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Araldica Eclesiastica

di Giorgio Aldrighetti

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ORDINI E CONGREGAZIONI RELIGIOSE

 

GLI STEMMI DEI
PREDICATORI, DEGLI ORATORIANI E DEI SALESIANI

Fino a qualche decennio fa si riteneva che gli Ordini religiosi, le Diocesi, i Prelati, i Capitoli delle cattedrali avessero iniziato ad usare gli stemmi verso la metà del Duecento, circa un secolo dopo che i nobili avevano incominciato ad alzare le loro armi gentilizie. Non si considerava, invece, che in Terra Santa l’araldica dei vessilli, degli scudi e dei sigilli degli Ordini religioso-monastici era già in piena fioritura fin dal principio delle Crociate.

L’Antico ed il Nuovo Testamento, la Patristica, i legendaria dei Santi, la liturgia hanno offerto, nei secoli, alla Chiesa i temi più svariati per i suoi simboli, destinati a divenire figure araldiche.

Quasi sempre tali simboli alludono a compiti pastorali o di apostolato degli istituti della Chiesa, sia secolari che regolari, oppure tendono ad indicare la missione del clero, o richiamano antiche tradizioni di culto, memorie dei Santi patroni, pie devozioni locali.

Così gli Ordini religiosi, le Diocesi, le Curie episcopali, i Capitoli delle cattedrali possedevano già, prima che nascesse l’araldica, proprie figure sacre, istintive ed allusive.

Infatti, parliamo di figure sacre, allegoriche ed emblematiche, per la Chiesa, in quanto non si potrebbe blasonare con i termini scudo o arme, risultando interdetti agli Ecclesiastici l’appartenenza a milizie e l’uso delle armi.

Analizziamo, di conseguenza, i simboli presenti negli stemmi dell’Ordine dei Frati Predicatori (Domenicani), della Congregazione degli Oratoriani (Filippini) e della Società Salesiana di San Giovanni Bosco (Salesiani).

 

L’Ordine dei Frati Predicatori (Domenicani), che ha per “scopo la propagazione e difesa della fede tra i fedeli e gl’infedeli, con la predicazione, l’insegnamento scolastico e la stampa” 1), venne fondato da San Domenico di Guzman agli albori del secolo XIII e ottenne l’approvazione apostolica nel 1216.

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La blasonatura dello stemma della Religione Domenicana è: Di bianco, cappato, alzato di nero, caricato del cane corrente al naturale, ingollante una torcia fiammeggiante posta in sbarra, timbrato di una corona all’antica attraversato da un decusse formato da un gambo di giglio in banda fiorito e fogliato al naturale e da una palma di martirio in sbarra al naturale, il tutto sormontato da una stella di 8 punte d’oro. 2)

Il bianco 3) per il Frate domenicano è segno, simbolo di purezza e di castità, mentre il nero, di rinuncia e di penitenza. 4)

Ma, oltre che nello stemma, tali smalti sono presenti anche nell’abito religioso dei Domenicani, essendo, da sempre, il saio di bianco ed il mantello di nero. 5)

La stella, per la tradizione domenicana, è simbolo di predestinazione e segno personale di San Domenico, poiché si narra che, nel giorno del battesimo, la madrina vide risplendere una fulgida stella sulla fronte del Santo.

Il giglio è invece simbolo di integrità e moralità, mentre la palma rappresenta, come ideale, il martirio. San Domenico, infatti, avrebbe desiderato, nel predicare agli infedeli, nella fattispecie i Cumani, conseguire il martirio.

Il cane rappresenta poi la fedeltà al messaggio evangelico, mentre la fiaccola simboleggia la diffusione della Parola di Dio tra i fedeli e gl’infedeli, per opera di San Domenico e dei Suoi figli spirituali, i Frati Predicatori.

Il cane con la fiaccola è legato, infine, ad un racconto immaginifico.

Si narra, infatti, che la madre di San Domenico, al momento del parto, abbia avuto la visione di un cane, con una fiaccola fiammeggiante tra le fauci, correre, illuminando tutto il mondo.

Ma i Frati di San Domenico, i Domenicani Domini canes, sono anche i cani del Signore, ossia i difensori della verità che azzannano gli eretici e difendono il gregge di Cristo.

A completamento dell’analisi del simbolo domenicano, ne ricordiamo anche il motto: “Laudare, Benedicere, Praedicare”.

