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L’ Araldica negli altri Stati

di Giorgio Aldrighetti

 scudoferdinando_2

Scudo della Grande Arma d’Austria ai tempi di
S. M. I. R. Ap. Ferdinando I

Riportiamo, ora, alcuni esempi araldici e vessillologici antichi e moderni di altri Stati.

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Argentina

buenosairesXVI

Stemma della Città di Buenos Aires – sec. XVI

 

buenosaires
Stemma della Città di Buenos Aires
rionegro
Provincia del Rionegro
laspalmas
Provincia di Las Palmas
santacruz
Provincia di Santa Cruz

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Austria

LA GRANDE ARMA IMPERIALE d’AUSTRIA
AI TEMPI DI S. M. I. R. Ap. FERDINANDO I

Giorgio Aldrighetti

austria

Corona dell’Impero Austro-Ungarico

Ferdinando I (1793-1875)

image002 La Veneta repubblica, com’era sua consuetudine, non sembra aver mai decretato o convalidato le armi di possesso proprie delle varie civiche comunità appartenenti alla Serenissima repubblica di San Marco; ed in questo siamo stati confortati dal parere di insigni studiosi.

Per quanto sopra anche la nostra città natale, Chioggia, appartenente al dogado veneto, che usava, sicuramente dal XIII secolo, l’arme d’argento al leone di rosso, non disponeva di alcun attestato di concessione.

Alla caduta della Serenissima, sotto la dominazione absburgica, Chioggia ravvisò, pertanto, la giusta opportunità di far legalizzare il proprio stemma.

E, finalmente, venne la sovrana risoluzione di concessione, datata 11 marzo 1837, regnando S. M. I. R. Ap. Ferdinando I d’Absburgo (1835-1848), e partecipata all’I. R. Governo delle Provincie Venete da Vienna il 17 marzo 1837.

Nello stesso anno, nel mese di novembre, vedrà la luce anche l’aulico brevetto, in lingua tedesca, che testualmente recita:

“Dall’I. R. Unita Cancelleria della Corte S. I. R. A. M. con Sua altissima decisione addì 11 marzo del c. a. si compiacque concedere benignamente alla città di Chioggia nella provincia di Venezia del regno lombardo veneto uno stemma. Epperciò alla città di Chioggia viene accordata la legittimazione circa l’uso dello stemma che per maggior chiarezza è indicato qui appresso, cioè: un leone rosso in campo argento. Questo scudo poi è circondato da una fascia dorata a fregi artisticamente incisi. Qualora si volesse adoperare questo stemma in qualità di sigillo, bisogna allora aggiungere attorno al medesimo l’iscrizione “Sigillo della città di Chioggia”, il quale stemma non si potrà giammai cangiare senza previa e specialissima autorizzazione.

Vienna li 22 novembre 1837.
Conte Ritrovitz cancelliere capo”.

Image2A seguito di un’altra petizione presentata sempre a S. M. I. R. Ap. Ferdinando I d’Absburgo da parte di mons. Antonio Savorin, vescovo della città e diocesi di Chioggia (1830-1840), lo stesso imperatore, con sovrana risoluzione in data 3 marzo 1838, concedeva al Venerabile ed amplissimo Capitolo dei canonici della cattedrale di Chioggia una decorazione consistente in una croce pettorale d’oro, di forma greca, sostenuta da un cordone terminante con un fiocco, il tutto di rosso, da portarsi sopra la mozzetta.

Il successivo 9 febbraio 1855 Sua Santità Pio IX, con il Breve Ecclesiarum in primis Cathedralium, convalidava ai Canonici clodiensi, in perpetuo, l’uso libero e lecito della croce pettorale d’oro, di forma greca, conferita dall’Imperatore Ferdinando I.

Tale particolare insegna, tuttora, viene portata dai rev. mi canonici del Capitolo della cattedrale clodiense.

Esistono, di conseguenza, molteplici motivi di riconoscenza e di gratitudine nei riguardi di S. M. I. R. Ap. Ferdinando I d’Absburgo che disponeva, tra l’altro, di numerosi titoli gentilizi e predicati di dominio e di pretensione; riteniamo, di conseguenza, opportuno elencarne i principali: imperatore d’Austria; re d’Ungheria e di Boemia; re di Lombardia e di Venezia; re di Dalmazia; re di Croazia; re di Schiavonia; re di Galizia; re di Lodomiria e dell’Illiria; re di Gerusalemme; arciduca d’Austria; gran principe di Transilvania; principe di Trento; principe di Bressanone; gran duca di Toscana; duca di Lorena; duca di Salisburgo; duca di Stiria; duca di Carinzia; duca di Carniola; duca d’Alta e Bassa Slesia; duca di Modena; duca di Parma; duca di Piacenza; duca di Guastalla; duca di Auschwitz; duca di Zator; duca di Teschen; duca del Friuli; duca di Ragusa; duca di Zara; margravio di Moravia; margravio dell’Alta e Bassa Lusazia; margravio d’Istria; conte del principato di Habsburg; conte del principato del Tirolo; conte del principato di Kyburg; conte del principato di Gorizia e Gradisca; conte di Hohenembs; conte di Feldkirch; conte di Bregenz; conte di Sonnenberg; signore di Trieste; signore di Cattaro.

image004Ci permettiamo, di conseguenza, quale omaggio e segno di devozione all’imperatore Ferdinando I ed alla casa d’Absburgo, per tutto quello che ha rappresentato e tuttora rappresenta, blasonare la grande arme imperiale d’Austria in uso ai tempi di tale imperatore:

“Partito di due e troncato di due:

Nel primo, inquartato e sul tutto uno scudetto:

nel 1° d’azzurro a tre teste di leopardo d’oro, coronate dello stesso, linguate di rosso, poste 2, 1 (regno di Dalmazia);

nel 2° scaccato d’argento e di rosso di cinque file (regno di Croazia);

nel 3° d’azzurro alla fascia ondata di rosso, bordata d’argento, caricata da una martora passante al naturale, la fascia sormontata da una stella di sei raggi d’oro;

nel 4° troncato, con una fascia diminuita di rosso sulla partizione: nel 1° d’azzurro all’aquila di nero nascente dalla fascia, con il volo abbassato, rostrata d’oro, linguata di rosso, accompagnata nel canton destro del capo da un sole raggiante d’oro e nel canton sinistro del capo da una mezzaluna crescente d’argento; nel 2° d’oro a sette torri di rosso, merlate alla guelfa di tre, aperte e finestrate d’azzurro, ordinate in fascia 4, 3 (gran principato di Transilvania);

sul tutto, scudetto partito:

nel 1° fasciato di rosso e d’argento di otto pezzi (regno d’Ungheria antica);

nel 2° di rosso alla croce patriarcale e patente d’argento movente da una corona d’oro, sostenuta da un monte alla tedesca di tre cime di verde; lo scudetto timbrato dalla corona di Santo Stefano

Nel secondo, troncato di due e partito di tre al capo ed in punta e partito di due in fascia e sul tutto uno scudetto:

nel primo, inquartato in palo:

nel 1° partito: nel 1° di nero all’aquila d’oro, linguata di rosso; nel 2° palato d’argento e di rosso di quattro pezzi (arciducato dell’Austria superiore);

nel 2° partito: nel 1° d’oro al leone di nero linguato e armato di rosso; nel 2° di rosso alla fascia d’argento (ducato di Salisburgo);

nel 3° di verde alla pantera d’argento rampante, armata, cornata e ignivoma di rosso (ducato di Stiria);

nel 4° d’argento alla croce di nero caricata da un filetto in croce potenziato e gigliato d’oro, sul tutto, in cuore, scudetto d’oro all’aquila di nero (insegna del gran maestro dell’Ordine Teutonico); nel secondo, interzato in palo:

nel 1°d’argento all’aquila spiegata di rosso, coronata, rostrata, membrata d’oro e legata a trifoglio sulle ali dell’ultimo (contea principesca del Tirolo);

nel 2° d’argento all’aquila spiegata di nero, rostrata, membrata, legata a trifoglio sulle ali, seminata di fiammelle, il tutto d’oro (principato di Trento);

nel 3° di rosso all’agnello pasquale d’argento, passante, con la testa rivolta, nimbato d’oro, tenente con la zampa anteriore destra un asta crociata dell’ultimo, con il drappo del vessillo d’argento alla croce di rosso (principato di Bressanone);

nel 1°d’azzurro allo stambecco saliente d’oro, cornato e unghiato di nero (contea di Hohenenbs); nel 2° d’argento al drappo del gonfalone di rosso, terminante in tre bandoni pendenti e cimato da tre anelli d’oro, posti in fascia (contea di Feldkirck);

nel 3° di pelli di vajo al palo d’argento caricato da tre code d’ermellino al naturale, una sull’altra (contea di Bregenz);

nel 4° d’azzurro al monte di tre cime alla tedesca sormontato da un sole raggiante, il tutto d’oro (contea di Sonnenberg);

sul tutto, scudetto: d’azzurro a cinque aquile d’oro, poste 2, 2, 1; lo scudetto timbrato dalla corona arciducale dell’Austria inferiore dell’Enns.

image006Nel terzo, troncato: nel primo, partito; nel secondo, interzato in palo e sul tutto uno scudetto:

nel 1° d’azzurro all’aquila scaccata d’oro e di rosso, coronata e rostrata del primo, linguata e membrata del secondo (margraviato di Moravia);

nel 2° d’oro all’aquila di nero, coronata, membrata e rostrata del primo, linguata di rosso, caricata in cuore da un montante terminante alle estremità a trifoglio, con una crocetta patente in cuore, il tutto d’argento (ducato di alta e bassa Slesia);

nel secondo, interzato in palo:

nel 1° d’azzurro al muro d’oro, mattonato di nero, merlato alla guelfa di tre pezzi (margraviato dell’alta Lusazia);

nel 2° d’azzurro all’aquila d’oro, rostrata, linguata e membrata di rosso (ducato di Teschen);

nel 3° d’argento al toro di rosso, fermo, con la testa posta di fronte, sostenuto da una pianura di verde (margraviato della Lusazia inferiore);

sul tutto, scudetto: di rosso al leone d’argento, con la coda annodata e biforcata, coronato, linguato e armato d’oro; lo scudetto timbrato dalla corona del regno di Boemia [2]

Nel quarto, troncato: nel primo, partito; nel secondo, interzato in palo:

nel primo, partito:

nel 1° d’azzurro al leone di rosso, con la coda annodata e biforcata, coronato, linguato e armato d’oro, accompagnato nel canton destro del capo da una mezzaluna calante e nel canton sinistro del capo da una stella di sei raggi, il tutto d’argento (Cumania);

nel 2° d’oro al destrocherio armato di rosso, movente da una nuvola d’argento uscente dal fianco sinistro dello scudo, impugnante nella mano di carnagione una scimitarra d’argento, guarnita d’oro, posta in sbarra, con la punta verso l’alto (Bosnia ed Erzegovina);

nel secondo, interzato in palo:

nel 1° d’azzurro alla banda di rosso, bordata e accostata da due filetti d’argento, caricata da un lupo corrente, dell’ultimo;

nel 2° di rosso alla testa di cinghiale di nero, strappata, posta di profilo in banda, linguata d’oro e con la difesa d’argento, ingolante un dardo dell’ultimo (Serbia);

nel 3° d’azzurro a tre ferri da cavallo d’argento posti 2, 1 (Rascia).

Nel quinto, interzato in palo:

nel 1° d’oro al leone di rosso coronato, linguato e armato d’azzurro (contea principesca di Habsburg);

nel 2° di rosso alla fascia d’argento (casa d’Austria) [3]

nel 3° d’oro alla banda di rosso caricata da tre alerioni d’argento, ordinati nel verso della pezza (ducato di Lorena).

