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L’ Araldica Militare
di Giorgio Aldrighetti
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Stemma dell’Esercito Italiano
Analizzando per prima la Serenissima repubblica di San Marco ricordiamo che: “non aveva re d’armi o consulta araldica, se vi fossero stati avrebbero probabilmente stabilito che la bandiera dovesse avere gli stessi colori dello stemma così come è l’uso comune. (D’azzurro e d’oro. N.d.A.) Invece sulle bandiere si pose sempre il leone in piedi, ciò che (…) consentiva maggiore libertà di esecuzione, libertà che si estendeva al fondo ossia al colore delle bandiere stesse”. 1)
Analizziamo, di conseguenza, lo stendardo che si trovava nell’Oratorio della nave ammiraglia del doge Francesco Morosini (1688-1694), trovandovi caricata, tra le altre figure, un leone passante e quindi “in piedi”, nella rarissima positura del muso raffigurato di profilo.
Il drappo del vessillo figura di rosso, caricato dalla croce latina al naturale, posta in palo, con il Santissimo Crocifisso di carnagione, nimbato d’oro, sostenuta dal ristretto recante a sinistra la fascia di nero, sostenente un Santo vescovo inginocchiato con il volto e le mani di carnagione ed a destra sostenente il leone di San Marco d’oro, col muso di profilo, passante e rivoltato, sostenente con la zampa anteriore sinistra la Croce con il Santissimo Crocifisso e con la zampa posteriore destra sulla fascia simboleggiante il mare ondoso, d’azzurro.
Addestrata alla croce, la B. M .V., la Mesopaditissa con il divin Figlio, in busto, posta in maestà, d’oro, con i volti di carnagione scura. Addestrati e sinistrati alla croce, in palo, cinque ovali per parte, con busti di Santi al naturale. In punta, l’arme gentilizia dei Morosini.
Infatti: “Pensare alla bandiera di San Marco come allo stendardo rosso ed oro dalle lunghe fiamme svolazzanti, issato sui pennoni della piazza, diremo immediatamente sarebbe un’arbitraria estensione di ciò che fu in effetti la realtà storica.
Ci proporremo qui, dunque, di cercare di chiarire l’argomento secondo la documentazione disponibile.
Anzitutto è indispensabile precisare come il colore delle insegne non sia stato mai fissato nel rosso da disposizioni della Serenissima. Questa, benché in qualche modo abbia regolamentato l’uso delle insegne stesse, come si vedrà, non stabilì precise caratteristiche per le bandiere di combattimento e non.
Per cui, se dalla consuetudine nascerà la legge, cioè una certa tipologia, abbastanza ampli sono i margini in cui annoverare varietà molteplici.
Il fatto che il color cremisi abbia prevalso talora ed, in particolare, abbia contribuito a creare un’immagine popolare dello stendardo marciano, si deve con ogni probabilità alla duplice circostanza di essere colore di guerra, da un lato, e colore di pompa, dall’altro: dai manti purpurei dell’antichità, al colore delle pietra in cui sono scolpiti i notissimi tetrarchi, all’abbigliamento del Capitano da Mar, alle livree della guardia schiavona…
È noto che la prima testimonianza in cui appaia la bandiera veneziana è fornita dal ciclo musivo della cappella di S. Isidoro, a San Marco; appartiene, dunque, alla metà del secolo quattordicesimo.
Ed il vessillo non sventola solo sulle navi, ma appare ‘inalberato’ sugli spalti di Chio: un drappo bianco a tre fiamme dal piccolo Leone rosso in ‘moleca’ in campo.
Una prima categoria di bandiere che, preso spunto di qui, seguiremo, è costituita, dunque, dalle insegne appartenenti a castelli, fortezze, città fortificate e città, quindi a castellani, capitani e Podestà.
È documentata, naturalmente, la varietà di colori cui si faceva cenno. Il bianco della bandiera a Chio, di cui si diceva, si ripete, per rimanere nel campo di ciò che è documentato, in una posteriore di quattro secoli, sicuramente appartenuta ad un podestà di Torcello: vi appare il Leone andante che con la zampa sinistra regge lo stemma Zorzi. (cfr. A. Callegari: Il Museo di Torcello, Venezia 1930, p. 43.)
Ed allo stesso tipo appartiene un altro drappo quadrato, sempre fregiato del Leone, datato 1730 ed appartenente al Museo Correr in Venezia.
Ma assai interessante è un altro tipo di insegna sicuramente appartenuto a Podestà: lo stendardo triangolare a due code.
Un primo esempio è fornito da una miniatura secentesca su pergamena del Livre des Drapeaux di Friburgo, che riproduce tutte le bandiere, antica preda di guerra degli Svizzeri, un tempo conservate a San Nicolò nella stessa città. (Le tre bandiere di San Marco dal codice friburghese sono state ampliamente illustrate da Giovanna Majer: Tre Bandiere veneziane, Venezia, 1929).
Si tratta d’uno stendardo rosso dal Leone andante, la Vergine ed il bambino e lo stemma Bragadin che, insieme con le iniziali A B permette di identificarlo con l’insegna di Antonio Bragadin che nel 1508 e 1509 fu podestà e Capitano di Rovigo.
E del tutto analoga, assai più insegna di podestà che stendardo di fraglia, è la bandiera secentesca firmata Michael Busonico Padovano, recante un’effige di Santa Barbara sormontata da un piccolo leone alato, una veduta di Belluno e lo stemma Soranzo: si tratta d’un dono dei bombardieri di Belluno al podestà Francesco Soranzo (esposto nelle sale del Museo Correr, Venezia). Un drappo rosso senza code è quello che sventola sulla fortezza di Coronne, secondo il disegno a penna di Bortolo Carmoy del 1691, mentre lo stendardo con le lunghe fiamme, solitamente sventolante sulle galere, è l’insegna veneziana a Napoli di Romania secondo una testimonianza grafica pressoché contemporanea alla precedente (ambedue al Museo Storico navale, Venezia).
