Les armoiries de la Région et des communes de la Vallée d’Aoste / Gli stemmi della Regione e dei comuni della Valle d’Aosta, a cura di Bruno Fracasso, edito dalla Presidenza della Regione autonoma Val d’Aosta, Aosta 2008, pp. 325.
Il sessantesimo anniversario della liberazione e dell’autonomia della Valle d’Aosta che si celebra quest’anno può vantare la pubblicazione di un sontuoso stemmario comunale affidato alle cure di Bruno Fracasso con il coordinamento di Anna Fosson, il testo bilingue francese/italiano di Joseph-Gabriel Rivolin e le illustrazioni araldiche di Massimo Ghirardi. Già la prefazione dell’On. Luciano Craveri Presidente della Regione autonoma Valle d’Aosta contiene, inaspettatamente in questo genere d’interventi istituzionali, brevi ma precisi cenni della nascita del fenomeno araldico e della sua affermazione all’ambito pubblico. Di seguito la scheda dedicata all’origine ed alla storia dello stemma vallivo è utilizzata per fornire una sintetica ma competente trattazione sulla genesi e le caratteristiche peculiari dell’araldica come sistema emblematico ed identitario; l’arma del capoluogo apre la serie alfabetica delle 74 insegne comunali di cui si rendono le vicende storico-simboliche e si illustrano a colori stemmi e gonfaloni con disegni di buona fattura.
Se in Sud Tirolo e in Trentino si è assistito ad una più decisa ed utile semplificazione iconografica con l’eliminazione di accessori che alle sobrie applicazioni della moderna comunicazione istituzionale appaiono ormai ridondanti – come corone murarie, e, soprattutto, serti vegetali -, e al recupero delle storiche forme araldiche alpine e germaniche, la decennale autonomia araldica valdostana ha avuto esiti formali molto minori; i comuni di Bionaz, Brusson, Chambave, Charvensod, Emarèse, Issogne, Ollomont, Pont-Saint-Martin, Pontboset, Pontey, Saint-Christophe, Saint-Vincent, Valpelline e Villeneuve, hanno ritrovato la forma medioevale dei loro scudi certo più elegante rispetto al canonico rettangolone sannitico; ad Aymavilles un ramo di melo e un tralcio di vite circondano lo scudo, mentre la nota di colore valdostana del nero-rosso affianca dal 1998 il tricolore nei vari nastri e cravatte d’ordinanza.L’opportuna acquisizione con una legge regionale del 1998 delle competenze di araldica civica da parte della Regione autonoma Valle d’Aosta ha permesso anche qui, come nelle province autonome di Trento e Bolzano dotatesi delle stesse prerogative già nel 1984, aggiornamenti di forme araldiche che, al contrario, l’ormai obsoleta normativa nazionale d’istituzione regnicola congelata alle poche norme di emblematica civica contenute nei più ampi RR. DD. del 7 giugno 1943 nn. 651 e 652 non permette, perlomeno ufficialmente, perché de facto molti enti locali, in linea con il decentramento amministrativo in atto, gestiscono ormai autonomamente anche la formazione e la definizione del proprio apparato simbolico che deve adattarsi rapidamente alle molteplici esigenze della moderna comunicazione visiva e grafica istituzionale.
Tuttavia il volume per uniformità grafica ha rinunciato proprio alla più evidente, ma ancora minoritaria, novità dell’autonomia araldica valligiana, l’elegante forma gotica degli scudi, tornando alla solita composizione “corona muraria-sannitico-serti vegetali”, restaurazione che ha un senso forse nella plurisecolare appartenenza alla tradizione araldica sabauda da cui questo modello deriva e che la ex Consulta araldica del Regno, certo in tempi poco sensibili alla “filologia simbolica”, estese acriticamente a tutte le regioni italiane a cui era invece estranea. Gli amanti del genere devono all’abilità di Massimo Ghirardi, disegnatore araldico di buona mano, se gli allori e le querce ritrovano la loro naturale e rigogliosa consistenza, in luogo di quella penosa stentatezza vegetale – e grafica – a cui disegnatori meno capaci spesso li condannano.