Gli Oratoriani di San Filippo Neri (Filippini) vennero, invece, fondati nel 1575, con approvazione apostolica nel 1612, confederati e re-approvati nel 1942; sono riuniti in case autonome, dette “congregazioni”, nelle qualisacerdoti e laici vivono in vita comune senza voti, uniti tra loro con il solo vincolo della carità, con lo scopo della formazione individuale alla cultura spirituale e alla pietà, per mezzo d’istruzione, contatti personali, direzione spirituale, ministero del confessionale, predicazione familiare ed apostolato liturgico, specialmente fra studenti e giovani.6)

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La blasonatura dello stemma degli Oratoriani è: D’azzurro al cuore ardente tra due gambi di gigli fioriti e fogliati, posti in decusse, sormontato da 3 stelle di 8 punte, poste 1, 2, il tutto d’oro. 7)

Si racconta che i Sodali dell’Oratorio di San Filippo Neri abbiano scelto lo smalto d’azzurro del campo, per testimoniare l’amore filiale nei riguardi della Beata Vergine Maria e perché l’azzurro simboleggia l’immortalità dell’anima.8)

Il cuore fiammeggiante, invece, oltre a ricordare il cuore di San Filippo e l’infusione dello Spirito Santo nel Suo costato, simboleggia, altresì, il vincolo della carità che deve unire i Confratelli oratoriani.

I due gambi di gigli, fioriti e fogliati, rappresentano i simboli dell’innocenza e della purezza, virtù queste sempre da coltivare e da perseguire.

Le tre stelle “male ordinate” sono, infine, il richiamoalla verginità di Maria Ss.ma, prima, durante e dopo il parto del Salvatore. 9)

Il motto per gli Oratoriani è: “Charitas” per ricordare il vincolo di carità che deve contraddistinguere il Sodale.[/vc_column_text][/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Sezione 2″ tab_id=”1458579094228-86a35d19-fc10″][vc_column_text]

Araldica Eclesiastica

di Giorgio Aldrighetti

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ORDINI E CONGREGAZIONI RELIGIOSE

 

GLI STEMMI DEI
PREDICATORI, DEGLI ORATORIANI E DEI SALESIANI

La Società Salesiana di San Giovanni Bosco (Salesiani), infine, venne fondata il 18 dicembre 1859, con decreto di lode il 23 luglio 1864 e approvazione apostolica nel 1874, con lo scopo dell’istruzione ed educazione della gioventù nelle scuole letterarie, professionali e agricole e nelle varie istituzioni giovanili; missioni tra gli infedeli. 10)

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La blasonatura dello stemma dei Salesiani è: D’azzurro all’ancora di due uncini d’argento, cordata d’oro, posta in palo, accompagnata a destra dal busto del vescovo San Francesco di Sales nimbato d’oro, con il volto e le mani di carnagione e l’abito prelatizio di rosso, volto a sinistra, nell’atto di scrivere su di un libro d’argento posto sopra uno scrittoio al naturale, il tutto nascente dalle nuvole d’argento; accompagnata a sinistra da un cuore di rosso fiammeggiante d’oro sormontato da una cometa a sei punte con la coda posta in banda, il tutto d’argento; accompagnata in punta da un bosco desinente in colline e montagne innevate, il tutto al naturale. Lo scudo di forma ovale, accartocciata, è cimato da una croce latina trifogliata d’oro raggiante; dalla punta della croce si diparte un fascio di raggi d’oro in sbarra che raggiunge la nimbatura del Santo vescovo. Accollati allo scudo due rami di palma e di alloro al naturale, fogliati di verde, decussati alle estremità e nell’orlatura del capo due ghirlande di rose fiorite e fogliate al naturale. Sotto lo scudo, nella lista bifida e svolazzante d’oro, il motto in lettere maiuscole di nero: DA MIHI ANIMAS CAETERA TOLLE. 11)

“Come ogni istituzione religiosa, quella di don Bosco ha un proprio stemma spirituale o ‘carisma’, caratteristico dell’identità, della missione, dei mezzi e dei metodi prescelti dal fondatore e sanciti dalla Chiesa. Solo come ‘segno’utile a ricordare e tradurre in azione la propria caratteristica si giustifica anche lo stemma araldico, che dunque non vuol essere blasone e scelta di classe, ma piuttosto insegna d’una ‘nobiltà di servizio’ a cui viene dedicata tutta la vita personale e comune di quanti vi si riconoscono.