Nel sesto, interzato in fascia: nel primo, partito; nel secondo e nel terzo, interzato in palo:

nel primo, partito:

nel 1° d’argento alla croce potenziata e scorciata d’oro, accantonata da quattro crocette dello stesso (regno di Gerusalemme);

nel 2° di rosso al castello d’oro di due palchi, merlato alla guelfa di sette, torricellato di tre pezzi e merlato di tre alla guelfa, murato di nero, aperto e finestrato d’azzurro (regno di Castiglia);

nel secondo, interzato in palo:

nel 1° d’argento al leone di rosso, coronato, linguato e armato d’oro (regno di Leon);

nel 2° palato d’oro e di rosso di nove pezzi (regno d’Aragona);

nel 3° d’azzurro al leone d’argento, coronato d’oro, linguato e armato di rosso, sostenente con la zampa anteriore destra una croce latina d’oro, posta in sbarra (Indie occidentali);

nel terzo, interzato in palo:

nel 1° decussato: nel 1° e nel 4° palato d’oro e di rosso di nove pezzi; nel 2° e nel 3° d’argento all’aquila di nero, abbassata e coronata dell’ultimo (regno di Sicilia);

nel 2° di nero alla croce piana d’argento (Calabria);

nel 3° d’azzurro seminato di gigli d’oro, al lambello di cinque gocce di rosso, attraversante il capo (Anjou).

Nel settimo, inquartato e sul tutto uno scudetto:

nel 1° d’oro a cinque palle di rosso poste in cinta 2, 2, 1, accompagnate in capo da una sesta più grande d’azzurro caricata da tre gigli d’oro ordinati in 2, 1 (granducato di Toscana);

nel 2° d’azzurro all’aquila d’argento coronata, rostrata e membrata d’oro, linguata di rosso (ducato di Modena);

nel 3° d’oro a sei gigli d’azzurro posti 3, 2, 1 (ducato di Parma e Piacenza);

nel 4° d’argento alla croce patente di rosso accantonata da quattro aquile di nero (ducato di Guastalla);

sul tutto, scudetto partito:

nel 1° d’argento ad una vipera d’azzurro ondeggiante in palo, coronata d’oro, ingollante un fanciullo di carnagione, posto in fascia, con i bracci distesi (regno di Lombardia);

nel 2° d’azzurro al leone d’oro, alato e nimbato dello stesso, con la testa posta di fronte, accovacciato, tenente fra le zampe anteriori avanti al petto il libro d’argento, aperto, scritto delle parole a lettere maiuscole romane di nero PAX TIBI MARCE, nella prima facciata in quattro righe, ed EVANGELISTA MEUS.

[1] La corona del regno d’Ungheria, comunemente chiamata corona di Santo Stefano, è il risultato dell’assemblaggio di due corone: la prima inviata in dono nell’anno 1000 dal papa Silvestro II al re Stefano d’Ungheria; la seconda donata, invece, dall’imperatore d’Oriente Michele Dukas Parapinace al re Geysa I d’Ungheria nell’anno 1072.

[2] La corona del regno di Boemia figura dal 1347 ed è comunemente chiamata corona di San Venceslao

[3] Lo scudetto d’Austria “di rosso alla fascia d’argento” trae origine, secondo un’epica e struggente leggenda, dalla battaglia di Tolemaide (1191) nella quale l’eroico Leopoldo, duca d’Austria, innalzò come vessillo, per chiamare a raccolta i suoi prodi, il proprio sorcotto intriso oramai di sangue e rimasto solo bianco al centro o in fascia, poiché il condottiero teneva una cintura molto larga. Tali smalti compongono tuttora la bandiera austriaca.[/vc_column_text][/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Sezione 3″ tab_id=”1458929924005-e01cba52-f598″][vc_column_text]

Austria

Nella seconda facciata, similmente in quattro righe; il leone sostenuto da una pianura di verde (regno di Venezia); lo scudetto timbrato dalla corona ferrea [1]

Nell’ottavo, interzato in fascia: nel primo e nel secondo inquartato in palo; nel terzo partito con un innestato in punta e sul tutto uno scudetto:

nel primo, inquartato in palo:

nel 1° partito: nel 1° d’oro a tre leoni di nero passanti l’uno sull’altro; nel 2° di rosso alla fascia d’argento (ducato di Carinzia);

nel 2° d’argento all’aquila d’azzurro, coronata d’oro, rostrata, linguata e membrata di rosso, caricata in cuore da un montante scaccato di rosso e d’oro di due file (ducato di Carniola);

nel 3° d’argento al cappello di nero bordato d’argento, con due cordoni decussati di rosso, desinenti in nappe (marca di Windisch);

nel 4° d’azzurro all’aquila d’oro, coronata dell’ultimo, rostrata, linguata e membrata di rosso (ducato del Friuli);

nel secondo, inquartato in palo:

nel 1° troncato: nel 1° d’oro all’aquila bicipite di nero, coronata sulle due teste e rostrata del primo, linguata di rosso; nel 2° di rosso alla fascia d’argento, alla corsesca di San Sergio d’oro attraversante in palo, movente dalla punta (signoria di Trieste) [2]

nel 2° d’azzurro alla capra ferma d’oro, coronata e unghiata di rosso (margraviato d’Istria);

nel 3° troncato d’oro e d’azzurro, alla croce ancorata d’argento attraversante sul tutto (contea principesca di Gradisca);

nel 4° trinciato: nel 1° d’azzurro al leone d’oro coronato dello stesso; nel 2° sbarrato d’argento e di rosso (contea principesca di Gorizia);

nel terzo, partito:

nel 1° d’argento a tre bande d’azzurro (ducato di Ragusa);

nel 2° d’argento al leone di rosso, armato del primo (signoria di Cattaro);

innestato in punta: d’argento al cavallo passante di nero, imbrigliato d’oro e sellato d’azzurro, con un cavaliere armato alla romana, mantellato di rosso, tenente con la mano destra un’asta d’oro di un vessillo con il drappo, bifido e svolazzante, d’argento alla croce di rosso, (ducato di Zara);

sul tutto, scudetto: d’azzurro ad una nave all’antica d’oro, vogante di quattro remi, banderuolata dell’ultimo, con il drappo svolazzante a sinistra; lo scudetto timbrato dalla corona del regno d’Illiria.

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Nel nono, troncato semipartito e sul tutto uno scudetto:

nel 1° d’azzurro a due fasce scaccate di due tiri e di tre file, d’argento e di rosso (regno di Lodomiria);

nel 2° d’argento all’aquila d’azzurro, rostrata e membrata d’oro, linguata di rosso (ducato di Auschwitz);

nel 3° d’azzurro all’aquila d’argento, rostrata e membrata d’oro, linguata di rosso (ducato di Zator);

sul tutto, scudetto: d’azzurro alla fascia diminuita di rossa attraversante sul tutto, sostenente un corvo di nero, posato, allumato d’oro, accompagnata in punta da tre corone all’antica, d’oro, ordinate 2, 1; lo scudetto timbrato dalla corona del regno di Galizia.

La grande arma, accollata in cuore all’aquila imperiale bicipite spiegata di nero, coronata d’oro sulle due teste, rostrata e membrata dell’ultimo, linguata di rosso, tenente con gli artigli: a destra lo scettro e la spada reale con la impugnatura cruciforme, il tutto d’oro; a sinistra il globo imperiale, centrato e crociato dello stesso.

L’aquila bicipite è timbrata dalla corona imperiale d’Austria che è chiusa, arcata a semicerchi, sostenuta da un cerchio d’oro, gemmato, rialzato da punte ornate di fioroni d’oro, sormontata da una crocetta cimata da una perla a forma di goccia, foderata di una berretta di rosso, dalla quale scendono due infule di rosso, svolazzanti e frangiate d’oro.

La grande arma è contornata dai collari dell’Ordine equestre del Toson d’oro [3], dell’Ordine militare di Maria Teresa [4], dell’Ordine al merito civile ungherese di Santo Stefano [5], dell’Ordine imperiale austriaco di Leopoldo [6] e dell’Ordine imperiale della Corona Ferrea” [7].

Annotiamo che la blasonatura della grande arma ha riguardato ben 62 stemmi di dominio e di pretensione. Nel patrimonio araldico dell’impero d’Austria figurano, ovviamente, anche lo stemma d’Austria chiamato medio o mezzano ed il piccolo stemma.

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Lo stemma medio si compone dell’aquila imperiale bicipite, eguale a quella della grande arma, timbrata dalla corona imperiale e caricata in cuore dello scudetto della casa imperiale d’Austria che è interzato in palo con gli stemmi della contea principesca di Habsburg, della casa d’Austria e del ducato di Lorena. Nelle penne dell’aquila, nella positura montante, figurano caricati undici scudetti, timbrati con le rispettive corone reali, principesche, arciducali e ducali, con gli stemmi d’Ungheria; Lombardo Veneto; Illiria; Transilvania; Moravia; Bucovina; Tirolo; Boemia; Galizia; Austria inferiore dell’Enns; Salisburgo; Stiria e Carinzia. Lo stemma medio è contornato dai collari dell’Ordine del Toson d’oro, dell’Ordine di Maria Teresa, dell’Ordine di Santo Stefano, dell’Ordine di Leopoldo e dell’Ordine della Corona Ferrea.

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Il piccolo stemma, infine, si compone dell’aquila imperiale bicipite, eguale a quella della grande e media arma, timbrata dalla corona imperiale e caricata in cuore dello scudetto della casa imperiale d’Austria che è interzato in palo con gli stemmi della contea principesca di Habsburg, della casa d’Austria e del ducato di Lorena; lo scudetto contornato dal collare dell’Ordine del Toson d’oro.

______________________

[1] La famosa corona ferrea trae il nome dalla lamina di ferro circolare che adorna il cerchio d’oro, gemmato e smaltato presente nel tesoro della basilica di San Giovanni in Monza; tale lamina deriverebbe, secondo la tradizione, da un chiodo della Passione di N. S. G. C. Come noto si deve a Sant’Elena l’Invenzione della Croce.

[2] Trieste modificò la propria arma: “di rosso alla fascia d’argento, alla corsesca di San Sergio d’oro attraversante in palo, movente dalla punta” con il passaggio dall’Austria all’Italia, assumendo per arma: “di rosso alla corsesca di San Sergio d’oro attraversante in palo, movente dalla punta” ed abbandonando, di conseguenza, la fascia d’argento. Molti studiosi ed anche diversi araldisti, parlando dell’arma di Trieste, la descrivono caricata da un alabarda o da uno scettro a firma di giglio; in realtà, si tratta della corsesca, ovvero di un arma composta da un’asta da lancio di media lunghezza con ferro a foggia di spuntone con alla base due ali laterali taglienti e ricurve verso la punta, usata, di norma, per sgarrettare i cavalli; secondo la tradizione, con tale strumento venne martirizzato il triestino San Sergio. Il nome dicorsesca deriva da corso “di Corsica” per l’iniziale uso di tale strumento in quest’isola.

[3] L’Ordine del Toson d’oro venne creato dal duca di Borgogna Filippo II, detto il Buono, nella città di Bruges, il 10 di gennaio del 1429, in occasione delle sue nozze con l’infanta Isabella di Portogallo e si componeva di 24 cavalieri. L’Ordine che risulta posto sotto la protezione di Sant’Andrea ap.lo, nel 1516, per volontà di Carlo I, re di Spagna, ((divenuto poi Carlo V imperatore), si ampliò a 50 cavalieri, oltre il sovrano, capo dell’Ordine. L’Ordine venne ripetutamente approvato dal papa Gregorio XIII nel 1564 e da Clemente VIII, nel 1599. Con il matrimonio di Massimiliano, arciduca d’Austria, con la figlia di Carlo il Temerario, il Gran Magistero dell’Ordine passò alla casa d’Austria. Dopo la morte dell’imperatore Carlo V, i re di Spagna, suoi successori, furono i Gran Maestri dell’insigne Ordine. Nel novembre del 1700, con la morte di Carlo II, ultimo re spagnolo della casa d’Austria, l’arciduca Carlo (che si era fatto proclamare re di Spagna con il nome di Carlo III) essendo salito al trono d’Austria con il nome di Carlo VI, nel 1713 ripristinò l’Ordine del Toson d’oro, dichiarandosi unico Gran Maestro. A nulla valsero le proteste del re di Spagna Filippo V e da tale data i sovrani di Spagna e d’Austria, ciascuno per proprio conto, conservarono il diritto di conferire tale Ordine. Il collare d’oro della decorazione si compone di acciarini intervallati da pietre focaie d’azzurro, sprigionanti fiamme di rosso; dalla collana pende il mitico toson o vello d’oro: Il nastro dell’Ordine è di rosso mentre il motto recita: ANTE FERIT QUAM FLAMMA MICET.