La scelta di molti comuni di adottare come propri i sobri ed eleganti stemmi delle antiche famiglie feudali della valle rende all’estimatore della bella araldica l’insieme degli emblemi valdostani ben più godibile e interessante rispetto alle più diffuse abitudini dell’araldica civica contemporanea; si nota negli scudi una presenza minore delle solite cose: simboli assolutamente generici buoni per ogni borgo dal Brennero a Pantelleria, prodotti manufatturieri, ortofrutticoli o lattiero-caseari, razze bovine varie, per tacere delle immancabili vedute di ameni panorami italici in forma di scudo.
Che lo stemmario civico possa apparire come una compilazione dell’emblematica feudale valdostana – anche le note storiche, inevitabilmente, riguardano spesso le famiglie titolari degli emblemi -, si deve all’assenza di un’araldica comunale storica dato opposto alla maggior parte dei territori alpini distinti, al contrario, da una simbologia pubblica d’antica tradizione e d’ampio utilizzo, segno di quelle libertà e franchigie conquistate dai fieri popoli alpestri. Il noto stemma della valle, leone argenteo armato e lampassato di rosso in campo nero, di possibile origine dall’episcopatus aostano come ipotizza Rivolin, si afferma quando la vallata nel 1536, con la fine degli stati sabaudi, ottiene l’indipendenza politica governandosi con l’assemblea degli Stati e il Conseil des Commis. Il leone del Ducato di Aosta verrà inquartato da Emanuele Filiberto a testimoniarne il ritorno alla dinastia e, inizialmente con il capo di Savoia, compare sui sigilli e sugli statuti della valle. L’insegna del Ducato divenne dal Seicento anche emblema del suo capoluogo che, al contrario della vallata, lo manterrà con il capo di Savoia, indispensabile brisura per comprenderne le due differenti attribuzioni: valliva e cittadina.
A parte questi due stemmi nessun’altro antico emblema si ritrova nei comuni valdostani; così, quando a partire dagli ultimi anni dell’Ottocento iniziarono ad adottare loro stemmi, quasi nessuno rinunciò ad una o più – Torgnon inquarta le arme di ben quattro stirpi: Challant, Savoia, Fabri e Besenval – “citazioni araldiche” dei propri feudatari. La parte del leone la fanno i Savoia il cui stemma compare variamente disposto – o nel capo o inquartato – da ben quattordici comuni, secondi gli Challant, d’argento al capo di rosso alla banda di nero (e sue varianti brisate), assunto da dieci comuni; terzi a pari merito lo stesso Ducato di Aosta, di nero al leone d’argento armato e lampassato di rosso, e signori di Vallaise,fasciato di rosso e d’argento caricato nella seconda fascia d’argento in capo di una crocetta patente di rosso accostata da due stelle a cinque raggi dello stesso, insegne portate da otto comuni. Tra i tanti casati autoctoni non manca un’incursione alpestre di una stirpe più usa alla valle Padana che a quella d’Aosta, come i Pallavicino, il cui stemma è usato da Gignod. Sono solo undici i comuni che non hanno nel proprio stemma l’insegna di una qualche famiglia feudale o storica, mentre si rileva l’emblema della locale comunità Walser di lingua tedesca presente nelle arme di Gressoney la Trinité e di Issime.
Una scheda finale è dedicata al drapeau della Val d’Aosta ideato nel 1942 dal canonico Joseph Bréan al culmine dell’oppressione del regime fascista verso l’identità valligiana; il rosso e il nero gli smalti dello stemma di Aosta, cuciti dalle donne di Valtournenche come bandiera innalzata per la prima volta il 20 agosto 1944 dai partigiani valdostani al posto del tricolore sul pennone alla frontiera con la Svizzera. Dapprima divisa in senso orizzontale, dagli anni ‘50 la bandiera della Valle d’Aosta nero rossa sarà partita verticalmente con il nero all’asta, foggia regolata ufficialmente con legge regionale del 2006. Opera pregevole dotata di un’efficace trattazione dei testi conformi alla più recente ed evoluta letteratura sulla disciplina uniti al buon livello dei disegni delle insegne, il nuovo volume valdostano si può ritenere un esempio riuscito tra gli stemmari civici italiani dove scritti autorevoli e capacità artistica talvolta non vanno di pari passo – o, nei casi peggiori, mancano entrambi -, e questo anche in un confronto più ampio a similari raccolte d’oltralpe. (Marco Foppoli, AIH)