli

STEMMA
di Sua Eminenza Reverendissima
il signor Cardinale
GIOVANNI CHELI
cardinale diacono dei Santi Cosma e Damiano

BLASONATURA

Troncato: nel primo d’argento alla stella di otto punte di nero; nel secondo di nero a due stelle di otto punte d’argento, ordinate in fascia.

Lo scudo, accollato ad una croce astile patriarcale d’oro, trifogliata, posta in palo, è timbrato da un cappello con cordoni e nappe (fiocchi) di rosso. I fiocchi, in numero di trenta, sono disposti quindici per parte, in cinque ordini di 1, 2, 3, 4, 5.

Sotto lo scudo, nella lista bifida e svolazzante d’argento, il motto in lettere maiuscole di nero: UNITAS IN CHARITATE”.

ESEGESI

“Nella vita umana segni e simboli occupano un posto importante. In quanto essere corporale e spirituale insieme, l’uomo esprime e percepisce le realtà spirituali attraverso segni e simboli materiali. In quanto essere sociale, l’uomo ha bisogno di segni e simboli per comunicare con gli altri per mezzo del linguaggio, di gesti, di azioni. La stessa cosa avviene nella sua relazione con Dio”. 1)

“L’araldica è un linguaggio complesso e particolare costituito da una miriade di figure e lo stemma è un contrassegno che deve esaltare una particolare impresa, un fatto importante, un’azione da perpetuare.

Questa scienza documentaria della storia dapprima era riservata ai cavalieri ed ai partecipanti ai fatti d’armi, sia guerreschi che sportivi, che si rendevano riconoscibili grazie allo stemma, posto sullo scudo, sull’elmo, sulla bandiera e anche sulla gualdrappa, rappresentante l’unico modo per distinguersi gli uni dagli altri.

L’araldica dei cavalieri venne quasi subito imitata dalla Chiesa, anche se gli enti ecclesiastici in periodo ‘pre-araldico’ avevano già propri segni distintivi, tanto che al sorgere dell’araldica, nel secolo XII, tali figure assunsero i colori e l’aspetto propri di quella simbologia.

L’araldica ecclesiastica al nostro tempo è viva, attuale e largamente utilizzata. Per un prelato, tuttavia, l’uso di uno stemma deve oggi essere definito quale simbolo, figura allegorica, espressione grafica, sintesi e messaggio del suo ministero.

Occorre ricordare che agli ecclesiastici fu sempre vietato l’esercizio della milizia e il porto delle armi e per tale motivo non si sarebbe dovuto adottare il termine ‘scudo’ o ‘arme’ propri dell’araldica; tuttavia va detto che sino a tempi recenti gli ecclesiastici usavano il loro stemma di famiglia, molto spesso privo di qualunque simbologia religiosa.

La stessa simbologia della Chiesa Romana è attinta dal Vangelo ed è rappresentata dalle chiavi consegnate da Cristo all’apostolo Pietro”. 2)

Nel primo periodo gli stemmi ecclesiastici risultavano con lo scudo timbrato dalla mitria con le infule svolazzanti; con il passare del tempo si consoliderà, invece, alla sommità dello scudo il cappello prelatizio con i cordoni ed i vari ordini di nappe o fiocchi, di diverso numero secondo la dignità, il tutto di verde se vescovi, arcivescovi e patriarchi, il tutto di rosso se cardinali di Santa Romana Chiesa.

Annotiamo, inoltre, che con “L’Istruzione sulle vesti, i titoli e gli stemmi dei cardinali, dei vescovi e dei prelati inferiori” del 31 marzo 1969, a firma dal cardinale segretario di Stato Amleto Cicognani, all’art. 28 si recita testualmente: “Ai cardinali e ai vescovi è permesso l’uso dello stemma. La configurazione di tale stemma dovrà essere conforme alle norme che regolano l’araldica e risultare opportunamente semplice e chiaro. Dallo stemma si tolgono sia il pastorale che la mitra”. 3) Nel successivo art. 29 si precisa che ai cardinali è permesso di far apporre il proprio stemma sulla facciata della chiesa che è attribuita loro come titolo o diaconia.