Collaudato da più di un secolo, lo stemma salesiano svolge precisamente tale funzione, anche se gli intenditori di araldica avrebbero forse più d’una obiezione da muovere contro il suo disegno. Ovviamente don Bosco non teneva all’araldica; teneva al messaggio da offrire ai figli e agli amici, precisamente come monito per una identità. Per conseguenza v’è in questo stemma il tratteggio di don Bosco stesso, che lo suggerì, lo definì, lo sottolineò con un motto perché dall’insieme trasparisse un programma.

Ma non ebbe fretta di proporlo. A venticinque anni dalla fondazione la Società Salesiana (nata il 18 dicembre 1859) non si era ancora data lo ‘stemma’ proprio di tutte le famiglie religiose. Come sigillo si soleva imprimere la figura di san Francesco di Sales circondata da una scritta latina che designava la ‘Società Salesiana’. Solo il 12 dicembre 1884 l’economo generale don A. Sala ne presentò al Consiglio generale un abbozzo disegnato dal torinese prof. Giuseppe Boidi per la chiesa del S. Cuore in Roma. Con qualche modifica, l’abbozzo venne approvato.

Fin dall’originale lo scudo appariva solcato al centro, in verticale, da una grande ancora, con il busto di san Francesco di Sales a destra e un cuore infiammato a sinistra. In alto campeggiava una stella raggiante a sei punte. In basso figurava un boschetto (‘Boschetto’ era il soprannome dei Bosco ai Becchi), sullo sfondo dei rilievi alpini come si vedono dai colli monferrini. Lo incorniciavano due rami, uno di palma e l’altro d’alloro, intrecciati ai gambi. Una ghirlanda di rose coronava la cima dello scudo, sormontata da una croce latina trifogliata e raggiante.

A don Bosco però non piacque la stella che sormontava lo scudo. Gli sapeva di emblema massonico. Perciò la fece togliere lasciando campeggiare la croce. In seguito la stella venne inserita nello scudo, sopra il cuore, in forma di cometa, a completare il trittico simbolico delle virtù teologali. Lo stemma definitivo apparve per la prima volta in forma ufficiale in capo a una circolare datata l’8 dicembre 1885. Esso non mutò più da allora.

I simboli palesemente abbondano. Per la fede, la stella. Per la speranza, l’ancora. Per la carità, il cuore. La figura di san Francesco di Sales esprime il patrono della Società: essa si ispira a un dipinto storico, ma l’aggiunta di un foglio e di una penna sta a indicare, verosimilmente, l’attività giornalistica del santo e l’attualità (oggi diremmo ‘mass-mediale’) che vi riconosceva don Bosco, autore di libri e fondatore di tipografie, editrici, riviste, librerie, eccetera.

Come accennato, il boschetto richiama il cognome del fondatore. Le alte montagne significano le vette di perfezione a cui devono tendere i soci. L’alloro e la palma sono emblemi del premio riservato a una vita virtuosa e sacrificata: l’alloro è simbolo di sapienza, la palma di martirio. Le rose sovrastanti sembrano alludere a un celebre sogno di don Bosco dove egli vide sé e i suoi camminare festanti in mezzo a un pergolato fiorito mentre le spine pungenti ne facevano sanguinare le carni.

Il motto in uso sul sigillo prima del 1884 era ‘Discite a me quia mitis sum’. Il Consiglio propose ‘Sinite parvulos venire ad me’, ma fu obiettato che già contrassegnava altre istituzioni. Don G. Barberis propose ‘Temperanza e lavoro’ mentre don C. Durando avrebbe preferito l’invocazione ‘Maria Auxilium Christianorum ora pro nobis’. Don Bosco risolse il problema col riproporre il ‘Da mihi animas caetera tolle’ da lui adoperato fin dai primi tempi dell’oratorio itinerante…

Storia e simboli a parte, lo stemma salesiano è un ‘condensato’ di stimoli essenziali per qualificare ogni vero figlio di don Bosco. Potrebbe sembrare assente l’imprescindibile presenza di Maria Ausiliatrice da cui – diceva don Bosco – tutto ciò che è salesiano deriva. Ma lo stesso fondatore, e tutti i ‘primi’, identificarono sempre negli emblemi dell’ancora, della stella, del cuore, anche il riferimento a Gesù e a sua Madre; e questo è un altro aspetto della densità significativa che lo stemma racchiude”. 12)

A nostro avviso val la pena di riportare anche la descrizione dello stemma salesiano presente nel testo Cooperatori di Dio: “Dio si è degnato di suscitare il Fondatore Don Bosco: un bosco nella parte inferiore richiama questo nome.

