[vc_row][vc_column][vc_tta_pageable no_fill_content_area=”1″ active_section=”1″][vc_tta_section title=”Sezione 1″ tab_id=”1456232686782-6c7c72fa-afa9″][vc_column_text]

Araldica

di Giorgio Aldrighetti

 

Passeggiando in una qualsiasi delle nostre città e contrade, gli stemmi ci osservano, testimoni muti ma pregni di valori, di simboli e di significati. L’autobus che ci passa dinanzi porta lo stemma della città, le auto dei corpi di polizia municipale e provinciale espongono i rispettivi stemmi civici o provinciali, parimenti le chiese alzano l’emblema araldico dell’ordinario diocesano, i vari manifesti affissi nei muri portano le insegne araldiche del comune, della provincia e di tantissime altre istituzioni pubbliche, i palazzi alzano le armi gentilizie in pietra ed in affresco, le targhe onomastiche delle varie vie sono precedute dall’emblema del comune e così si potrebbe continuare…

Viviamo, di conseguenza, immersi e circondati da stemmi, anche se sovente, assillati dalla fretta del vivere quotidiano, non li osserviamo e di conseguenza non apprezziamo e comprendiamo i valori ed i significati che essi promanano.Parimenti è sorprendente constatare come in Italia – nazione di eminenti tradizioni culturali – la scienza Araldica, sia stata sempre, salvo sporadiche e lodevoli eccezioni, considerata superficialmente come una delle tante vanità dell’orgoglio umano, relegandola, quale esclusivo appannaggio, al mondo gentilizio ed a quello feudale-cavalleresco.Ci auguriamo, di conseguenza, con il presente sito dell’Istituto Araldico Genealogico Italiano, dove analizzeremo l’araldica in generale, oltre all’araldica gentilizia, ecclesiastica, militare e civica, di ridestare l’interesse per una materia che, ai giorni nostri, è perlopiù sconosciuta.Giustamente, Goffredo di Crollalanza, nel 1904, scriveva che “l’araldica ha attraversato tre epoche: nella prima si praticava e non si studiava; nella seconda si praticava e si studiava; nella terza, che è la presente, si studia e non si pratica”.E per il nostro oggi bisognerebbe aggiungere una quarta variante: “l’araldica non si pratica e non si studia più”.Ma vogliamo, in ogni caso, sperare che l’odierna società senta il bisogno di rinvigorire l’amore e l’interesse per questa affascinante, dotta scienza ausiliaria della storia. Lo stemma sta per la comunità, anzi è la comunità, poiché nell’immagine che un ente ha scelto ed ha caricato nel suo vessillo c’è qualcosa di più di una semplice convenzione. E’ storia di archetipi, di significati condensati nel nostro passato e sommersi che avrebbero soltanto bisogno di essere tirati su e riportati a riva… Sono segni che rimangono davanti a noi tutt’oggi.Come l’uomo, così una comunità è anche ciò che è stata per essere autenticamente ciò che sarà. Necessita quindi fare memoria e speranza di questa sorgente ricchissima e inesausta a cui è possibile attingere ancora per il nostro oggi.

Laraldica, ovvero la scienza che insegna a comporre gli stemmi, deriverebbe dal termine “araldo” ossia messo, traendo origine dal vocabolo
roditedesco “hariowaldus”, che era l’ufficiale che aveva il compito di riconoscere, nel medioevo, gli stemmi caricati nel drappo dei vessilli dei vari corpi militari nel corso delle battaglie.

Infatti, l’araldica traccia sugli scudi delle nazioni, delle città, delle famiglie, le vicende, i titoli e le particolarità di esse, servendosi di un mezzo conosciuto da tutti i popoli, il simbolo, che si esplica con la rappresentazione di animali, corpi celesti, figure mitologiche, piante, croci ed un’altra infinità di figure, chiamate appunto “figure araldiche”.

Con il termine “blasone” intendiamo, invece, la disciplina che insegna a comprendere il significato degli stemmi e a descriverli secondo le terminologie araldiche; tale vocabolo deriverebbe dal verbo tedesco “blasen”, ossia il suonare del corno per chiamare a raccolta i cavalieri che partecipavano al torneo.

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Araldica

di Giorgio Aldrighetti

E l’araldica, contrariamente a quanto comunemente si pensa, non nasce per ostentare dei segni vanagloriosi di nobiltà e di privilegio, ma per pura e semplice necessità di riconoscimento. Infatti, quando i crociati arrivarono in Terrasanta compresero che non era possibile mantenere la sola distinzione della croce per tutto l’esercito.