Gli eccellentissimi e reverendissimi vescovi timbrano, infatti, lo scudo, accollato ad una croce astile semplice d’oro, trifogliata, posta in palo, con il cappello, cordoni e nappe di verde. I fiocchi in numero di dodici sono disposti sei per parte, in tre ordini di 1, 2, 3.

Gli eccellentissimi e reverendissimi arcivescovi timbrano lo scudo, accollato ad una croce astile patriarcale d’oro, trifogliata, posta in palo, con il cappello, cordoni e nappe di verde. I fiocchi in numero di venti sono disposti dieci per parte, in quattro ordini di 1, 2, 3, 4.

Gli eccellentissimi e reverendissimi patriarchi timbrano lo scudo, accollato ad una croce astile patriarcale d’oro, trifogliata, posta in palo, con il cappello, cordoni e nappe di verde. I fiocchi in numero di trenta sono disposti quindici per parte, in cinque ordini di 1, 2, 3, 4, 5.

Gli eminentissimi e reverendissimi signori cardinali di Santa Romana Chiesa timbrano lo scudo, accollato ad una croce astile patriarcale d’oro, trifogliata, posta in palo, con il cappello, cordoni e nappe di rosso. I fiocchi in numero di trenta sono disposti quindici per parte, in cinque ordini di 1, 2, 3, 4, 5.

Infine, l’eminentissimo e reverendissimo signor cardinale camerlengo di Santa Romana Chiesa porta lo scudo con lo stesso cappello degli altri cardinali, ma timbrato dal gonfalone papale, durante munere, ossia durante la sede vacante apostolica. Il gonfalone papale o stendardo papale, chiamato anche basilica, è a forma di ombrellone a gheroni rossi e gialli con i pendenti tagliati a vajo e di colori contrastati, sostenuto da un’ asta a forma di lancia coll’arresto ed è attraversata dalle chiavi pontificie una d’oro e l’altra d’argento, decussate, addossate, con gli ingegni rivolti verso l’alto, legate da nastro di rosso.

Gli stessi colori di verde o di rosso vanno usati altresì nell’inchiostro dei sigilli e negli stemmi riportati negli atti, quest’ultimi con i previsti segni convenzionali indicanti gli smalti. L’Antico ed il Nuovo Testamento, la Patristica, i legendaria dei Santi, la Liturgia hanno offerto, nei secoli, alla Chiesa i temi più svariati per i suoi simboli, destinati a divenire figure araldiche.

Quasi sempre tali simboli alludono a compiti pastorali o di apostolato degli istituti ecclesiastici, sia secolari che regolari, oppure tendono ad indicare la missione del clero, richiamano antiche tradizioni di culto, memorie di santi patroni, pie devozioni locali.

GLI SMALTI

Una delle norme fondamentali che regola l’araldica asserisce: chi ha meno ha più, con riguardo alla composizione degli smalti, figure e positure dello scudo.

E l’arme che ora andremo ad esaminare è composta, in troncato, solo dal metallo d’argento e dal colore di nero. Cercare il proprio stemma, quindi, quello vero, da poter innalzare come vessillo, con il quale segnare le proprie carte, comprenderne compiutamente i simboli, non è, in qualche modo, cercare se stessi, la propria immagine, la propria dignità?

Ecco come un atto che potrebbe essere letto solo formalmente può acquisire invece un significato simbolico e fortemente pregnante.

Troncato d’argento e di nero, quindi, nello stemma del signor cardinale Giovanni Cheli, ma quali simboli racchiudono e sprigionano tali smalti, quali messaggi ne derivano per l’uomo, spesso frastornato, giunto, oramai, al XXI secolo?

Il d’argento ricorda le antiche armature argentate dei nobili cavalieri, mentre il di nero (sable) prese il nome da certi piccoli animaletti (sabellina pellis) che comparivano ai Crociati, nei dintorni dei Luoghi Santi. Ma l’araldica riserva altri simbolismi, altri significati per i propri metalli e per i propri colori.