Don Bosco stesso scelse come patrono il vescovo Francesco di Sales, dottore illuminato dallo Spirito.

La vita e l’azione del salesiano sono espressione

– della sua fede: la stella raggiante,
– della sua speranza: la grande ancora,
– della sua carità pastorale: il cuore infiammato.

Così animato, egli non cerca altro che le anime: il motto Da mihi animas, coetera tolle.

Questo servizio apostolico generoso è la sua via di santità: dietro il boschetto, le vette delle montagne.

E un giorno, sarà la sua ricompensa celeste: la palma e l’alloro che, intrecciati nel gambo, abbracciano lo scudo.

Questo è lo stemma dei Salesiani. Identico è quello delle Figlie di Maria Ausiliatrice, tranne qualche variante, ad es. l’Ausiliatrice al posto di San Francesco di Sales.

Più semplice e più condensato è il distintivo dei Cooperatori: Don Bosco (il maestro) e il suo motto (il programma)”. 13)

Ci sia permesso affermare, nel concludere, che per lo stemma della Società Salesiana di San Giovanni Bosco, oggi maggiormente conosciuta con la dizione Famiglia Salesiana, siamo in presenza di uno stemma parlante 14) che non rispecchia appieno le complesse regole araldiche, in ispecie negli ornamenti esterni dello scudo, ma che risulta pregno di numerose figure dalla ricchissima simbologia; araldicamente, poi, ci risulta a pieno titolo un emblemamariano, risultando caricato in tutto il campo dello scudo lo smalto d’azzurro, colore per eccellenza che richiama a Maria, all’Ausiliatrice, all’Aiuto dei Cristiani.

Infatti “non è Don Bosco che ha scelto Maria; è Maria che, mandata dal suo Figlio, ha preso l’iniziativa di scegliere Don Bosco e di fondare per mezzo suo l’opera salesiana, che è opera sua, ‘affare suo’, per sempre”. 15)

“Don Bosco non si è accontentato di amare l’Ausiliatrice, ha fatto tanto per farla amare! Esiste una specie di patto tra Maria Ausiliatrice e la Famiglia Salesiana. Maria aiuta questa sua famiglia e ne sviluppa le opere. A loro volta tutti i membri e i rami della Famiglia, ognuno a modo suo, diffondono il culto dell’Ausiliatrice presso gli adulti e presso i giovani. E’ un aspetto del servizio salesiano alla Chiesa. E’ il significato dell’iscrizione luminosa che Don Bosco aveva letta sulla grande chiesa dei suoi sogni, e che in effetti fece scolpire sul frontone della basilica di Torino: ‘Haec est domus mea, inde gloria mea’: Questa è la mia casa, da qui si diffonderà la mia gloria”. 16)

__________________

1) Annuario Pontificio, Città del Vaticano 1996, p. 1429.

2) Vari conventi dei Frati Predicatori usarono ed usano, tuttora, stemmi leggermente diversi da quello descritto (ad es.: con il cane corrente al naturale, ingollante una torcia fiammeggiante, sul mondo, quest’ultimo cimato da una croce del calvario, simbolo della cristianità, o con il cane corrente al naturale, ingollante una torcia fumante, con il fumo che, in questo caso, rappresenta il sacrificio, o ancora con il cappato abbassato), o stemmi completamente diversi (ad es.: d’argento o d’azzurro al sole d’oro).

Per l’Inquisizione (dei Domenicani) si usava, invece, un: Grembiato di nero e d’argento di 8 pezzi caricato della croce gigliata dell’uno nell’altro. Spesso tale stemma si trova, altresì, con una bordura composta di 8 pezzi di nero e d’argento, caricata di 8 stelle alternate a 8 bisanti dell’uno dell’altro.

3) Ci troviamo qui in presenza di un rarissimo caso, in quanto si tratta proprio di colore di bianco e non di metallo d’argento, come prescrivono, invece, le norme araldiche, che non prevedono il di bianco fra gli smalti dello scudo.