[4] L’Ordine militare di Maria Teresa venne istituito il 12 di dicembre del 1758 per perpetuare la vittoria contro i Prussiani nella battaglia del 18 di giugno del 1757 e per ricompensare gli atti di valore. L’Ordine è diviso nelle classi di Gran Croce, Commendatore e Cavaliere. La decorazione dell’Ordine si compone nel recto di una croce d’oro, smaltata di bianco, greca, patente e ritondata, caricata in cuore da uno scudetto circolare di rosso alla fascia d’argento (gli smalti della casa d’Austria); lo scudetto risulta circondato da un cerchio d’oro nel quale figura il motto FORTITUDINI; nel verso, una corona d’alloro con la cifra di Maria Teresa. La croce è sostenuta dal nastro dell’Ordine: di rosso tramezzato da una lista di bianco in palo.

A tal proposito, ci permettiamo di far osservare le similitudini che esistono nei colori del nastro e nella forma della croce tra quest’Ordine e l’Ordine della Corona d’Italia, quest’ultimo istituito da S. M. Vittorio Emanuele II, re d’Italia, il 20 di febbraio del 1868, per consacrare e perpetuare la memoria della consolidazione dell’Italia, grazie alle annessioni.

[5] L’Ordine di Santo Stefano d’Ungheria è stato creato dall’imperatrice Maria Teresa il 6 di maggio del 1764 in onore del primo re d’Ungheria Santo Stefano. L’Ordine ha per scopo di premiare il merito, la virtù ed i servizi resi allo Stato ed alla persona del Sovrano; il Gran Magistero è unito in perpetuo alla corona d’Ungheria. La decorazione consiste nel recto di una croce d’oro, smaltata di bianco, greca e patente, caricata in cuore da uno scudetto circolare raffigurante una croce patriarcale d’argento, timbrata con la corona d’Ungheria; con addestrata e sinistrata la cifra di Maria Teresa; la croce sostenuta da un monticello di verde; lo scudetto risulta circondato da un cerchio d’oro nel quale figura il motto PUBLICUM MERITORUM PRAEMIUM; nel verso, una corona di foglie di quercia con la cifra STO: ST. RI. AP. che sta per Sancto Stephano Regi Apostolico. La croce, sormontata dalla corona dell’impero d’Austria, è sostenuta dal nastro dell’Ordine di rosso. La festa dell’Ordine cade il 2 di settembre, nella ricorrenza di Santo Stefano d’Ungheria.

[6] L’imperatore Francesco I, in occasione delle sue nozze con l’arciduchessa Maria Luisa avvenute l’8 di gennaio del 1808, creò l’Ordine di Leopoldo per onorare la memoria dell’imperatore Leopoldo II. L’Ordine ricompensa tutte le persone che si rendono insigni nelle lettere, nelle scienze, nelle arti e nelle invenzioni e scoperte. L’Ordine figura diviso in tre classi: 1° Gran Croci, che acquisiscono il titolo di cugini dell’imperatore; 2° Commendatori che prendono il titolo di baroni; 3° Cavalieri che ricevono lanobiltà ereditaria. Tale Ordine che ha per Gran Maestro l’imperatore può essere conferito, oltre ai sudditi, anche agli stranieri. La decorazione dell’Ordine si compone nel recto di una croce d’oro, smaltata di rosso con la bordatura di bianco greca e patente, caricata in cuore da uno scudetto circolare di rosso, nel quale figurano le iniziali dell’Imperatore F. I. A., che sta per Franciscus Imperator Austriae; lo scudetto risulta circondato da un cerchio di bianco nel quale figura il motto INTEGRITATI ET MERITO; nel verso, una corona d’alloro dorata riportante il motto dell’imperatore Leopoldo II OPES REGUM CORDA SUBDITORUM. La croce, sormontata dalla corona dell’impero d’Austria, è sostenuta dal nastro: di rosso bordato di bianco.

[7] Napoleone I, imperatore dei Francesi, dopo la sua incoronazione a re d’Italia avvenuta il 26 di maggio del 1805, creò il successivo 5 di giugno, l’Ordine cavalleresco della Corona Ferrea per ricompensare i valorosi, gli scienziati e quant’altri dichiarati degni. Dopo la caduta dell’impero napoleonico, Francesco I, imperatore d’Austria, il 12 di febbraio del 1812, in occasione del suo genetliaco, avocò al patrimonio araldico della casa d’Austria tale Ordine, con nuovi statuti, dividendolo in tre classi di cavalieri e conferendo agli insigniti gli stessi privilegi dei cavalieri dell’Ordine di Santo Stefano. La decorazione consiste nella corona ferrea sormontata dall’aquila imperiale bicipite, coronata su ambo le teste, tenente con gli artigli: a destra la spada reale; a sinistra il globo imperiale, centrato e crociato; l’aquila caricata in cuore da uno scudetto triangolare d’azzurro con l’iscrizione F (Francesco I); nel verso, caricata sempre nello scudetto, l’iscrizione 1815; il tutto sormontato dalla corona dell’impero d’Austria. La decorazione è sostenuta da un nastro di giallo listato d’azzurro. La divisa o motto dell’Ordine è AVITA ET ACUTA.

Ci sia permesso ricordare che, nel tempo, l’impero austriaco disponeva di altri Ordini cavallereschi, tra i quali annoveriamo l’Ordine al merito militare, l’Ordine di Elisabetta Teresa, l’Ordine di Francesco Giuseppe, l’Ordine della croce stellata e l’Ordine di Elisabetta per le dame.

(Cfr. L. Cappelletti, Storia degli Ordini cavallereschi esistenti, soppressi ed estinti presso tutte le nazioni del mondo, Livorno 1904).

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Croazia

stemmarovigno2

  Stemma della città di Rovigno.

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Romania

sigillocittaromansecXV

    Sigillo della Città di Roman sec. XV.

Stemmi dei distretti e delle città
della Repubblica Socialista di Romania (1970)

cittabistrit
Stemma della Città di Bistrit
vescovohusilorsecXIX
Stemma del Vescovo ortodosso di Husilor (sec. XIX)
michelsturdzamoldavia
Armoriale del Principe Michele Sturdza della Moldavia
(1834 – 1840)
romania187233
Armoriale della Romania con i 33 distretti
(1872)
distrettocluj
Stemma del Distretto di Cluj
(1974)
distrettogalati
Stemma del Distretto di Galati
(1974)
distrettoiasi
Stemma del Distretto di Iasi
(1974)
distrettosuceava
Stemma del Distretto di Suceva
(1974)

cittabucarest1862

Stemma Città di Bucarest
(1862)

 

cittabucarest1930
Stemma Città di Bucarest
(1930)
cittabucarest1974

Stemma Città di Bucarest
(1974)

 

cittaiasi
Stemma Città di Iasi
cittaalbaiulia1974
Stemma Città di Alba Iulia
(1974)
cittacostanza1974
Stemma Città di Costanza
(1974)
cittatimisoara1974 (1)
Stemma Città di Timosoara

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Repubblica di San Marino

  GLI EMBLEMI ARALDICI DELLA
SERENISSIMA REPUBBLICA DI SAN MARINO

GIORGIO ALDRIGHETTI

“Vi sono stati tempi in cui ogni persona sapeva che cosa è uno stemma; oggi non è più la stessa cosa. Eppure anche oggi si dovrebbe riguardare uno stemma come un elemento essenziale del quadro generale, poiché lo si incontra a ogni piè sospinto, seppure meno noto di quanto lo sia stato nel periodo d’oro dell’araldica”.” 1)

“L’araldica ha attraversato tre epoche: nella prima si praticava e non si studiava; nella seconda si praticava e si studiava; nella terza, che è la presente, si studia e non si pratica”, così affermava nel 1891 il Crollalanza.” 2)

Al giorno d’oggi c’è l’esigenza di aggiungere una quarta variante: “l’araldica non si studia e non si pratica più”.

“Coloro che considerano l’arte araldica superficialmente e con occhio profano, non la tengono, ma a torto, in alcun conto e la designano come una delle tante vanità dell’orgoglio umano. Ma lo studioso che analizza le istituzioni sociali secondo il modo col quale si sono formate, sviluppate ed affermate, la classifica giustamente fra le principali scienze ausiliarie della storia e di quanto ad essa è affine, cioè della sfragistica, della numismatica, dell’epigrafia e della stessa archeologia. Non solo, ma la ritiene pure fonte dalla quale scaturiscono diritti e doveri di varia natura che è stretto obbligo di indagare e studiare. 3)

Siamo perfettamente coscienti che i tempi attuali sono meno sensibili al valore dei simboli ed alla scienza araldica, ma cercare il proprio stemma, quello vero, da poter innalzare come vessillo, con il quale segnare le proprie carte è in qualche modo cercare se stessi, la propria immagine, la propria identità.

C’è nel simbolo che una comunità sceglie e pone nel suo gonfalone qualcosa di più di una semplice convenzione. E’ storia di archetipi, di significati condensati nel nostro passato e sommersi che avrebbero soltanto bisogno di essere riportati alla luce; sono segni che rimangono davanti a noi tutt’oggi.

Ecco come lo studio e la riscoperta dei significati degli Emblemi araldici della Repubblica di San Marino, non possono che acquisire un significato pregnante. Ed a questa sorgente ricchissima e inesausta è ancora possibile attingere per il nostro oggi.[/vc_column_text][/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Sezione 6″ tab_id=”1458931481614-55c6e749-e5b4″][vc_column_text]

Repubblica di San Marino

  L’ARALDICA SANMARINESE
E LE SUE ORIGINI

    “Quando gli eserciti crocesignati, attraversato lo stretto del Bosforo, approdarono in Terrasanta, i capitani addivennero immediatamente alla risoluzione che non era possibile mantenere la sola distinzione della croce per tutto l’esercito. Si rendeva necessario quantomeno distinguere i corpi dell’armata per nazionalità e così i vari eserciti assunsero la croce diversamente colorata: quello italiano l’ebbe azzurra; quello tedesco nera od oro; quello francese rossa (e poi bianca); quello inglese bianca (e poi rossa); i fiamminghi ed i sassoni verde, ecc.

Questa differenziazione si rivelò presto insufficiente: nel clangore della battaglia, nel turbinio della lotta, bisognava sapere con certezza quali cavalieri si distinguevano per coraggio, o quelli che al contrario, evitavano il combattimento per viltà o, ancora, chi fossero quelli catturati o feriti o che perdevano la vita nella tenzone.

Fino a quel momento gli elmi a bacinetto, lasciando scoperto il viso, pur con qualche difficoltà permettevano il riconoscimento del cavaliere, ma quando cominciarono ad essere usati gli elmi a becco di passero, a celata, a cancello, non vi fu modo di individuare il combattente. Si pensò allora di porre un segno distintivo per ciascun cavaliere; un simbolo che fosse adottato esclusivamente da un guerriero, il quale da quel momento sarebbe stato identificato a mezzo delle insegne che portava sul suo scudo, sull’elmo, sulla sopravveste o sulla gualdrappa del proprio cavallo. Per far ciò si rispolverarono gli antichi elementi che esprimevano le famiglie, cioè quei simboli che ancora non costituivano uno stemma e che, è il caso di dirlo, furono riciclati con un intento preciso, definito, creando così un legame indissolubile tra il cavaliere ed il suo simbolo; un binomio che diede origine all’araldica, la quale venne a porre ordine in un complesso e variopinto universo simbolico.

Non tutti i cavalieri disponevano di insegne di famiglia e per questo si pensò di caricare lo scudo intonso, il cosiddetto ‘ scudo di aspettazione’ con gli elementi che si ritennero via via più pertinenti ed opportuni.

Il cavaliere vittorioso in battaglia aveva il diritto di fregiarsi delle insegne catturate al nemico vinto, ponendole sul proprio scudo. Era sufficiente un’azione vittoriosa per aver titolo a prendere i segni della vittoria: conquistando le mura di un castello si poteva inserire nello scudo la figura della torre o della cinta merlata, o della scala che era servita a salire sugli spalti per espugnare la fortezza.

Come le imprese militari, anche quelle amorose costituivano elemento di distinzione: i cuori spesso facevano bella mostra sullo scudo del cavaliere innamorato, così come le rose (od altri fiori), le colombe, le fiamme, la fornace, le frecce: tutti simboli dell’amore ardente. Spesso il colore del velo o del fazzoletto di una damigella che, da spettatrice, partecipava ad un torneo, ad una giostra, finiva a connotare lo scudo di qualche cavaliere ancora alla ricerca del distintivo araldico definitivo.