L’argento simboleggia la Luna fra gli astri, la perla fra le gemme, la speranza, la concordia, la purezza, la saggezza, la castità e la gioia fra le virtù, mentre il nero Saturno fra gli astri, il diamante fra le gemme, la prudenza, la mestizia ed il dolore fra le virtù.

E ancora il nero, associato a Saturno, evoca la tristezza, la volontà indomita e priva di sfumature, mentre il bianco – argento, luna – simboleggia la purezza, la rettitudine, la franchezza.

Il simbolismo degli smalti araldici compenetra veramente tutto l’essere dell’uomo medioevale. Così l’argento simboleggia la giustizia, la liberalità, la buona coscienza, la bellezza e la verginità, mentre il nero rappresenta la semplicità, la mestizia del mondo e la speranza di vivere. Nel significato sopra le quattro complessioni dell’uomo, l’argento rappresenta la flemmatica, mentre il nero la malinconia. Nel significato sopra i quattro elementi l’argento evoca l’acqua, mentre il nero la terra.

Nel simbolismo degli smalti nei metalli, l’argento porta a sé stesso, mentre il nero al ferro. Nel significato per le sette virtù, le tre teologali e le quattro cardinali, l’argento evoca la speranza, mentre il nero la prudenza. Nel significato per i sette giorni della settimana, l’argento rappresenta il lunedì, mentre il nero il venerdì. Ed infine nel significato sopra le sette età dell’uomo l’argento rappresenta l’infanzia sino ai sette anni, mentre il nero simboleggia l’ultima età, la decrepitezza sino alla morte. 4) Nei segni dello zodiaco l’argento porta per simbolo il cancro, mentre il nero il capricorno e l’acquario, nei mesi l’argento è rappresentato da giugno, il nero da dicembre e gennaio; mentre fra le stagioni il nero rappresenta l’inverno. Fra i fiori l’argento porta il giglio; mentre fra i numeri porta il 2 e il nero l’1.

Ed ancora l’argento rappresenta la purezza, la concordia, la tranquillità d’animo, la gentilezza e la clemenza, mentre il nero venne introdotto nello scudo dai cavalieri che portavano il lutto. Quando il nero era rappresentato nel drappo delle bandiere esprimeva la rivolta, il terrore, la vendetta e la morte. Le sciarpe d’argento, usate nei tornei, simboleggiavano gelosia e passione amorosa mentre quelle di nero indicavano costanza, ovvero disperazione e tristezza. Infine le sciarpe d’argento e di nero indicavano, invece, umiltà e temperanza.

Nell’alchimia il bianco rappresenta la purezza, la luce indivisa e non rifratta in colore mentre il nero l’assenza di colore e di luce; sempre il bianco corrisponde allo slancio ascendente (sattiva) che si rivolge all’Origine, alla Luce, mentre il nero corrisponde alla tendenza simbolicamente discendente (tamas) che si allontana dalla propria Origine luminosa.

Gli alchimisti attribuiscono gli stessi simboli sia ai pianeti che ai metalli e si riferiscono spesso agli uni come agli altri servendosi degli stessi nomi. Così la Luna designa l’argento, mentre Marte il ferro. L’astrologia e l’alchimia, derivando entrambe, nella loro forma occidentale, dalla tradizione ermetica, stanno fra loro come il Cielo e la Terra. Mentre la prima interpreta il significato dello zodiaco e dei pianeti, la seconda si interessa ai significati degli elementi e dei metalli. 5)

“Il bianco è l’espressione del dissolversi, della fuga e della liberazione. Rappresenta, quindi, la libertà assoluta, aperta a tutte le possibilità. Il bianco, dice Luscher, è quindi tabula rasa, il tavolo pulito, la depurazione, il nuovo inizio (perciò l’abito della sposa è bianco come bianco è il colore simbolico della morte fisica se essa viene interpretata come l’inizio di una nuova reincarnazione o l’entrata nel Nirwana). Il bianco è anche il riflesso dell’assoluto, la veste trionfale degli eletti (si pensi alle illustrazioni dei santi in Paradiso che hanno sempre la tunica bianca) mentre il nero rappresenta il blocco, la rimozione degli stimoli e la difesa. Il nero, scrive Luscher, come addensamento concentrico, rappresenta la caparbietà aggressiva. Nero è anche il colore della tristezza, dell’opposizione, del buio, della magia, della morte, del profondo psichico, come pure dell’assolutismo (si pensi al fascio littorio, alla divisa nera dei nazisti, ecc. in netto contrasto con la bandiera rossa della rivoluzione russa). Il colore nero, peraltro, può anche rappresentare l’eleganza (l’abito da sera di colore nero)… .” 6)