Si rendeva necessario quantomeno distinguere i corpi dell’armata per nazionalità e così i vari eserciti assunsero la croce diversamente colorata: quello italiano l’ebbe azzurra; quello tedesco nera od oro; quello francese rossa (e poi bianca); quello inglese bianca (e poi rossa); i fiamminghi ed i sassoni verde.

Ma anche queste differenziazioni nelle insegne si rivelarono presto insufficienti, poiché nel turbinio della battaglia i cavalieri, armati di tutto punto, erano irriconoscibili, mentre necessitava, con sicurezza, individuare quali cavalieri si distinguevano per coraggio, o quelli che evitavano il combattimento per viltà.

Si dipinsero allora dei particolari segni distintivi per ciascun cavaliere, il quale da quel momento sarebbe stato identificato per mezzo delle insegne che portava nel suo scudo, sull’elmo come cimiero, sulla sopravveste e sulla gualdrappa del proprio cavallo.

Per far ciò si adottarono gli antichi segni che esprimevano le famiglie, cioè quei simboli che ancora non costituivano un’arme, creando così un legame indissolubile tra il cavaliere ed il suo simbolo; un binomio che diede origine all’araldica, la quale venne a porre ordine in un complesso e variopinto universo simbolico costituito da una miriade di smalti, di pezze, di figure, per lo più fantastiche, e di partizioni o suddivisioni del campo dello scudo.

Si iniziarono ad usare divisioni3le “pezze onorevoli”, così definite, in quanto furono le più antiche ad essere dipinte, quali la fascia, il palo, la banda, la sbarra, la croce, il decusse, la pergola, lo scaglione ed il capo.

Analizziamo, di conseguenza, la forma di tali pezze o figure:

La “fascia” è la pezza che occupa la terza parte di mezzo dello scudo, orizzontalmente, ed è formata da due linee che dividono lo scudo in tre parti eguali.

Il “palo”, invece, è la pezza che occupa la terza parte di mezzo della larghezza verticale dello scudo ed è formato da due linee che dividono lo scudo in tre parti eguali.

La “banda” è la pezza formata da due linee trasversali che partono dall’angolo superiore destro dello scudo, attraversandolo sino all’angolo sinistro della punta o inferiore dello scudo.

La “sbarra”, invece, è la pezza costituita sempre da due linee trasversali che partono dall’angolo superiore sinistro dello scudo, attraversandolo sino all’angolo destro della punta.

La “croce”, considerata la più antica tra le pezze onorevoli, nasce dalla sovrapposizione di un palo ad una fascia.

La croce assunse in seguito le forme più svariate e le colorazioni più disparate quali l’aguzza, l’ancorata, l’anguifera, di Avellana, la bordonata, del calvario, a chiave, la forcuta, la gigliata, la latina, la greca, la ottagona, la patente, la patriarcale, la pomata, la ricerchiata, la ricrociata, la ritrinciata, la scalinata, la scorciata, di Santo Spirito, la ramponata, la stellata, la trifogliata.

Il “decusse”, chiamato anche “croce di Sant’Andrea” o “traversa”, è la pezza che nasce, invece, dalla sovrapposizione di una banda ad una sbarra.

La “pergola” è la pezza costituita da una banda, da una sbarra e da un palo che si uniscono tra loro, nel cuore o centro dello scudo.

Lo “scaglione”, comunemente chiamato anche “capriolo”, è la pezza formata da una mezza banda e da una mezza sbarra che, moventi dagli angoli inferiori dello scudo, si riuniscono nel cosiddetto “punto d’onore” dello scudo.

Il “capo”, infine, è la pezza onorevole che, posta in fascia, occupa la terza parte superiore dello scudo.

Nel tempo, apparvero anche altre pezze, quali il bisante, il fuso, la torta, il lambello, la losanga, il plinto, l’anelletto, solo per ricordare le più usate, chiamate “pezze araldiche”, poiché considerate dagli araldisti meno antiche delle precedenti e di conseguenza meno onorevoli.

Successivamente altre figure si aggiunsero a quelle in uso e si cominciò a fare ricorso alle “partizioni” o divisioni del campo dello scudo, con il partito, il troncato, il trinciato, il tagliato, l’inquartato, l’inquartato in decusse, l’interzato in palo, l’interzato in fascia, il controinquartato, mentre le pezze che caricano tutto il campo dello scudo si chiamano “partizioni onorevoli”, quali il palato, il fasciato, il bandato e lo sbarrato.