Ben presto però le figure in uso, pur se assai numerose, non furono più sufficienti ad esprimere il moltiplicarsi dei cavalieri, e si dovettero perciò creare nuove forme di distinzione. La croce assunse allora le forme più svariate e le colorazioni più disparate e, nel blasone, cominciarono ad entrare nuove figure quali draghi, unicorni, sirene, grifoni, animali fantastici e mostruosi che verranno successivamente definiti chimerici.

Moltiplicando le figure si cominciò ad esempio ad usare la ‘fascia’ la quale, con questo nome, venne a lungo indicata anche quando assunse posizioni diverse da quella orizzontale, indicate poi in ‘palo’, ‘banda’, ‘sbarra’, dando origine alle ‘pezze onorevoli’, così definite in quanto furono le più antiche.

Con il trascorrere del tempo altre figure si aggiunsero a quelle in uso e si cominciò a fare ricorso alle ‘partizioni’ che raccoglievano nello scudo più elementi”. 4)

Ricordiamo infine che le città, ai tempi del feudalesimo, non possedevano stemmi, ma rendendosi indipendenti, ad iniziare dal XII secolo, alzarono uno stemma, generalmente concesso dall’imperatore o dal vescovo, per lo più ai liberi Comuni.

 

LO SCUDO

“L’araldica inventa le bizzarre divisioni dello scudo, crea immagini fantastiche, ricerca nella mitologia, nella storia, nell’archeologia, nel costume dei popoli per trarne figure allusive a nomi e ad avvenimenti, e traccia con segni emblematici sugli scudi delle famiglie, delle città e delle nazioni le vicende, le appellazioni, i titoli e le particolarità di esse, servendosi di un mezzo conosciuto da tutti i popoli, il simbolo.

Dopo l’invenzione dell’armi gentilizie, gli araldi o re d’armi ebbero ufficio di conoscere tutte le usanze e tutte le leggi che lo regolavano, studiare i diritti della nobiltà, impedire le usurpazioni, conservare i registri genealogici e gli armoriali, e gridare la descrizione delle insegne di quei cavalieri che, presentandosi a combattere in un torneo, suonavano il corno per chiamare gli araldi stessi, onde venissero a riconoscere il loro stemma. Dal tedesco blasen (suonare il corno) provenne la voce blasone. Questa etimologia, che è la più generalmente adottata dagli araldisti, non è peraltro accertata; altre ne furono proposte, ma tutte egualmente dubbie.

Il blasone è la scienza che insegna a decifrare le armi, a comprendere il significato nelle diverse figure, le proprietà, le leggi dell’araldica, e a descrivere in linguaggio tecnico qualunque specie di insegne. Malgrado questa distinzione, le voci araldica e blasone sono in generale prese l’una per l’altra”. 5)

“Ancor prima dell’inizio del XII secolo era ormai diventata una consuetudine per i cavalieri e i nobili far dipingere sui propri scudi figure ornamentali. Si trattava di disegni puramente decorativi, ma forse gli araldi capirono che se la decorazione avesse assunto carattere sistematico lo scudo sarebbe diventato il distintivo, il segno di riconoscimento di chi lo portava.

Sembra che agli inizi del XIII secolo gli araldi possedessero un loro particolare linguaggio espressivo, un insieme di convenzioni che vennero accettate, dalla totalità dell’aristocrazia normanna. Da allora in poi gli araldi detennero il controllo di tale sistema, tanto che questa divenne la loro mansione fondamentale.

Gli stemmari compilati dagli araldi sono le più importanti testimonianze sulle origini dell’arte araldica… L’uso dei simboli nasce insieme all’uomo e pertanto viene spontaneo chiedersi cosa rende il simbolismo araldico così unico nel suo genere e assolutamente inimitabile. La risposta è che esso segue dei criteri ben precisi, che possiamo così schematizzare: lo scudo è la forma che meglio si presta allo spiegamento delle armi; queste sono disposte in maniera da risultare facilmente riconoscibili, esteticamente belle e capaci di trasmettere un messaggio simbolico… Qualsiasi espressione artistica nel momento in cui si manifesta per la prima volta possiede doti di semplicità e di essenzialità che col tempo viene gradualmente a perdere, per assumere forme più complesse e articolate; a questa realtà non si sottrae neppure l’araldica”. 6)

Nella scienza araldica per scudo si intende il piano o campo sul quale si pongono le pezze o figure delle quali sono composte le armi: da ciò derivò l’uso di prendere lo scudo per l’arme stessa.

La forma dello scudo cambia a seconda delle epoche nelle quali fu usato; fin dall’antichità era un arnese difensivo di guerra, smesso dopo l’invenzione e il perfezionamento delle armi da fuoco.

Ai tempi dei greci e dei romani, le forme di scudo militare maggiormente usate erano lo scudo a rotella detto parma, inventato dai Galli ed usato dalle milizie romane a cavallo, il clipeo, sempre rotondo e di grandi dimensioni, usato dalle fanterie romane e lo scudo ovale detto ancile.

Nel secolo XII e nella prima metà del XIII, lo scudo divenne alto, pari alla metà del guerriero e veniva chiamato triangolare, nella parte inferiore appuntito e nella parte superiore arrotondato in modo da riparare la persona del guerriero; veniva portato attorno alla spalla mediante un cingolo.

Nella seconda metà del XIII secolo e nel XIV gli scudi s’impiccoliscono, con la tradizionale forma triangolare, ma a lati uguali. Nel secolo XV diventano retti ai lati e al di sotto arrotondati, chiamati perciò semirotondi, sui quali si posizionavano più facilmente le armi composte.

In questo periodo, nelle giostre e nei tornei, vennero usati pure gli scudi a punta, denominati targhe, fortemente incavati e piegati e nel lato sinistro forniti di un intaglio traverso il quale, nel giostrare, i cavalieri passavano la lancia. Concluso l’epico periodo delle giostre e dei tornei, durante il Rinascimento, gli scudi ebbero forme svariatissime ed eleganti: ovali, rotonde, intagliate, che nei secoli XVII e XVIII divennero barocche. Questi scudi presero il nome di targhe, parme, torelle, pavesi, teste di cavallo o di toro.

Lo scudo maggiormente usato in Italia è il sannitico, detto anche francese o moderno, così chiamato perché usato anticamente dai Sanniti. Tale scudo si presta ottimamente per caricarvi le armi composte, risultando di forma quasi quadra, con gli angoli inferiori arrotondati, terminando in fondo con la punta.

“L’arme, vale a dire lo scudo araldico è senz’altro un’espressione del proprio potere; è l’immagine del prestigio, dell’autorità e della ricchezza, ma è anche il simbolo nel quale si crede e per cui si combatte, se necessario, fino alla fine. L’identificazione dell’uomo con la sua città – non solo nel Medio Evo – e di questa con il proprio simbolo, fa sì che ogni minimo cambiamento delle insegne cittadine fosse vissuto come una sconfitta. Firenze, durante le lotte fra guelfi e ghibellini, indicava il cambio dei poteri invertendo semplicemente gli smalti ma mantenendo il simbolo”. 7)

bandiera (1)

“Ora, per chi voglia studiare il fatto araldico nel suo aspetto cittadino s’imbatte, da subito, in alcune difficoltà quasi insormontabili; il campo dell’araldica comunale, infatti, è carente ed anche molto disordinato. Solo con un lungo e paziente lavoro di cernita, di controllo, di restauro, di ricostruzione di lineamenti e caratteri si possono evitare leggende locali, errate connessioni etimologiche e impossibili riferimenti storici. Vi è un’estrema scarsità di stemmi cittadini originari, che in altre parole risalgano a una data tale da permetterci di ragionare con una certa sicurezza sulle caratteristiche iniziali dell’emblema. Il fatto è che gli stemmi cittadini, a differenza di quelli di famiglia, che in genere sono custoditi con maggior cura, sono soggetti a rapido deperimento, perché applicati a oggetti d’uso, restauri, che ne hanno spesso alterato irrimediabilmente l’aspetto.

In qualche caso particolarmente fortunato possiamo valerci di riproduzioni di stemmi esistenti in pitture o miniature librarie, o anche in disegni a penna, ora rozzi ora abbastanza curati, che spesso s’incontrano nelle pagine dei rogiti notarili o di protocolli di adunanze consiliari. Documentazione attendibile di solito, quanto all’età, ma troppo spesso approssimativa, dal punto di visto araldico vero e proprio. E casuale è anche la menzione, e più ancora la descrizione di stemmi in fonti narrative e cronachistiche. Anche gli statuti cittadini od i vari libri iurium ci aiutano assai poco. E tutte queste fonti ci lasciano del tutto insoddisfatti quando in loro cerchiamo la risposta alla domanda storicamente più importante, circa la data di origine e i motivi e modi di creazione dello stemma cittadino: non erano problemi che interessassero, se non in rari casi.

La prima cura del ricercatore dev’essere quella di accertare la sicura o presumibile presentazione originaria di essi, evitando di appoggiarsi alle loro forme più tarde, di incerto o di nullo valore”. 8)

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Repubblica di San Marino

GLI STEMMI ARALDICI
DEI CASTELLI DI
SAN MARINO

Come giustamente osserva Loredana Pinotti degli Uberti, attualmente “La Repubblica di San Marino è suddivisa in nove Castelli. La denominazione di ‘Castello’ indica una porzione di territorio alla quale, per le sue radici e peculiarità storiche, di tradizione, di configurazione geografica, di urbanizzazione, viene riconosciuta a fini politico-amministrativi una identità precisa e portatrice di interessi particolari. I Castelli, o distretti amministrativi, sono: San Marino, Borgo Maggiore, Serravalle, Acquaviva, Chiesanuova, Domagnano, Faetano, Fiorentino, Montegiardino”. 9)

Nel 1894, con l’inaugurazione del pubblico palazzo vengono alzati sull’edificio gli stemmi dei primi quattro Castelli sammarinesi: Fiorentino, Montegiardino, Serravalle 10) e Faetano. 11) Nel 1925, con il Regolamento n° 7 del 16 marzo “per l’elezione e l’ufficio dei Capitani dei Castelli” vengono istituiti dieci Castelli, 12) passati poi, come già ricordato, a nove.

Di conseguenza, anche i Castelli di nuova istituzione iniziano ad alzare le insegne araldiche con i simboli tratti dalla storia e dalle tradizioni.

Ma tali emblemi non vengono ufficialmente regolamentati, assistendo così al nascere di numerose varianti affidate al gusto e alle scelte personali degli esecutori.

Bisognerà attendere il 1997 per vedere regolamentati gli stemmi dei Castelli sammarinesi con il Decreto Reggenziale del 28 marzo, n° 40. 13)

La descrizione, però, degli stemmi non sembra essere rispettosa “delle regole fondamentali dell’araldica”. 14)

Ad esempio, nel Decreto citato gli smalti araldici e non ‘colori’ vengono descritti con il sistema del ‘pantone grafico’, sistema questi assolutamente non previsto nella blasonatura, indicando così il giallo (pantone 115) al posto del di oro, 15) l’azzurro (pantone 2995) al posto del d’azzurro, 16) il verde (pantone 355) il posto del di verde, 17) il rosso (pantone red 032) al posto del di rosso, 18) il bianco (ottenuto senza colorare) al posto del d’argento, 19) non figurando il bianco fra gli smalti araldici. 20)

Inoltre la sinistra araldica, stranamente viene chiamata destra, senza parlare della blasonatura che risulta del tutto mancante.

Nel Dizionario bibliografico iconografico della Repubblica di San Marino, opera del Conte Luigi de Montalbo, del Duca Amedeo Astraudo e del Conte Amedeo Galati di Riella, edito a Parigi nel 1898, vengono descritti gli stemmi degli antichi Castelli; riteniamo perciò utile riportare tali blasonature unitamente alle descrizioni previste nel Decreto Reggenziale del 28 marzo 1997, n°40, terminando con quelle da noi proposte, in carattere corsivo.

CITTÀ DI SAN MARINO

Le origini di San Marino Città si richiamano all’illustre leggenda del Santo Fondatore della comunità sammarinese e della Repubblica, quando Marino, nel 301 d. C., si rifugiò sul monte Titano.