4) “Il bianco è la somma e l’assenza dei colori, contrapposto al nero che è l’assenza della luce e, quindi, non colore. Il bianco (lat. Albus) è il colore del passaggio (= candidatus), proprio di tutte le iniziazioni (alba). Dell’innocenza battesimale, della purezza verginale. Anche della morte, in quanto la morte è la porta della vera vita. Da qui, in antico, i lini e le bende funebri bianche; e di bianco alcuni popoli si vestono, nel lutto. Colore solare – spesso accostato all’aureo – giallo caldo – proprio della rivelazione, della grazia (veste candida battesimale), della trasfigurazione (Ap 7, 13; 3, 4), del cavallo bianco di Cristo vindice (Ap 20, 11), della pace (bandiera bianca). Attributo del Padre – luce increata e verità immobile – la cui immagine, nella visione di Daniele (7, 9), si ricollega a quella del Figlio, nell’Apocalisse ( 1, 14). Anche nel linguaggio profano questo colore conserva il suo significato pasquale, di trionfo e di purezza: i rappresentanti di Dio, i catecumeni, i beati, gli invitati al banchetto delle nozze eterne, tutti indossano vesti candide. Il giorno gioioso degli antichi romani veniva segnato con una pietra bianca (ricordo del ‘sassolino bianco’ dato al vincitore: Ap. 2, 17).

Il nero è il controcolore del bianco: tenebra e luce, male e bene, morte e vita. Traduce la negazione e la mancanza (di santità nell’aureola) del necessario (cavallo apocalittico del razionamento bellico Ap 6, 5); della rinuncia (abiti religiosi neri); della condanna (separazione senza fine di tempo della luce-Dio). Già usato quale colore della penitenza (avvento, quaresima), sostituito con il viola. Ma è anche il colore della fecondità: in Egitto, la terra nera del Nilo; le nubi gonfie di pioggia; per i greci la notte euphrone: ‘madre del buon consiglio’. ‘Bruna sono ma bella’ (Ct 1,4). Da qui, secondo alcuni, le immagini mariane nere”. (L. BARTOLI, La Chiave per la comprensione del simbolismo e dei segni nel sacro, Trieste 1995, p. 299).

Nei colori delle vesti liturgiche affinché, anche esteriormente, si possa esprimere efficacemente il senso dei misteri della fede lungo il corso dell’anno e della vita della Chiesa, il bianco lo si usa negli Uffici e nelle Messe del tempo pasquale e del tempo natalizio; inoltre nelle feste e nelle ‘memorie’ del Signore, escluse quelle della Passione; nelle feste e nelle ‘memorie’ della Beata Vergine Maria, degli Angeli, dei Santi non martiri, nella festa di tutti i Santi, di San Giovanni Battista, di San Giovanni evangelista, della Cattedra di San Pietro e della Conversione di San Paolo.

I paramenti di nero si usano, invece, nelle Messe dei defunti.

Nel significato degli smalti nell’araldica osserviamo, invece, che l’argento fra le virtù rappresenta la Speranza, fra i pianeti la Luna, fra i mesi Giugno, fra i giorni il Lunedì, fra le pietre la perla, fra gli elementi l’acqua, fra le età l’infanzia sino ai sette anni, fra i temperamenti il flemmatico, fra i fiori il giglio, fra i numeri il 2, fra i metalli se stesso e per lo zodiaco il segno del cancro, mentre il nero fra le virtù la Prudenza, fra i pianeti Saturno, fra i mesi Dicembre e Gennaio, fra i giorni Venerdì, fra le pietre il diamante, fra gli elementi la terra, fra le stagioni l’Inverno, fra le età la decrepitezza dai settant’anni sino alla morte, fra i temperamenti il melanconico, fra i numeri l’1, fra i metalli il ferro e per lo zodiaco i segni del capricorno e dell’acquario.

5) Nell’antico rito della professione monastica, alla benedizione degli abiti si diceva: “…ut trino beneficio simul ornarent, foverent et ab intemperie aeris corpora tuerentur”, dove, appunto sono espresse le funzioni di ogni abito:

a) ornare il corpo;

b) rimediare alle sue deficienze;

c) difenderlo contro le intemperie.

6) Annuario Pontificio, Città del Vaticano 1996, p. 1472.