Nel tempo il cavaliere incominciò a porre nel proprio scudo anche le insegne catturate al nemico o i segni della vittoria quali, ad esempio, la figura della torre, conquistando le mura di un castello o la figura della scala che era servita a salire sugli spalti per espugnare la fortezza o il biscione che era l’insegna del nemico vinto in battaglia.

Da quel momento le figure araldiche diverranno numerosissime. Preme, a tal punto, evidenziare che, in estrema sintesi, le figure che caricano o compongono uno scudo si suddividono in: figure araldiche, figure naturali e figure ideali.

Per “figure araldiche” intendiamo le partizioni e le pezze onorevoli e araldiche, come sopra evidenziate.

Per “figure naturali” intendiamo, invece, tutte quelle raffigurazioni che sono tratte da una scienza, quali la flora, la fauna, l’astrologia, la meteorologia o da un’arte o mestiere.

Per “figure ideali” intendiamo, infine, quelle tratte, ad esempio, dall’agiologia o dalla demonologia, chiamate anche figure chimeriche in quanto siamo in presenza di figure fantastiche o mostruose, quali i draghi, i demoni, gli unicorni, le sirene, i grifoni.

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Araldica

di Giorgio Aldrighetti

Per gli “smalti” del campo dello scudo ricordiamo, smalti3invece, che si distinguono in metalli, oro e argento, e in colori, rosso, nero, azzurro, verde e porpora.

Per completezza, vale la pena ricordare che gli araldisti aggiungono anche “il naturale”, quando le figure caricate nell’arme conservano il loro proprio colore. Il colore della carne del corpo umano però, più specificatamente, si blasona con “di carnagione”, mentre il cielo, con nuvole e prospettiva, come in un vero paesaggio, si descrive con “campo in cielo”. Gli araldisti inglesi e olandesi usano altresì i colori aranciato e cannellato, sanguigno e lionato.

I metalli ed i colori si chiamano, per la scienza araldica, “smalti” dall’usanza dei cavalieri di porre, nel medioevo, sopra i loro sorcotti le figure dei propri emblemi araldici in stagno battuto e smaltato di rosso, di verde, di nero, di turchino e di porpora. Da tale consuetudine di smaltare gli emblemi araldici in stagno derivò il termine araldico di smalto.

Ricordiamo, altresì, che il campo di uno scudo può anche essere ricoperto da due “pellicce”, che sono l’ermellino e il vajo. Gli araldisti chiamano tali pelli “anfibie”, in quanto è permesso, senza alterare le regole del blasone, porre dei metalli o dei colori sopra le medesime. Infatti, una delle regole araldiche più note recita che “non si deve mai porre metallo su metallo o colore su colore”; se ciò si riscontra, lo scudo prende il nome di “stemma d’inchiesta”, dovendosi appurare il motivo.

Altra regola stemmini3fondamentale riguarda la posizione degli animali che devono sempre essere volti alla loro destra, cioè a sinistra per chi osserva l’animale caricato nello scudo. Gli araldisti fanno derivare tale positura dalla tradizione delle giostre e dei tornei cavallereschi, nei quali il cavaliere avanzava tenendo nella destra la lancia e nella sinistra lo scudo e quindi l’eventuale animale rappresentatovi doveva sembrare anch’esso incedere, volto nella stessa direzione del cavallo e cavaliere, senza notare che il caricare gli animali e le altre figure araldiche alla loro destra, nella simbologia, richiama al dettato della “destra evangelica”.

I “metalli”, di oro e d’argento, rappresentano e ricordano le antiche armature dei cavalieri che, secondo il rispettivo grado di nobiltà, erano appunto dorate o argentate; i colori raffigurano, invece, anche gloriosi ricordi delle Crociate, come il “di verde” (sinople), che ricorda la città di Sinope, la cui vista colpì grandemente i nostri crociati per la bellezza e la magnificenza dei numerosi e rigogliosi alberi che la circondavano, ricoperti di fittissime foglie di smagliante color smeraldo; il “di nero” (sable), che prese il nome da certi piccoli animali (sabellina pellis) che comparivano nei dintorni dei Luoghi Santi, il “d’azzurro”, che ricordava il mare attraversato per portarsi in Terra Santa o il “di rosso”, considerato da molti araldisti, il primo fra i colori dell’arme, perché rappresentava il sangue vivo versato. Le “pellicce” d’ermellino e di vajo ricordano, invece, le fodere in pelle delle vesti dei personaggi più eminenti e nobili.