1) …;
2) scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo, campo in azzurro, tre torri in giallo piumate in bianco e digradanti a destra, muro merlato antistante in bianco con il motto LIBERTAS;
3) d’azzurro a tre torri d’argento, mattonate di nero, merlate alla guelfa di tre pezzi, finestrate dell’ultimo e cimate da una penna di struzzo aranciata, fondate su tre montagne d’argento, mattonate di nero e merlate alla guelfa di tre pezzi, decrescenti in banda. La montagna posta a destra con i declivi interamente visibili, le altre, con i declivi in sbarra parzialmente celati. Le montagne moventi da una muraglia del penultimo, mattonata di nero e merlata alla ghibellina di cinque pezzi, decrescente in banda e fondata in punta, caricata dal motto in lettere maiuscole capitali dello stesso, LIBERTAS, egualmente in banda.

Le varianti sono: le tre torri che diventano gialle, la merlatura bianca.

BORGO MAGGIORE

Borgo Maggiore, antico Mercatale fin dal 1244, assume un particolare interesse storico per i musei, chiese, monumenti e contrade caratteristiche.

1) Scudo sannitico: d’oro, alla fortezza cimata delle tre torri piumate di San Marino, caricata del motto Libertas; accompagnata in punta da una chiesa di rosso, poggiata di verde;
2) scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo, campo in azzurro, tre torri in giallo piumate in bianco e digradanti a destra, muro merlato antistante in bianco recante il motto LIBERTAS, loggia con campanile in giallo con tetti in rosso e campo inferiore bianco;
3) d’azzurro a tre torri d’argento, mattonate di nero, merlate alla guelfa di tre pezzi, finestrate dell’ultimo e cimate da una penna di struzzo aranciata, fondate su tre montagne d’argento, mattonate di nero e merlate alla guelfa di tre pezzi, decrescenti in banda. La montagna posta a destra con i declivi interamente visibili, le altre, con i declivi in sbarra parzialmente celati. Le montagne moventi da una muraglia del penultimo, con i declivi visibili, mattonata di nero, merlata alla ghibellina di sette pezzi, caricata dal motto, in lettere maiuscole capitali dello stesso LIBERTAS e fondata su una pianura d’azzurro; alla chiesa d’argento chiusa di quattro pezzi, coperta di rosso con sinistrato il suo campanile del penultimo, chiuso e finestrato di nero, coperto di rosso, accompagnato a sinistra dalla casa d’argento, chiusa di due pezzi e coperta del penultimo, il tutto fondato sulla pianura.

Le varianti sono: lo smalto del campo, l’oro che diventa azzurro, le tre torri che diventano gialle, la merlatura bianca, la chiesa che diviene un campanile giallo dai tetti rossi (ma rappresentato come una chiesa) e la sparizione della campagna.

DOMAGNANO (Monte Lupo)

Domagnano era un piccolo villaggio fin dal 1300. Nel 1463 al suo territorio fu annesso il fortilizio di Montelupo, conquistato dai Sammarinesi dopo la guerra sostenuta contro i Malatesta di Rimini.

1) …;
2) scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo, campo in azzurro, monte sormontato da torre diruta gialla, lupo bianco passante a sinistra, campo inferiore verde;
3) d’azzurro alla collina al naturale, fondata su una pianura d’oro e cimata da una rocca diruta d’argento, attraversata da una strada dell’ultimo, in banda, con addestrati due alberi nodriti al naturale; al lupo fermo al naturale, movente dalla pianura.
Le varianti sono: la scomparsa della strada d’argento e del crescente, il lupo che diventa bianco.

SERRAVALLE

    Serravalle viene citato per la prima volta nel famoso diploma di re Ottone del 962. Avamposto malatestiano, fu annesso alla Repubblica nel 1463.

1) Scudo sannitico: d’azzurro alla torre di rosso merlata di tre pezzi;
2) scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo, campo in azzurro, torre merlata rossa;
3) d’azzurro alla torre scalare di rosso, merlata alla guelfa di tre pezzi, chiusa, finestrata e mattonata di nero, fondata sulla pianura di verde, il tutto cucito;
Nessuna variante.

FIORENTINO

    Fiorentino, antico fortilizio malatestiano, fu annesso alla Repubblica nel 1463.

1) Scudo sannitico: d’oro a tre rose di rosso;
2) scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo, campo in giallo con tre fiori in rosso di cui uno sottostante;
3) d’oro a tre rose di rosso, di cinque petali, poste 2 , 1.
Nessuna variante.

MONTEGIARDINO

    Le origini di Montegiardino risalgono all’epoca longobarda e forse più addietro. Annesso alla Repubblica nel 1463, è sede di un antichissimo e suggestivo castello.

1) D’azzurro a tre monti d’oro accostati, quello di mezzo caricato da una pianta di rose fiorita di tre pezzi di rosso disposti in ventaglio e fogliata di verde di sei pezzi;
2) scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo, campo in azzurro, trimonzio di giallo da cui si ergono tre fiori rossi con stelo e due foglie verdi;
3) d’azzurro al ramo gambuto e fogliato di verde, fiorito di rose di tre pezzi di rosso, disposti a ventaglio, nodrito nella vetta di un monte di tre colli all’italiana, aranciato, il tutto cucito.

La variazione riguarda la pianta di rose che si trasforma in fiori.

FAETANO

    Faetano, antico dominio dei Malatesta di Rimini, fu uno degli ultimi territori annessi alla Repubblica nel 1463. Interessante il centro del paese, per l’antica chiesa, la cui costruzione risale al secolo scorso, e la casa del castello.

1) Scudo sannitico: d’oro al faggio sradicato di verde;
2) scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo, campo in azzurro, grande faggio con tronco e radici in giallo e chiomato verde;
3) d’oro al faggio sradicato, al naturale.
Le variazioni riguardano il campo che da oro diventa azzurro e l’albero di faggio il cui tronco diventa d’oro.

CHIESANUOVA (Penna Rossa)

Chiesanuova, trae le origini dal medioevale castello e corte di Busignano.Presenta un paesaggio di particolare bellezza per l’ambiente naturale, adagiato sui primi contrafforti appenninici.

1) Scudo sannitico: d’argento alla penna di rosso;
2) scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo, campo in azzurro, piuma di struzzo in rosso curvata a destra;
3) di verde alla penna di struzzo di rosso, posta in palo, con la punta curva a sinistra, il tutto cucito.

La variazione riguarda lo smalto del campo che da argento si muta in d’azzurro, mentre la penna viene indicata come curvata a destra.

ACQUAVIVA

Acquaviva, dalle origini medioevali, deve il suo nome ad una sorgente d’acqua scaturita dalla viva-roccia. Oggi è un ridente paese immerso nel verde della campagna circostante.

1) …;
2) scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo, campo in azzurro, tre monti stilizzati in verde sormontati da tre alberi, a tronco giallo, chiomati di verde;
3) d’azzurro a tre alberi nodriti sopra un monte di tre cime, movente dalla punta, il tutto al naturale.

Nessuna variante.

LE BANDIERE DEI CASTELLI

Per quanto riguarda le Bandiere dei Castelli l’art. 2 del più volte citato Decreto 28 marzo 1997 n. 40, così recita: “La Bandiera di ciascun Castello ha dimensioni come da allegato «A». Si compone di una fascia superiore di colore bianco e di una inferiore di colore azzurro e reca al centro lo stemma del castello su scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo.

Sul lato sinistro della bandiera, in verticale, è riprodotto il nome del Castello in carattere peigmot”.

Ci sia a tal punto consentito ricordare che il drappo della bandiera non “si compone di una fascia superiore di colore bianco e di una inferiore di colore azzurro e reca al centro lo stemma del castello su scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo” bensì è: “troncato, nel primo di bianco, nel secondo d’azzurro, caricato in cuore dall’arme del castello”.

Non si trova poi corretto descrivere “su scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo”, risultando un’espressione quanto mai infelice ed approssimativa: blasonando un’arme, di norma, non si descrive la forma dello scudo, dando per scontato che si tratta dell’usuale scudo di forma sannitica. Solo per particolari forme di scudo è consigliata la descrizione.

Il nome del Castello caricato nel drappo della bandiera verso l’asta, in palo, non si blasona poi con:

“Sul lato sinistro della bandiera, in verticale, è riprodotto il nome del Castello in carattere peigmot”, come prevede invece l’art. 2 del Decreto 28 marzo 1997, n. 40.

Parimenti per le dimensioni del drappo, di norma non si descrivono; particolarmente infelice ci sembra poi la dicitura “ha dimensioni come da allegato «A»”. Sarà invece opportuno descriverle solo se tali dimensioni risultano diverse, per comprovati motivi storico-vessillologici, da quelle usuali.

Necessita quindi fare memoria e speranza di queste sorgenti ricchissime e inesauste, a cui è possibile attingere ancora per il nostro oggi. Se una comunità non fa memoria delle proprie radici, del proprio passato, non può avere speranza, non può avere certezze per il proprio avvenire.

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Repubblica di San Marino

GLI STEMMI ARALDICI
DEI CASTELLI DI
SAN MARINO

stemmi_2

Come giustamente osserva Loredana Pinotti degli Uberti, attualmente “La Repubblica di San Marino è suddivisa in nove Castelli. La denominazione di ‘Castello’ indica una porzione di territorio alla quale, per le sue radici e peculiarità storiche, di tradizione, di configurazione geografica, di urbanizzazione, viene riconosciuta a fini politico-amministrativi una identità precisa e portatrice di interessi particolari. I Castelli, o distretti amministrativi, sono: San Marino, Borgo Maggiore, Serravalle, Acquaviva, Chiesanuova, Domagnano, Faetano, Fiorentino, Montegiardino”. 9)

Nel 1894, con l’inaugurazione del pubblico palazzo vengono alzati sull’edificio gli stemmi dei primi quattro Castelli sammarinesi: Fiorentino, Montegiardino, Serravalle 10) e Faetano. 11) Nel 1925, con il Regolamento n° 7 del 16 marzo “per l’elezione e l’ufficio dei Capitani dei Castelli” vengono istituiti dieci Castelli, 12) passati poi, come già ricordato, a nove.

Di conseguenza, anche i Castelli di nuova istituzione iniziano ad alzare le insegne araldiche con i simboli tratti dalla storia e dalle tradizioni.

Ma tali emblemi non vengono ufficialmente regolamentati, assistendo così al nascere di numerose varianti affidate al gusto e alle scelte personali degli esecutori.

Bisognerà attendere il 1997 per vedere regolamentati gli stemmi dei Castelli sammarinesi con il Decreto Reggenziale del 28 marzo, n° 40. 13)

La descrizione, però, degli stemmi non sembra essere rispettosa “delle regole fondamentali dell’araldica”. 14)

Ad esempio, nel Decreto citato gli smalti araldici e non ‘colori’ vengono descritti con il sistema del ‘pantone grafico’, sistema questi assolutamente non previsto nella blasonatura, indicando così il giallo (pantone 115) al posto del di oro, 15) l’azzurro (pantone 2995) al posto del d’azzurro, 16) il verde (pantone 355) il posto del di verde, 17) il rosso (pantone red 032) al posto del di rosso, 18) il bianco (ottenuto senza colorare) al posto del d’argento, 19) non figurando il bianco fra gli smalti araldici. 20)

Inoltre la sinistra araldica, stranamente viene chiamata destra, senza parlare della blasonatura che risulta del tutto mancante.

Nel Dizionario bibliografico iconografico della Repubblica di San Marino, opera del Conte Luigi de Montalbo, del Duca Amedeo Astraudo e del Conte Amedeo Galati di Riella, edito a Parigi nel 1898, vengono descritti gli stemmi degli antichi Castelli; riteniamo perciò utile riportare tali blasonature unitamente alle descrizioni previste nel Decreto Reggenziale del 28 marzo 1997, n°40, terminando con quelle da noi proposte, in carattere corsivo.

CITTÀ DI SAN MARINO

Le origini di San Marino Città si richiamano all’illustre leggenda del Santo Fondatore della comunità sammarinese e della Repubblica, quando Marino, nel 301 d. C., si rifugiò sul monte Titano.