7) Varie Congregazioni oratoriane usano, però, stemmi parzialmente diversi (ad es.: con le stelle a 5 o 6 punte o con il cuore ardente, i gambi dei gigli fioriti e fogliati e le stelle, il tutto al naturale e non il tutto d’oro, o con due palme del martirio poste in decusse al posto dei due gambi di gigli fioriti e fogliati, o con un decusse formato da un gambo di giglio, in banda, fiorito e fogliato, e da una palma di martirio, in sbarra, o ancora con due decusse formati da due gambi di gigli, fioriti e fogliati, e da due palme di martirio).

Parimenti si sono osservati anche stemmi oratoriani, completamente diversi (ad es.: d’azzurro alla Vergine col Bambino al naturale, posta sopra un crescente di argento; o: d’azzurro alla corona di spine d’oro con le parole JESUS – MARIA, od i compendi, d’oro).

A nostro avviso, il motivo della presenza di stemmi oratoriani parzialmente o completamente diversi dallo stemma originario, deve ricercarsi nel fatto che le varie Congregazioni filippine, canonicamente, sono “case autonome”.

8) “L’azzurro (lat. Caeruleus, coelestis), è il più immateriale dei colori ‘che attira l’uomo verso l’infinito e risveglia in lui il desiderio della purezza e una sete del soprannaturale’ (Kandisnky). Colore del Padre, traduce la verità manifestata dal Soffio di Dio o Spirito, al pari dell’aria. Nella vita pubblica, Cristo indossa una veste azzurra (divinità). Più comunemente la veste è rossa (umanità) e azzurro è il mantello (divinità), nel quale si ravvolge, allorché isolandosi, in orazione si unisce nel colloquio con il Padre. E’ il colore dell’immortalità. Anche nell’araldica ha il senso di castità – essere celeste = puro – e della fedeltà. Il manto della Vergine ha spesso questo colore: oltre al suo carattere di immacolata – rimarcato dal vestito bianco – traduce il concetto della maternità divina: fu adombrata (quasi avvolta in un manto) dalla Divinità, al momento dell’incarnazione del Verbo. Celeste è la Gerusalemme eterna”. (L. BARTOLI, La Chiave per la comprensione del simbolismo e dei segni nel sacro, cit., p. 300).

Nel passato, specie le diocesi francesi, ma anche numerose diocesi italiane, hanno usato paramenti d’azzurro nellefeste della Beata Vergine Maria.

Nel significato degli smalti nell’araldica osserviamo, invece, che l’azzurro fra le virtù rappresenta la Giustizia, fra i pianeti Giove, fra i mesi Aprile e Settembre, fra i giorni Martedì, fra le pietre lo zaffiro, fra gli elementi l’aria, fra le stagioni l’Estate, fra le età la fanciullezza sino ai quindici anni, fra i temperamenti il collerico, fra i numeri il 6, fra i metalli lo stagno e per lo zodiaco i segni del toro e della bilancia.

9) Per alcuni studiosi, le tre stelle sarebbero, anche, un amorevole atto di devozione al Fondatore, San Filippo Neri, che nel proprio stemma gentilizio caricava tre stelle d’oro di 8 punte .

“NERI di Firenze – Discese da Castelfranco di Sopra nella persona di ser Giovanni di Neri che fu notaro nella Signoria nel 1390 e 1409. – Ultimo di questa casa fu San Filippo Neri, nato nel 1515 e morto in Roma nel 1595 il quale fondò la Congregazione dell’Oratorio. – ARMA: D’azzurro, a tre stelle d’oro“. (Crollalanza G.B. (di), Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, Pisa 1886, p. 205).

Riportiamo, infine, cosa annota Padre Ramon Mas d. O. sullo stemma oratoriano: ” Lo stemma dell’Oratorio deve essere analizzato, in primo luogo, dal punto di vista araldico ed in secondo momento tenendo conto del simbolismo religioso convenzionale. Quanto all’araldica dobbiamo partire dall’originale stemma dei Neri, che, sappiamo, consisteva in uno scudo a campo azzurro con tre stelle a otto punte. Il primo ad usarlo legittimamente fu il trisavolo del nostro Santo, Giovanni Neri, che inaugura la nobiltà del lignaggio a causa della sua professione di notaio e lo fu dell’arcivescovo di Firenze ed anche della Signoria della città; a questi due impieghi si deve aggiungere che fu notaio anche dell’arcivescovo di Fiesole: tutto ciò gli diede occasione di intervenire in importanti negozi di pubblico interesse. La professione di notaio era considerata come “ars maior” e, per questo qualificato il notariato di nobiltà e, quindi, legittimato per avere il proprio stemma.