L’ermellino, piccolo mammifero carnivoro, della famiglia delle mustelidi, simile alla donnola, che vive nelle regioni fredde dell’Europa e dell’Asia, trae il nome dalla regione dell’Armenia, per la iniziale provenienza di questa pelle. Nell’araldica italiana l’ermellino, in scudo, è assai raro trovarlo. Simboleggia l’incorruttibilità e la purezza, essendo tale animaletto, di pelliccia bianca, molto pulito.

L’ermellino, araldicamente, si rappresenta con un campo bianco sul quale sono seminate le code di questo animale, simili a crocette di nero, che si chiamano “moscature”.

Il vajo, piccolo scoiattolo siberiano, che si usa, anch’esso, molto raramente nell’araldica italiana, simboleggia nobiltà e dignità insigne.

Il vajo, araldicamente, viene rappresentato da quattro fila di pezzi d’argento a forma di campanelle rovesciate sopra un campo d’azzurro.

Addentrandoci più specificatamente nel simbolismo araldico degli “smalti”, ricordiamo che fra i “metalli”, l’oro rappresenta la Fede fra le virtù, il sole fra i pianeti, il leone nei segni zodiacali, luglio fra i mesi, la domenica fra i giorni della settimana, il topazio fra le pietre preziose, l’adolescenza sino ai vent’anni fra le età dell’uomo, il girasole fra i fiori, il sette fra i numeri e se stesso fra i metalli; l’argento rappresenta la Speranza fra le virtù, la luna fra i pianeti, il cancro nei segni zodiacali, giugno fra i mesi, il lunedì fra i giorni della settimana, la perla fra le pietre preziose, l’acqua fra gli elementi, l’infanzia sino a sette anni fra le età dell’uomo, il flemmatico fra i temperamenti, il giglio fra i fiori, il due fra i numeri e se stesso fra i metalli.

Fra i “colori”, invece, il rosso rappresenta la Carità fra le virtù, marte fra i pianeti, l’ariete e lo scorpione nei segni zodiacali, marzo e ottobre fra i mesi, il mercoledì fra i giorni della settimana, il rubino fra le pietre preziose, il fuoco fra gli elementi, l’autunno fra le stagioni, la virilità sino a cinquant’anni fra le età dell’uomo, il sanguigno fra i temperamenti, il garofano fra i fiori, il tre fra i numeri e il rame fra i metalli; l’azzurro rappresenta la Giustizia fra le virtù, giove fra i pianeti, il toro e la bilancia nei segni zodiacali, aprile e settembre fra i mesi, il martedì fra i giorni della settimana, lo zaffiro fra le pietre preziose, l’aria fra gli elementi, l’estate fra le stagioni, la fanciullezza sino ai quindici anni fra le età dell’uomo, il collerico fra i temperamenti, la rosa fra i fiori, il sei fra i numeri e lo stagno fra i metalli.

Passando al nero, ricordiamo che esso rappresenta la Prudenza fra le virtù, saturno fra i pianeti, il capricorno e l’acquario nei segni zodiacali, dicembre e gennaio fra i mesi, il venerdì fra i giorni della settimana, il diamante fra le pietre preziose, la terra fra gli elementi, l’inverno fra le stagioni, la decrepitezza sino alla morte fra le età dell’uomo, il melanconico fra i temperamenti, l’uno fra i numeri e il ferro fra i metalli; il verde rappresenta, invece, la Fortezza fra le virtù, venere fra i pianeti, i gemelli e la vergine nei segni zodiacali, maggio e agosto fra i mesi, il giovedì fra i giorni della settimana, lo smeraldo fra le pietre preziose, la primavera fra le stagioni, la giovinezza sino ai trent’anni fra le età dell’uomo, ogni pianta verde fra i fiori, il cinque fra i numeri e il piombo fra i metalli ed infine il porpora, che in araldica si dipinge con il viola, rappresenta la Temperanza fra le virtù, mercurio fra i pianeti, il sagittario e i pesci nei segni zodiacali, novembre e febbraio fra i mesi, il sabato fra i giorni della settimana, l’ametista fra le pietre preziose, la vecchiaia sino a settant’anni fra le età dell’uomo, l’iris fra i fiori, il quattro fra i numeri e l’argento vivo fra i metalli.