1) …;
2) scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo, campo in azzurro, tre torri in giallo piumate in bianco e digradanti a destra, muro merlato antistante in bianco con il motto LIBERTAS;
3) d’azzurro a tre torri d’argento, mattonate di nero, merlate alla guelfa di tre pezzi, finestrate dell’ultimo e cimate da una penna di struzzo aranciata, fondate su tre montagne d’argento, mattonate di nero e merlate alla guelfa di tre pezzi, decrescenti in banda. La montagna posta a destra con i declivi interamente visibili, le altre, con i declivi in sbarra parzialmente celati. Le montagne moventi da una muraglia del penultimo, mattonata di nero e merlata alla ghibellina di cinque pezzi, decrescente in banda e fondata in punta, caricata dal motto in lettere maiuscole capitali dello stesso, LIBERTAS, egualmente in banda.

Le varianti sono: le tre torri che diventano gialle, la merlatura bianca.

BORGO MAGGIORE

Borgo Maggiore, antico Mercatale fin dal 1244, assume un particolare interesse storico per i musei, chiese, monumenti e contrade caratteristiche.

1) Scudo sannitico: d’oro, alla fortezza cimata delle tre torri piumate di San Marino, caricata del motto Libertas; accompagnata in punta da una chiesa di rosso, poggiata di verde;
2) scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo, campo in azzurro, tre torri in giallo piumate in bianco e digradanti a destra, muro merlato antistante in bianco recante il motto LIBERTAS, loggia con campanile in giallo con tetti in rosso e campo inferiore bianco;
3) d’azzurro a tre torri d’argento, mattonate di nero, merlate alla guelfa di tre pezzi, finestrate dell’ultimo e cimate da una penna di struzzo aranciata, fondate su tre montagne d’argento, mattonate di nero e merlate alla guelfa di tre pezzi, decrescenti in banda. La montagna posta a destra con i declivi interamente visibili, le altre, con i declivi in sbarra parzialmente celati. Le montagne moventi da una muraglia del penultimo, con i declivi visibili, mattonata di nero, merlata alla ghibellina di sette pezzi, caricata dal motto, in lettere maiuscole capitali dello stesso LIBERTAS e fondata su una pianura d’azzurro; alla chiesa d’argento chiusa di quattro pezzi, coperta di rosso con sinistrato il suo campanile del penultimo, chiuso e finestrato di nero, coperto di rosso, accompagnato a sinistra dalla casa d’argento, chiusa di due pezzi e coperta del penultimo, il tutto fondato sulla pianura.

Le varianti sono: lo smalto del campo, l’oro che diventa azzurro, le tre torri che diventano gialle, la merlatura bianca, la chiesa che diviene un campanile giallo dai tetti rossi (ma rappresentato come una chiesa) e la sparizione della campagna.

DOMAGNANO (Monte Lupo)

Domagnano era un piccolo villaggio fin dal 1300. Nel 1463 al suo territorio fu annesso il fortilizio di Montelupo, conquistato dai Sammarinesi dopo la guerra sostenuta contro i Malatesta di Rimini.

1) …;
2) scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo, campo in azzurro, monte sormontato da torre diruta gialla, lupo bianco passante a sinistra, campo inferiore verde;
3) d’azzurro alla collina al naturale, fondata su una pianura d’oro e cimata da una rocca diruta d’argento, attraversata da una strada dell’ultimo, in banda, con addestrati due alberi nodriti al naturale; al lupo fermo al naturale, movente dalla pianura.
Le varianti sono: la scomparsa della strada d’argento e del crescente, il lupo che diventa bianco.

SERRAVALLE

    Serravalle viene citato per la prima volta nel famoso diploma di re Ottone del 962. Avamposto malatestiano, fu annesso alla Repubblica nel 1463.

1) Scudo sannitico: d’azzurro alla torre di rosso merlata di tre pezzi;
2) scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo, campo in azzurro, torre merlata rossa;
3) d’azzurro alla torre scalare di rosso, merlata alla guelfa di tre pezzi, chiusa, finestrata e mattonata di nero, fondata sulla pianura di verde, il tutto cucito;
Nessuna variante.

FIORENTINO

    Fiorentino, antico fortilizio malatestiano, fu annesso alla Repubblica nel 1463.

1) Scudo sannitico: d’oro a tre rose di rosso;
2) scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo, campo in giallo con tre fiori in rosso di cui uno sottostante;
3) d’oro a tre rose di rosso, di cinque petali, poste 2 , 1.
Nessuna variante.

MONTEGIARDINO

    Le origini di Montegiardino risalgono all’epoca longobarda e forse più addietro. Annesso alla Repubblica nel 1463, è sede di un antichissimo e suggestivo castello.

1) D’azzurro a tre monti d’oro accostati, quello di mezzo caricato da una pianta di rose fiorita di tre pezzi di rosso disposti in ventaglio e fogliata di verde di sei pezzi;
2) scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo, campo in azzurro, trimonzio di giallo da cui si ergono tre fiori rossi con stelo e due foglie verdi;
3) d’azzurro al ramo gambuto e fogliato di verde, fiorito di rose di tre pezzi di rosso, disposti a ventaglio, nodrito nella vetta di un monte di tre colli all’italiana, aranciato, il tutto cucito.

La variazione riguarda la pianta di rose che si trasforma in fiori.

FAETANO

    Faetano, antico dominio dei Malatesta di Rimini, fu uno degli ultimi territori annessi alla Repubblica nel 1463. Interessante il centro del paese, per l’antica chiesa, la cui costruzione risale al secolo scorso, e la casa del castello.

1) Scudo sannitico: d’oro al faggio sradicato di verde;
2) scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo, campo in azzurro, grande faggio con tronco e radici in giallo e chiomato verde;
3) d’oro al faggio sradicato, al naturale.
Le variazioni riguardano il campo che da oro diventa azzurro e l’albero di faggio il cui tronco diventa d’oro.

CHIESANUOVA (Penna Rossa)

Chiesanuova, trae le origini dal medioevale castello e corte di Busignano.Presenta un paesaggio di particolare bellezza per l’ambiente naturale, adagiato sui primi contrafforti appenninici.

1) Scudo sannitico: d’argento alla penna di rosso;
2) scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo, campo in azzurro, piuma di struzzo in rosso curvata a destra;
3) di verde alla penna di struzzo di rosso, posta in palo, con la punta curva a sinistra, il tutto cucito.

La variazione riguarda lo smalto del campo che da argento si muta in d’azzurro, mentre la penna viene indicata come curvata a destra.

ACQUAVIVA

Acquaviva, dalle origini medioevali, deve il suo nome ad una sorgente d’acqua scaturita dalla viva-roccia. Oggi è un ridente paese immerso nel verde della campagna circostante.

1) …;
2) scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo, campo in azzurro, tre monti stilizzati in verde sormontati da tre alberi, a tronco giallo, chiomati di verde;
3) d’azzurro a tre alberi nodriti sopra un monte di tre cime, movente dalla punta, il tutto al naturale.

Nessuna variante.

LE BANDIERE DEI CASTELLI

Per quanto riguarda le Bandiere dei Castelli l’art. 2 del più volte citato Decreto 28 marzo 1997 n. 40, così recita: “La Bandiera di ciascun Castello ha dimensioni come da allegato «A». Si compone di una fascia superiore di colore bianco e di una inferiore di colore azzurro e reca al centro lo stemma del castello su scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo.

Sul lato sinistro della bandiera, in verticale, è riprodotto il nome del Castello in carattere peigmot”.

Ci sia a tal punto consentito ricordare che il drappo della bandiera non “si compone di una fascia superiore di colore bianco e di una inferiore di colore azzurro e reca al centro lo stemma del castello su scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo” bensì è: “troncato, nel primo di bianco, nel secondo d’azzurro, caricato in cuore dall’arme del castello”.

Non si trova poi corretto descrivere “su scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo”, risultando un’espressione quanto mai infelice ed approssimativa: blasonando un’arme, di norma, non si descrive la forma dello scudo, dando per scontato che si tratta dell’usuale scudo di forma sannitica. Solo per particolari forme di scudo è consigliata la descrizione.

Il nome del Castello caricato nel drappo della bandiera verso l’asta, in palo, non si blasona poi con:

“Sul lato sinistro della bandiera, in verticale, è riprodotto il nome del Castello in carattere peigmot”, come prevede invece l’art. 2 del Decreto 28 marzo 1997, n. 40.

Parimenti per le dimensioni del drappo, di norma non si descrivono; particolarmente infelice ci sembra poi la dicitura “ha dimensioni come da allegato «A»”. Sarà invece opportuno descriverle solo se tali dimensioni risultano diverse, per comprovati motivi storico-vessillologici, da quelle usuali.

Necessita quindi fare memoria e speranza di queste sorgenti ricchissime e inesauste, a cui è possibile attingere ancora per il nostro oggi. Se una comunità non fa memoria delle proprie radici, del proprio passato, non può avere speranza, non può avere certezze per il proprio avvenire.

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Repubblica di San Marino

GLI STEMMI ARALDICI
DEI CASTELLI DI
SAN MARINO

  Il patrimonio araldico della Repubblica di San Marino si compone di due Ordini Equestri Statuali o di Merito, L’Ordine Civile e Militare di San Marino e l’Ordine di Sant’Agata.

ORDINE CIVILE E MILITARE DI SAN MARINO

rsmgrancroce3Il 13 agosto 1859, nella ricorrenza del quindicesimo secolo dalla fondazione della Repubblica, Il Principe e Sovrano Consiglio istituì un Ordine cavalleresco civile e militare, ponendolo sotto il titolo del protettore e fondatore dello Stato, San Marino.

L’Ordine serve per ricompensare il merito, il valore, l’ingegno dei sudditi e per onorare i sovrani ed i capi di Stato.

L’Ordine venne riformato con decreti del Principe e Sovrano Consiglio del 22 marzo 1860 e 27 settembre 1868 ed è diviso nelle seguenti classi:

 

Cavaliere di Gran Croce

Cavaliere Grand’Ufficiale

Cavaliere Ufficiale Maggiore o Commendatore

Cavaliere Ufficiale

Cavaliere

 

La decorazione consiste in una croce greca ancorata d’oro, smaltata di bianco e accantonata da quattro torri d’oro, caricata da uno scudetto rotondo d’oro, cerchiato d’azzurro, con l’effigie di San Marino e la legenda SAN MARINO PROTETTORE; nel rovescio l’arma della Repubblica caricata in uno scudetto circolare con il motto MERITO CIVILE E MILITARE. La croce risulta cimata da una corona principesca chiusa d’oro appesa ad un nastro di bianco palato di quattro, d’azzurro.

ORDINE DI SANT’AGATA

sagrancroce3Il Consiglio Grande e Generale della Repubblica il 5 giugno 1923 istituì l’Ordine cavalleresco di Sant’Agata, compatrona della repubblica Sammarinese, per ricompensare le benemerenze acquisite da cittadini stranieri verso la Repubblica.

L’Ordine, riformato negli anni 1923, 1925 e 1946, si compone delle seguenti classi:

 

Cavaliere di Gran Croce

Grand’Ufficiale

Commendatore

Ufficiale

Cavaliere

 

La decorazione consiste in una croce greca patente d’oro, smaltata di bianco e addossata ad una corona d’alloro, caricata in cuore da uno scudetto rotondo riproducente l’effigie di Sant’Agata, con la legenda in cerchio SANT’AGATA PROTETTRICE; nel rovescio l’arma della Repubblica caricata in uno scudetto circolare con il motto BENE MERENTI. Il nastro della decorazione è rosso cremisi con due verghette di bianco e di giallo a ciascun lato. 21)

Decorazioni della Repubblica di San Marino

( Tipi, Decreti, ecc.)

____________________

1) O. Neubecker, J. P. Brooke Little, R. Tobler, Araldica, origini, simboli, significati, Verona 1980, p. 6.

2) G. Crollalanza (di), Araldica Ufficiale, Pisa 1891.

3) U. Morini, Araldica, Firenze 1929, vol. V., p. 6.

4) G. Malacarne, Araldica Gonzaghesca, Modena 1992, pp.19-20.

5) F. Tribolati, Grammatica Araldica, Milano 1904, p. 44.

6) A.C. Fox-Davies, Insegne Araldiche, (Introduzione di John P.B. Brooke-Little), Orsa Maggiore Editrice, Torriana (Fo), 1992, p. 3.

7) M. D. Papi, Di stemma non ce n’è uno solo, “MedioEvo”, anno II (1998), n. 8, p. 89.