Anche il cristianesimo ebbe ed ha i suoi simboli e la sua simbolica e nella storia cristiana questa ha diversi significati, tratti non meno dall’Antico, che dal Nuovo Testamento.

“Le insegne degli Ordini cavallereschi si vogliono originate nella prima crociata di Palestina pel ricupero de’ luoghi santi, nella quale il Papa Urbano II diede a’ crociati una croce di panno rosso da portarsi nel petto, affine di denotare il fermo proponimento di combattere per la croce sino all’ultimo sangue. Quindi ogni cavaliere con particolari divise espresse i suoi generosi pensieri; e tutti i sette colori (araldici) a tal fine furono adoperati. Col bianco si volle significare l’innocenza e la fede… col nero, i pensieri dolenti e profondi… In memoria di che tali divise di semplici colori rimasero per insegna alle famiglie di que’ prodi, e prima gli ebbero semplici e poi mescolati… . La chiesa romana ne’ paramenti sacri usò, ed usa secondo i tempi, e i divini misteri che celebra, quattro principali colori: cioè il bianco per significare la gloria, il gaudio e il candore dell’innocenza;… il nero o il paonazzo che dicesi pur violaceo, per significare afflizione, astinenza e ricordare i defonti … .” 7)

Per completezza d’esposizione, ricordiamo che, con il Concilio Ecumenico Vaticano II, è stato disposto quanto segue: il colore bianco si usa negli Uffici e nelle Messe del tempo pasquale e del tempo natalizio. Inoltre: nelle feste e nelle memorie del Signore, escluse quelle della Passione; nelle feste e nelle memorie della beata Vergine, degli Angeli, dei Santi non martiri, nella festa di tutti i Santi (1° novembre), di San Giovanni Battista (24 giugno), di San Giovanni evangelista (27 dicembre), della cattedra di San Pietro (22 febbraio) e della Conversione di San Paolo (25 gennaio)… il colore nero si può usare nelle Messe dei defunti.

LE FIGURE

La stella. “Nelle armi si vede un gran numero di stelle che possono essere a cinque, sei, otto, fino a sedici raggi. Ordinariamente le stelle a cinque raggi sono più comuni in Francia, in Spagna, in Inghilterra, nel Belgio e in Polonia; quelle a sei in Germania ed in Olanda. In Italia si trovano spesso di tutte e due le sorta. Quelle di sette o più raggi sono meno usate. (…) Le stelle sono fra le figure più diffuse dell’araldica; ed è naturale che una figura sì bella e da tutti conosciuta sia stata adottata da tante famiglie. In Lombardia e Toscana erano un tempo contrassegno dei Guelfi; mentre in Romagna tre stelle in capo dimostravano che il possessore dell’arma era Ghibellino”. 8)

“Le armi portano con frequenza questo corpo celeste. Una stella fu guida sicura al nato Redentore, un’altra è sicura indicazione della strada a chi conduce la nave nella notte, due fatti che dovevano imporsi alla fantasia degli uomini quando vollero rappresentare la guida sicura verso il sicuro arrivo al porto spirituale od a quello materiale. Le stelle che splendono nel cielo della notte sono milioni di soli, altro simbolo di chi aspira a cose superiori, ad azioni sublimi. Avanti che sorga il sole, annunciatrice di questo e della luce, del giorno, della sua operosità, è la stella chiamata dagli antichi Lucifero, altra figurazione indicativa del luminoso avvenire auspicato alla propria discendenza”. 9)

“Stella famosa è la stella a sei punte, meglio conosciuta come stella di David, formata da due triangoli equilateri che hanno lo stesso centro e che risultano piazzati in opposte direzioni. Si tramanda fosse la figura che adornava lo scudo del re David. Una diversa interpretazione le attribuisce, invece, un significato cabalistico.” 10)

Nell’araldica ecclesiastica la stella maggiormente usata è quella ad otto punte che, secondo alcuni studiosi, simboleggia il Salvatore, 11) pur riscontrandosi anche scudi prelatizi con stelle a sei punte.