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Araldica

di Giorgio Aldrighetti

Fu necessario, altresì, creare dei segni convenzionali per comprendere ed individuare gli “smalti” dello scudo, quando lo stemma risulta riprodotto nei sigilli e nelle stampe in bianco e nero. Così gli araldisti, nel tempo, usarono vari sistemi; ad esempio, scrissero nei vari campi occupati dagli smalti, l’iniziale della prima lettera corrispondente al colore dello smalto, oppure individuarono i colori con l’iscrivere le prime sette lettere dell’alfabeto o, ancora riprodussero, sempre nei campi dello smalto, i primi sette numeri cardinali.

Nel XVII secolo, l’araldista francese Vulson de la Colombière propose, invece, dei particolari segni convenzionali per riconoscere il colore degli smalti negli scudi riprodotti in bianco e nero. L’araldista padre Silvestro di Pietrasanta della Compagnia di Gesù, per primo ne fece uso nella sua opera Tesserae gentilitiae ex legibus fecialium descriptae, diffondendone, così, la conoscenza e l’uso. 1)

Tale sistema di classificazione, tuttora usato, identifica il rosso con fitte linee perpendicolari, l’azzurro con orizzontali, smalti3il verde con diagonali da sinistra a destra, il porpora con diagonali da destra a sinistra, il nero con orizzontali e verticali incrociate, mentre l’oro si rende punteggiato e l’argento senza tratteggio.

Gli araldisti dovettero, anche, individuare, con assoluta precisione, dove le varie pezze o figure araldiche andavano caricate nel campo dello scudo. Lo scudo, di conseguenza, venne paragonato al corpo umano e suddiviso in “punti”, con il nome delle parti del corpo.

Il Vocabolario Araldico Ufficiale suddivide lo scudo in puntidelloscudo311 punti che sono: A cuore; B capo; C punta; D fianco destro; E fianco sinistro; F canton destro del capo G canton sinistro del capo; H canton destro della punta; I canton sinistro della punta; L posto d’onore; M ombelico. 2)

Ricordiamo che nel blasonare o descrivere araldicamente uno stemma, la sinistra dello scudo, per chi lo osserva, viene, invece, indicata e descritta con la destra e viceversa; il motivo, secondo alcuni araldisti, deriverebbe dal fatto che è lo scudo che si blasona da solo, per altri, invece, il motivo risale al fatto che, nel reggere lo scudo sul braccio, la parte sinistra dell’insegna, per il cavaliere, corrispondeva al lato destro dell’arma, per la persona che gli stava di fronte.

In definitiva: “l’arme – vale a partizionicolori3dire lo scudo araldico – è senz’altro un’espressione del proprio potere; è l’immagine del prestigio, dell’autorità e della ricchezza, ma è anche il simbolo nel quale si crede e per cui si combatte, se necessario, fino alla fine. L’identificazione dell’uomo con la sua città – non solo nel Medio Evo – e di questa con il proprio simbolo, fa sì che ogni minimo cambiamento delle insegne cittadine fosse vissuto come una sconfitta. Firenze, durante le lotte fra guelfi e ghibellini, indicava il cambio dei poteri invertendo semplicemente gli smalti ma mantenendo il simbolo”. 3)

Annotiamo, infine, che con il termine “ornamenti” si classificano tutte quelle figure che accompagnano esteriormente gli scudi e servono di contrassegno onorifico, per indicare la dignità del portatore e la classe sociale di appartenenza, se ecclesiastica, nobiliare, militare, di cittadinanza o di comunità.

fossati3Gli ornamenti esteriori possono essere “ereditari” o “personali”; nei primi rientrano, ad esempio, le corone, gli elmi, i cimieri, i lambrecchini, i sostegni, i tenenti, i supporti, le imprese, il mantello, il padiglione; mentre nei secondi troviamo le àncore, le bandiere, i cannoni, i trofei d’arme per i militari, le insegne equestri per i cavalieri, i cappelli per gli ecclesiastici, le fronde di quercia e d’alloro per le comunità e la cordelliera, il laccio d’amore e le palme per le donne.

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1) S. Pietrasanta (di), Tesserae gentilitiae ex legibus fecialium descriptae, Roma 1637.
2) A. Manno, Vocabolario araldico ufficiale, Roma 1907.
3) M.D. Papi, Di stemma non ce n’é uno solo, “Medioevo” – Anno II (1998), n. 8, pag. 89.

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