8) E. Duprè Theseider, Sugli stemmi delle città comunali italiane, “LA STORIA DEL DIRITTO NEL QUADRO DELLE SCIENZE STORICHE”, Firenze 1966, pp. 313-314.

9) L. Pignotti, Gli stemmi dei castelli di San Marino, relazione storico-araldica presentata al XXIII Congresso internazionale di scienze genealogica e araldica, Torino 1998.

10) Ottenuti da San Marino quale ricompensa per la partecipazione alla guerra contro Sigismondo Pandolfo Malatesta da parte del Sommo Pontefice Pio II da Siena, (Enea Silvio Piccolomini, 1458-1464).

11) Faetano entrò a far parte del territorio sammarinese per dedizione spontanea.

12) All’art. 2 si recita: “… il Territorio della Repubblica è diviso nei seguenti Distretti: 1 – Castello della Guaita, con Distretto quella parte della Parrocchia Pieve che costituisce la Città di San Marino circoscritta dal crinale del Monte Titano e dalla strada di circonvallazione Crocefisso – Stradone – Cappuccini, sino alla seconda torre; 2 – Castello della Fratta, con Distretto quella parte della Parrocchia Pieve distaccata col nome di Parrocchia del Borgo e quella costituente il picco del Monte Titano dal crinale verso il mare (Nord-Est) e l’intera Parrocchia di San Giovanni; 3 – Castello del Montale, con Distretto il resto della Parrocchia Pieve dal crinale del Monte Titano e dai limiti del Castello della Guaita verso il Rio San Marino (Sud-Ovest); 4 – Castello di Fiorentino, con Distretto l’intera Parrocchia omonima; 5 – Castello di Pennarossa, con Distretto l’intera Parrocchia di Chiesanuova; 6 – Castello di Montecerreto, con Distretto l’intera Parrocchia dell’Acquaviva; 7 – Castello della Torraccia, con Distretto l’intera Parrocchia di Domagnano; 8 – Castello di Serravalle, con Distretto l’intera Parrocchia omonima; 9 Castello di Faetano, con Distretto l’intera Parrocchia omonima; 10 – Castello di Montegiardino, con Distretto l’intera Parrocchia omonima”. (Regolamento n° 7 del 16 marzo 1925 per l’elezione e l’ufficio dei Capitani dei Castelli).

13) Decreto 28 marzo 1997, n. 40.

 

REPUBBLICA DI SAN MARINO

Istituzione dei nuovi stemmi dei Castelli della Repubblica di San Marino
Noi Capitani Reggenti
La Serenissima Repubblica di San Marino
Vista la delibera del Congresso di Stato n. 83 del 24 marzo 1997;
ValendoCi delle Nostre facoltà;
Decretiamo, promulghiamo e mandiamo a pubblicare:

Art. 1 I Castelli della Repubblica, di cui alla Legge 24 Febbraio 1994 n. 22, sono autorizzati a far uso di stemma, bandiera e gonfalone secondo le disposizioni che seguono.

Art. 2 La Bandiera di ciascun Castello ha dimensioni come da allegato «A».
Si compone di una fascia superiore di colore bianco e di una inferiore di colore azzurro e reca al centro lo stemma del castello su scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo.
Sul lato sinistro della bandiera, in verticale, è riprodotto il nome del Castello in carattere peigmot.

Art. 3 Il gonfalone del Castello ha forma rettangolare e dimensioni come da allegato «B».
Il margine inferiore reca sei bande rettangolari; a colore di fondo marrone ed è contornato da una bordatura di colore giallo. Reca al centro lo stemma del Castello su scudo della foggia di cui al precedente art. 2.
Lo stemma è sormontato dal nome del Castello in carattere ducdeberry.

Art. 4 Gli stemmi dei Castelli, da apporsi sulle bandiere ed i gonfaloni, nonché nei sigilli, sono i seguenti:

 

1. Città di San Marino: scudo tradizionale a bordo inferiore curvilineo, campo in azzurro, tre torri in giallo piumate in bianco e digradanti a destra, muro merlato antistante in bianco con il motto LIBERTAS.
2. Borgo Maggiore: scudo come sopra, campo in azzurro, tre torri in giallo piumate in bianco e digradanti a destra, muro merlato antistante in bianco recante il motto LIBERTAS, loggia con campanile in giallo con tetti in rosso e campo inferiore bianco.
3. Domagnano: scudo come sopra, campo in azzurro, monte sormontato da torre diruta gialla, lupo bianco passante a sinistra, campo inferiore verde.
4. Serravalle: scudo come sopra, campo in azzurro, torre merlata rossa.
5. Fiorentino: scudo come sopra, campo in giallo con tre fiori in rosso di cui uno sottostante.
6. Montegiardino: scudo come sopra, campo in azzurro, trimonzio di giallo da cui si ergono tre fiori rossi con stelo e due foglie verdi.
7. Faetano: scudo come sopra, campo in azzurro, grande faggio con tronco e radici in giallo e chiomato verde.
8. Chiesanuova: scudo come sopra, campo in azzurro, piuma di struzzo in rosso curvata a destra.
9. Acquaviva: scudo come sopra, campo in azzurro, tre monti stilizzati in verde sormontati da tre alberi, a tronco giallo, chiomati di verde.

 

Art. 5 Le Giunte ed i Capitani di Castello sono tenuti a far uso di sigilli, gonfaloni e bandiere corrispondenti alle disposizioni del presente decreto.
Presso il Dicastero ai Rapporti con le Giunte di Castello sono depositati i modelli grafici e cromatici dei predetti.

Dato dalla Nostra Residenza, addì 28 marzo 1997/1696 d.F.R.

I CAPITANI REGGENTI
Gian Carlo Venturini – Maurizio Rattini

IL SEGRETARIO DI STATO
PER GLI AFFARI INTERNI
Antonio Lazzaro Volpinari

 

14) Nella presentazione della pubblicazione Bandiere, Gonfaloni e Stemmi dei Castelli di San Marino edita dalla Segreteria di Stato per il Commercio, Rapporti con le Giunte di Castello e con l’A.A.S.S. il 10 dicembre 1997, il Segretario di Stato Ottaviano Rossi scrive: “… Lo studio preparatorio che ne è derivato dopo le approvazioni di competenza delle varie Giunte di Castello, ha dato luogo all’emissione di un apposito Decreto Reggenziale – 28 Marzo 1997 n° 40 – che ne ha regolamentato le caratteristiche dimensionali grafiche e cromatiche.
Nell’occasione si è provveduto anche a ridisegnare graficamente gli Stemmi dei Castelli utilizzando il tradizionale scudo «Sannitico» con il bordo inferiore curvilineo e attenendosi all’esigenza di essenzialità grafica, secondo le regole fondamentali dell’araldica in cui gli elementi compositivi vengono semplificati e ridotti a pure stilizzazioni”.

15) L’oro, che è il più nobile dei due metalli blasonici, fra le virtù teologali rappresenta la fede, fra i pianeti il sole, nello zodiaco il leone, fra i mesi luglio, fra i giorni la domenica, fra le pietre il topazio, fra le età l’adolescenza sino ai venti anni, fra i fiori il girasole, fra i numeri il 7 e fra i metalli se stesso.
“E’ simbolo del sole, onde dagli Inglesi Sole venne detto l’oro posto nelle arme dei sovrani e Topazio se figurante in quelle dei gentiluomini. Alcuni antichi araldisti contrassegnarono appunto questo smalto col segno zodiacale del sole. Il Ménéstrier vuole che sia venuto all’araldica dalla fazione Aurea del Circo, il che è poco probabile. Fu contrassegno dei Ghibellini e livrea dei duchi di Lorena. Nei tornei significava ricchezza, amore, onore e nelle bandiere desiderio di vittoria. Quanto al suo simbolismo nell’araldica, è uno dei più estesi: la fede, la giustizia, la carità, l’umiltà, la temperanza, la clemenza, la nobiltà, lo splendore, la gloria, la felicità, l’amore, la prosperità, la purezza, la gioia, la ricchezza, la generosità, la temperanza, la sapienza, la costanza, il potere, la cavalleria, la gentilezza, la forza, la magnanimità, la longevità e l’eternità sono rappresentate dall’oro. Tante idee annesse ad un solo colore diminuiscono, bisogna convenire, la fede che si dovrebbe prestare a questa simbolica: ma per gli antichi araldi e cavalieri che sapeano comporre sì giudiziosamente i varii colori, e indagarne con tanto acume il mistero, è certo che l’oro dovea rappresentare tutte queste diverse virtù, a seconda del come e con cui era disposto”. (G. Crollalanza (di), Enciclopedia araldico-cavalleresca, cit., p. 451, voce Oro).

16) L’azzurro, che rappresenta l’immortalità dell’anima e l’amore filiale a Maria, fra le virtù cardinali simboleggia la giustizia, fra i pianeti giove, nello zodiaco il toro e la bilancia, fra i mesi aprile e settembre, fra i giorni il martedì, fra le pietre lo zaffiro, fra gli elementi l’aria, fra le stagioni l’estate, fra le età la fanciullezza sino ai sette anni, fra i temperamenti il collerico, fra i fiori la rosa, fra i numeri il 6 e fra i metalli lo stagno. (G. Aldrighetti – M. De Biasi, Il Gonfalone di San Marco, Venezia 1998, pp. 64-65).
“Ne’ tornei s’introdusse l’azzurro a rappresentare il firmamento e l’oceano, ossia l’aria e l’acqua, come il verde fu simbolo della terra, l’oro del sole, l’argento della luna, il rosso del fuoco, il nero della notte. Il Ménéstrier ed altri fanno derivare questo smalto nei tornei dall’antica fazione del Circo detta Veneta (dal lat. Venetus, verdemare, celeste), cioè vestita d’azzurro; e infatti se si considera la relazione che passa fra le antiche squadriglie dei giuochi romani e i colori araldici usati nei tornei, tale credenza sembrerà giustissima. I giostratori che ostentavano turchina divisa volevano esprimere animo a grandi e sublimi cose parato, amore squisito e gelosia: accoppiato coll’argento significava vittoria. Nello svolgersi e perfezionarsi del linguaggio dei colori l’azzurro prese molte altre significazioni, e il P. Anselmo gli dà gli attributi di lealtà, fedeltà e buona reputazione. I guerrieri vollero con esso esprimere la vigilanza, la fortezza, la costanza, l’amor di patria, la vittoria e la fama; i sacerdoti l’amor celeste, la devozione e la santità; i trovadori la poesia; i principi la nobiltà, la ricchezza e pensieri alti e sublimi; i magistrati la giustizia e la fedeltà; le donne la castità e la verecondia. Aggiungasi il buon augurio, la fede, la magnanimità, la bellezza e la calma dell’animo anch’essi rappresentati dallo stesso colore, e si vedrà quanto nobile ed importante sia l’azzurro considerato nell’enigmatica arte araldica dalla positiva scienza del blasone (…). In Italia l’azzurro fu piuttosto distintivo di parte guelfa benché lo si trovi spesso anche sugli scudi de Ghibellini”. (G. Crollalanza (di), Enciclopedia araldico-cavalleresca, cit., p. 81, voce Azzurro). Nella psicologia, l’azzurro rappresenta, invece, la calma, la serenità, l’infinito e la dedizione. Nel simbolismo cristiano, ai tempi dei Crociati, l’azzurro esprimeva pensieri sublimi e celesti mentre nei colori delle vesti liturgiche, le solennità dedicate alla Beata Maria Vergine, sostituito, poi, dal colore bianco.

17) Il verde fra le virtù simboleggia la fortezza e la cortesia, fra i pianeti venere, nello zodiaco i gemelli e la vergine, fra i mesi maggio ed agosto, fra i giorni il giovedì, fra le pietre lo smeraldo, fra le stagioni la primavera, fra le età la giovinezza sino ai trenta anni,, fra i fiori ogni pianta verde, fra i numeri il 5 e fra i metalli il piombo.
“Simboleggia vittoria, onore, cortesia, civiltà, allegrezza, abbondanza, amicizia. Esso fu il colore dei Ghibellini. Sottilmente osserva il Crollalanza che ‘la ragione per cui si fa rappresentare la speranza del color verde è perché allude ai campi verdeggianti in primavera che fanno sperare copiosa raccolta’ “. (P. Guelfi Camajani, Dizionario Araldico, Milano 1940, p. 576, voce Verde).