Ricordiamo infine che la stella ad otto punte o ottagona rappresenta le otto beatitudini evangeliche.

Tre stelle caricate in uno scudo ecclesiastico nelle varie positure di in fascia, in banda, in sbarra, bene ordinate, male ordinate, simboleggiano la Fede, la Speranza e la Carità, le tre virtù teologali.

Nell’arme del signor cardinale Giovanni Cheli le tre stelle ad otto punte figurano caricate 1, 2 o male ordinate, secondo la corretta dicitura araldica ed esprimono l’unità delle tre virtù teologali.

Nel primo, su campo d’argento, la stella ad otto punte di nero simboleggia la Carità. Vale, a tal proposito, riportare la lettera di San Paolo ai Corinzi, quando l’apostolo delle genti afferma che “la carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. (…) Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!”.

E la stella di nero è caricata nella prima partitura, quindi in posizione d’onore proprio perché fra le tre virtù teologali è la più importante, non avendo mai fine ed è smaltata di nero perché la carità agisce nel nascondimento e non si vanta e non si gonfia.

Nella seconda partitura, invece, risaltano, su campo di nero, le altre due stelle, d’argento, che rappresentano la fede e la speranza, le altre due virtù teologali.

UNITAS IN CHARITATE recita il motto del signor cardinale Giovanni Cheli, vale a dire che l’unità è frutto dell’amore (la charitas cristiana), simboleggiata nello scudo dalla stella di nero, l’umile e nascosta Carità, unita indissolubilmente alle altre due stelle d’argento che simboleggiano la Fede e la Speranza, virtù che dobbiamo sempre perseguire.

Come l’uomo, così il simbolo, è anche ciò che è stato per essere autenticamente ciò che sarà. Necessita quindi fare memoria e speranza di questa sorgente ricchissima e inesausta, a cui è possibile attingere ancora per il nostro oggi.

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1) Catechismo della Chiesa Cattolica, Città del Vaticano 1999, p.335.

2) P. F. degli UBERTI, Gli Stemmi Araldici dei Papi degli Anni Santi, Ed. Piemme, s. d.

3) da L’Osservatore Romano, 31 marzo 1969.

4) Sicillo Araldo (Jean Courteois), Trattato dei colori nelle arme, nelle livree et nelle divise, Pavia MDXCIII.

5) T. Burckhardt, Alchimia, significato e visione del mondo, Milano 1974.

6) L. Peresson, L’immagine mentale in psicoterapia, Roma 1983.

7) G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Venezia MDCCCLVI.

8) G. Crollalanza (di), Enciclopedia araldico-cavalleresca, Pisa 1886, p.561, voce Stella.

9) P. GUELFI CAMAJANI, Dizionario Araldico, Milano 1940, pp. 521-522, voce Stella.

10) “The use of the hexagram as an alchemical symbol denoting the harmony between the antagonistic elements of water and fire became current in the later 17th century, but this had no influence in Jewish circles. Many alchemists, too, began calling in the shield of David (traceable since 1724). But another symbolism sprang up in Kabbalistic circles, where the ‘shield of David’ became the ‘shield of the son of David’, the Messiah”. (Encyclopaedia Judaica, Gerusalemme 1971, vol. 11, p. 696, voce Magen David).

11) “La stella che simboleggia Cristo (stella di Natale) ha otto punte e nella sua quaternità è già un preannuncio della croce.” (M. LURKER, Dizionario delle Immagini e dei Simboli Biblici, Cinisello Balsamo (Milano) 1990, p.205, voce Stella).

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Ideazione, blasonatura ed esegesi a cura dell’araldista Giorgio Aldrighetti, socio ordinario dell’Istituto Araldico Genealogico Italiano. Bozzetti araldici a cura del blasonista Sandro Nordio.

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