Il fatto che contenga tre stelle suggerisce probabilmente le tre cariche assunte: due ecclesiastiche ed una civile. Lo stemma del notaio Giovanni Neri, se non uguale a quello di altri colleghi suoi, certo non è molto diverso: sia per l’azzurro del campo sia per le stelle… L’araldica attribuisce all’azzurro del campo il significato di giustizia, zelo, verità, lealtà…; quanto al significato delle stelle è: fede, fedeltà, ideale, fortuna…

Il nobile notaio ser Giovanni Neri ebbe successori di rilievo e di certa onorevolezza, ma è vero che arrivando a Francesco Neri, il padre di san Filippo, restava solo l’onore teorico della nobiltà ereditata e, malgrado che anche egli fosse notaio, la professione, già a quei tempi, non era per consentire una vita agiata dal punto di vista economico. Restava, pertanto, l’altra vera ed austera nobiltà delle virtù cristiane.

Ma lo sfortunato, e pur bravo, ser Francesco prova qualche nostalgia, un po’ sognatore com’era, delle raccontate grandezze perdute, se vediamo che, quando san Filippo lascia Firenze per andare a San Germano, mostra al figlio adolescente l’albero genealogico della famiglia dei Neri. Possiamo pensare che il gesto includa qualche ammonimento e qualche diffusa speranza: Filippo deve farsi degno dei suoi antenati, la povertà attuale non estingue la nobiltà del sangue… Sappiamo però la reazione del giovane Filippo che prende nelle mani il documento e lo fa a pezzi, non per disprezzo, ma perché, dall’intimo del cuore sta guardando una stella più alta di quella dello scudo, cioè la santità e dice al padre: “che è meglio avere il nome scritto nel libro della vita”.

Così finisce, per Filippo, il valore che l’araldica possa conferire agli onori ereditati della nobiltà sociale. Ora l’ammonimento è per noi mentre facciamo l’analisi dello stemma diventato, con qualche aggiunta, nostro, dell’Oratorio. Dall’originale stemma dei Neri, i Padri dell’Oratorio hanno preso le stelle ed aggiunto il cuore e i gigli. Qui si tratta evidentemente di una simbologia spirituale che intende raccogliere i dati essenziali della santità di Filippo: su di quello che è l’uomo nella sua origine (i Neri: le stelle), la grazia dello Spirito Santo che invade ed infiamma San Filippo (il cuore ardente, la Pentecoste alle catacombe) ne fa un santo di vita innocente e pur di condotta esemplare ( i gigli). C’è la CARITÀ’, lo Spirito Santo, c’è la PUREZZA e l’esempio: “Christi bonus odor sumus” nel mondo (cfr. 2 Cor. 2, 15)”. ( Padre Ramon Mas d. O. in PHILIPPIANUM, numero 3, maggio 1979, a cura della Federazione delle Congregazioni dell’Oratorio del Nord Italia).

10) Annuario Pontificio, Città del Vaticano 1996, p. 1445.

11) La blasonatura è stata stesa osservando lo stemma della Società Salesiana presente nella pubblicazione Don Bosco nel mondo, ELLE DI CI, Torino Leumann 1964, p. 74, che si ritiene rispecchi fedelmente quello originario approvato da don Bosco. Sempre nella stessa pagina figurano brevi cenni storici sulle figure caricate nello scudo salesiano.

12) Istituto Storico Salesiano, Segreteria, Via della Pisana 1111, 00163 Roma, nota indirizzata in data 31.08.1999 a Giorgio Aldrighetti, Chioggia, con la seguente lettera di accompagnamento: “d’accordo col direttore Le invio, acclusa, fotocopia d’una nostra (della Congregazione) descrizione dello stemma con un po’ della sua preistoria. Ritengo sufficiente l’informazione che da essa si può raccogliere. Le auguro un buono e fruttuoso lavoro”.

13) “cooperatori di Dio”. Per vivere e pregare da vero salesiano nel mondo, Roma 1977, p. 64.

14) “Armi parlanti sono quelle che contengono delle figure il cui nome è omonimo del cognome della famiglia che ne è la titolare” L. Caratti di Valfrei, Dizionario di Araldica, Milano 1997, p. 31.

15) “cooperatori di Dio”, cit, p. 69.

16) Ibidem, p. 444

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