18) Il rosso fra le virtù simboleggia la carità e l’ardire, fra i pianeti marte, nello zodiaco l’ariete e lo scorpione, fra i mesi marzo e ottobre, fra i giorni il mercoledì, fra le pietre il rubino, fra gli elementi il fuoco, fra le stagioni l’autunno, fra le età la virilità sino ai cinquanta anni, fra i temperamenti il sanguigno, fra i fiori la violaccia ed il garofano, fra i numeri il 3, fra i metalli il rame.
“Indica spargimento di sangue in battaglia, audacia, valore, fortezza, nobiltà cospicua e dominio”. (Ibidem, p. 458, voce Rosso).

19) L’argento “è dopo l’oro la tinta più pregiata nel blasone, perché rappresenta (…) la luna fra gli astri, la perla fra le gemme, ed è simbolo della concordia, della purità, della clemenza, della gentilezza e della tranquillità d’animo (…). Sino dai tempi dei Romani l’argento figurava come colore di divisa, e tutti conoscono la squadriglia Alba del Circo, squadriglia che come le altre si convertì poscia in fazione. Nei tornei succeduti al circo le sciarpe e le divise d’argento erano portate da quei cavalieri che dimostrar voleano la gelosia, la tema, la passione amorosa”. (G. Crollalanza (di), Enciclopedia araldico-cavalleresca, cit., pp. 57-58, voce Argento).
L’argento inoltre rappresenta nello zodiaco il cancro, fra i mesi giugno, fra i giorni il lunedì, fra gli elementi l’acqua, fra le età l’infanzia sino ai 7 anni, fra i temperamenti il flemmatico, fra i fiori il giglio, fra i numeri il 2 e fra i metalli se stesso.

20) “Secondo la scienza araldica, gli smalti dello scudo si distinguono in metalli, oro e argento e in colori, rosso, nero, azzurro, verde e porpora. Per completezza, vale la pena ricordare che gli araldisti aggiungono anche ‘il naturale’, quando le figure caricate nell’arme conservano il loro proprio colore. Il colore della carne del corpo umano però, più specificatamente, si blasona con ‘di carnagione’, mentre il cielo, con nuvole e prospettiva, come in un vero paesaggio, si descrive con ‘campo di cielo’. Gli araldisti inglesi e olandesi usano altresì i colori ‘aranciato’ e ‘cannellato’, ‘sanguigno’ e ‘lionato’. I metalli e i colori si chiamano, per la scienza araldica, smalti dall’usanza dei cavalieri di porre, nel medioevo, sopra i loro sorcotti le figure dei loro emblemi araldici in stagno battuto e smaltato di rosso, di verde, di nero, di turchino e di porpora. Da tale consuetudine di smaltare gli emblemi araldici in stagno derivò il termine araldico di smalto. Ricordiamo altresì che il campo di uno scudo può anche essere ricoperto da due pellicce, che sono l’armellino e il vajo. Gli araldisti chiamano tali pelli anfibie, in quanto è permesso, senza alterare le regole del blasone, porre dei metalli o dei colori sopra le medesime.
I metalli, di oro e d’argento, rappresentano e ricordano le antiche armature dei cavalieri che, secondo il rispettivo grado di nobiltà, erano appunto dorate o argentate; i colori raffigurano, invece, anche gloriosi ricordi delle Crociate, come il di verde (sinople), che ricorda la città di Sinope, la cui vista colpì grandemente i nostri crociati per la bellezza e la magnificenza dei numerosi e rigogliosi alberi che la circondavano, ricoperti di fittissime foglie di smagliante color smeraldo; il di nero (sable), che prese il nome da certi piccoli animali (sabellina pellis) che comparivano nei dintorni dei Luoghi Santi; il d’azzurro, che ricordava il mare attraversato per portarsi in Terra Santa o il di rosso, considerato da molti araldisti, il primo fra i colori dell’arme, perché rappresentava il sangue vivo versato. L’armellino ed il vajo ricordano invece le fodere in pelle delle vesti dei personaggi più eminenti e nobili.
L’armellino, piccolo mammifero carnivoro, della famiglia delle mustelidi, trae il nome dalla regione dell’Armenia, per la iniziale provenienza di questa pelle e simboleggia l’incorruttibilità e la purezza essendo tale animaletto, di pelliccia bianca, molto pulito. Il vajo, piccolo scoiattolo siberiano, simboleggia invece nobiltà e dignità insigne”. (G. Aldrighetti – M. De Biasi, Il Gonfalone di San Marco, cit., pp. 57-58).
Esistono, infine, dei segni convenzionali per indicare gli smalti quando lo stemma viene riprodotto nei sigilli e nelle stampe in bianco e nero. Così il rosso si rende con fitte linee perpendicolari, l’azzurro con orizzontali, il verde con diagonali da sinistra a destra, il porpora con diagonali da destra a sinistra, il nero con orizzontali e verticali incrociate, mentre l’oro si rende con fitto punteggio e l’argento senza alcun segno.

21) Classificazione degli Ordini Cavallereschi.
Una prima suddivisione degli Ordini Cavallereschi si è avuta nel secolo XVI, per merito del Sansovino che, nella sua opera Dell’origine dei Cavalieri, pubblicata nel 1566, distingue i
Cavalieri nelle seguenti tre categorie:

 

Cavalieri di Croce
Cavalieri di Collana
Cavalieri di Sperone.

 

Alla prima categoria appartenevano gli Ordini crocesignati, quali appunto l’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, l’Ordine Teutonico, del Tempio di Gerusalemme, di Calatrava ed altri, dall’insegna che portavano sull’abito.
Ai Cavalieri di Collana appartenevano invece i massimi Ordini dinastici creati dalle più importanti Case regnanti d’Europa. In tali Istituzioni rientravano gli Ordini Supremo della Santissima Annunziata, della Giarrettiera, di San Michele , del Toson d’Oro.
Alla terza categoria appartenevano i Cavalieri, la cui nomina faceva parte del complesso delle investiture create dai Regnanti Pontefici e dai Sovrani e poi delegate a feudatari e Cavalieri anziani.
Nel tempo, vari studiosi continuarono a classificare gli Ordini Cavallereschi, sotto vari profili. Così abbiamo gli Ordini ereditari , militari, per ricompensare azioni di valore, onorari, per meriti civili, religiosi, appoggiati a regole monastiche.
Ai giorni nostri, la maggior parte degli studiosi, classifica gli Ordini cavallereschi come segue:

Ordini Statuali
Detti Ordini, chiamati anche di merito, formano il patrimonio araldico di uno Stato. Tali Ordini sorgono, per lo più, nel secolo scorso con lo scopo di premiare le benemerenze civili e militari dei cittadini e traggono il loro fondamento giuridico nella sovranità dello Stato che gli ha istituiti.

Nel caso di una nazione retta da una monarchia, gli Ordini Cavallereschi si chiamano Statuali o di Corona, ma in questo caso il Re ne dispone unicamente in qualità di Capo dello Stato non come patrimonio araldico della sua Dinastia.

Ordini Equestri Pontifici
Sono gli Ordini Cavallereschi conferiti direttamente dal Regnante Pontefice con Lettere Apostoliche.

L’Ordine Pontificio Piano era altresì Ordine Cavalleresco nobiliare attivo o nobilitante, in quanto conferiva la nobiltà ereditaria ai Cavalieri di Gran Croce e la nobiltà personale ai Commendatori.

Gli Ordini Pontificio sono altresì Ordini di merito, in quanto servono a premiare le benemerenze acquisite per servizi resi alla Chiesa ed alle opere cattoliche. Si dividono infine in Ordini di collazione diretta, cioè conferiti direttamente dal Romano Pontefice, quali l’Ordine Supremo del Cristo, l’Ordine della Milizia Aurata, l’Ordine Piano, l’Ordine di San Gregorio Magno e l’Ordine di San Silvestro Papa e in Ordini di sublocazione o semindipendenti quali l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme e l’Ordine di Santa Maria Teutonica (Cavalieri Teutonici), in quanto concessi per delegazione apostolica e quindi posti sotto la protezione della Santa Sede.

Ordini Sovrani
In questa categoria rientra solo il Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, detto di Rodi, detto di Malta, in quanto mantiene la sua natura di ente sovrano.
La posizione giuridica dell’Ordine Gerosolimitano contiene due soggetti: la Religione ossia la regola religiosa , essendo ordine religioso e l’ordine cavalleresco che è unito alla prima. Il Principe Gran Maestro, Capo della Religione e Capo Supremo dell’Ordine Cavalleresco, assieme al Sovrano Consiglio appare come organo portatore di detta sovranità. Il Sovrano Militare Ordine di Malta, attualmente, intrattiene normali rapporti diplomatici con oltre ottanta Nazioni.

Ordini Dinastici
Rientrano in tale categoria gli Ordini Cavallereschi che appartengono al patrimonio araldico di una Dinastia Sovrana.

Se la Dinastia è regnante, gli Ordini si chiameranno dinastici statuali, in quanto messi a disposizione dello Stato per conferire onori e per premiare particolari benemerenze. Se la Dinastia non è più regnante, gli Ordini si chiameranno dinastici non nazionali, in quanto la persona del Capo della Real Casa conserva la jus collationis dei suoi Ordini Cavallereschi. Infatti tali Ordini traggono origine, per la massima parte, da Bolle Apostoliche di approvazione.

Ricordiamo infine che per Ordine estinto, si intende quella istituzione cavalleresca nella quale non siano avvenuti più conferimenti e siano trascorsi cento anni dal decesso dell’ultimo insignito.

L’Ordine familiare invece riguarda l’istituzione cavalleresca che appartiene al patrimonio araldico di una famiglia sovrana o già sovrana, senza essere mai stato messo a disposizione della Nazione.

L’Ordine si considera infine soppresso se l’autorità dal quale dipende decide di non procedere più a conferimenti o a causa di mutamenti istituzionali in un determinato Stato.[/vc_column_text][/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Sezione 10″ tab_id=”1459015339281-baea5a25-052d”][vc_column_text]

Stati Uniti d’ America

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LO STEMMA DEGLI STATI UNITI D’AMERICA

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STENDARDO DEL PRESIDENTE
STATI UNITI D’AMERICA

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Stati Uniti d’ America

GLI STATI DELL’UNIONE

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Stati Uniti d’ America

GLI STATI DELL’UNIONE

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Stati Uniti d’ America

GLI STATI DELL’UNIONE

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Stati Uniti d’ America

GLI STATI DELL’UNIONE

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Stati Uniti d’ America

GLI STATI DELL’UNIONE

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Stati Uniti d’ America

GLI STATI DELL’UNIONE

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Stati Uniti d’ America

GLI STATI DELL’UNIONE

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Impero di Tutte le Russie

Unione delle Repubbliche
Socialiste Sovietiche

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Ex
Repubbliche  Sovietiche

cittakimry

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Città del Vaticano

stemmastatocittavatNella Legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano, entrata in vigore il 22 febbraio 2001, lo stemma della Santa Sede viene così blasonato: “chiavi decussate sormontate del Triregno in campo rosso”; ne consegue che lo scudo risulta orfano dell’ornamento esteriore basilare e indicativo di dignità, quale è la tiara.
Siamo perfettamente coscienti che i tempi attuali sono meno sensibili al valore dei simboli ed alle norme araldiche; ci permettiamo, comunque, a futura memoria, di blasonare nella forma ideale lo stemma della Città del Vaticano: “di rosso alle chiavi pontificie, una d’oro e l’altra d’argento, decussate, addossate, gli ingegni traforati a forma di croce, in alto, rivolti verso i lati dello scudo e legate da un cordone d’oro, terminante, d’ambo le parti, con una nappa dello stesso. Lo scudo è timbrato dal triregno papale terminante ad ogiva e argenteo, al quale sono applicate tre corone all’antica, d’oro e cimato da un piccolo globo crociato dello stesso. Dal triregno pendono due infule d’oro,frangiate dello stesso, caricate ciascuna da una crocetta greca, dell’ultimo”.

 Gli Anni Santi

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Venezuela

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Lo Stemma di Stato

stendardopresidentevenez

Lo Stendardo del Presidente della Repubblica

stemmadistatoeguerravenez

Stendardo di Stato di Guerra

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