Passando alle bandiere della zente d’arme, uno stendardo che reca l’emblema veneziano, lo stemma Gonzaga ed il motto Audaces Fortuna Iuvat, noto sempre dalle miniature di Friburgo, ci riporta ai tempi in cui, s’è visto, ‘el Signor Marchese de Mantoa’ combatteva per Venezia con ‘homeni d’arme 300’.
Stemma della repubblica di San Marco sec. XVI
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Veduta di Venezia del 1706
Le bandiere di bande di zente d’arme, come di compagnie di fanteria, risalgono, evidentemente, al mondo feudale: del condottiero o del signore ripetono colori e stemma, più o meno subordinati all’emblema di San Marco che appare nelle insegne ufficiali, trasformando così la bandiera privata in una pubblica insegna.
Nel 1589 una delle quattordici squadre di cavalleria pesante, quella di Marcio Porcellaga, è condotta alle rassegne e “lo stendardo teneva la già nomata impresa del caval marino, co’l scudo di questa Serenissima Repubblica, l’uno nella suprema, l’altro ne l’infima parte di esso”. (dai documenti trascritti dal De Pellegrini, op. cit.)
Pressoché contemporaneo a questa descrizione è un affresco documentariamente interessante, opera di Lorenzino di Tiziano, nell’estrema cappella absidale sinistra della basilica dei SS. Giovanni e Paolo a Venezia, in cui vediamo la cavalleria pesante caricare con i rossi stendardi triangolari a due code dal leone d’oro.
Da qui si arriva ad una delle piccole tele del Correr riproducenti i fatti del Morosini: le ‘corazze’ venete nel marzo del 1659 si battono raccolte sotto d’una cornetta quadrata d’un azzurro intenso dalle frangie d’oro ed il Leone in maestà.
Con la regolamentazione delle cavallerie stesa dal conte di Steinau e pubblicata nel 1707 l’uso dell’insegna viene disciplinato nel senso che ogni squadrone ne avrà una sola, assegnata alla prima delle compagnie che lo costituiscono: ma circa forme e colori tutto resta al punto di prima.
Le collezioni veneziane possiedono addirittura una cornetta di tela gialla, fregiata del Leone e dello Stemma Correr (al Museo Correr, Venezia, non esposta).
Eccoci, dunque, ad un ulteriore aspetto dell’argomento: le bandiere delle fanterie.
La più antica regolamentazione risale al 23 marzo 1593 e riguarda le Ordinanze: vi si dispone che “in ogni Compagnia sia una sola Insegna, qual sia inalborata, sì alle Mostre Generali, come alle Particolari, e l’Alfiere sia eletto dal Capitanio, e confirmato dal General delle Fanterie, et in assenza sua dal Colonnello, ò Sargente Maggiore, nè altri che egli possa portar la sua insegna”.
Le ordinanze, s’è detto, erano un corpo di milizie territoriali, reclutate villaggio per villaggio.
I Comuni da cui si traevano, dunque, potevano disporre di una propria particolare insegna, portata fino al luogo delle mostre da un proprio portinsegna; ma una volta raggiunto il luogo della parata si prescrive che quella “debba esser deposta, et portata da chi ordinerà il Capitanio”.
Una bandiera per compagnia, dunque, per tutto il cinquecento ed il seicento e non solo per le ordinanze, possiamo tranquillamente affermare, con i colori e l’insegna del capitano, o meno.
Molto probabilmente doveva appartenere a truppe assoldate non veneziane, come scriveva Giovannina Majer, la terza delle bandiere di San Marco riprodotte tra le miniature di Friburgo, dal leone con libro chiuso e la scritta Sanctus Marcus Evangelista, di forma rettangolare.
Durante le imprese di Morea, nel corso delle quali agli ordini di Francesco Morosini Capitano Generale si trovava un ‘generale da sbarco per gli attacchi’ siamo certi che veniva ‘esposta la bandiera dello sbarco’ sulla quale, tuttavia, non ci viene detto di più. Mentre il segnale dall’assalto di mille e duecento fanti scelti a Castelnuovo nel 1687, racconta ancora Pietro Garzoni, fu dato da una bandiera rossa.
Quando, invece, un anonimo pittore veneto vuol rappresentare l’esercito che ‘ESPUGNA MEGARRA CON L’ACQUISTO DI CANNONI N. 13 E MOLTI SC:VI SETERE 1654’ ci lascia l’immagine d’un alfiere da un’ampia bandiera rettangolare azzurra con largo orlo rosso ed il Leone dorato brandente la spada. (Una bandiera azzurra con Leone di San Marco, dono Guggenheim, è tuttora, non esposta, al Museo Correr).
L’orlo rosso dovrebbe, in questo caso, spiegarsi con i colori della compagnia, stante che l’alfiere ha i fianchi cinti d’una fascia dello stesso colore.
Certamente sino all’anno 1700 in cui furono emanati gli ‘Ordini Militari’ di Alessando Molin, ogni compagnia continuò ad avere la propria bandiera.
Chiuderemo questa breve rassegna con l’ultima regolamentazione, quella dello Schulenburg, sulla materia.
Da allora ogni reggimento di fanteria “non averà che due Bandiere, e saranno quelle della Compagnia Colonnello, e Tenente Colonnello” vale a dire che porteranno eventualmente stemma e colori dei due ufficiali superiori.
Le altre compagnie perdono dunque, in condizioni normali, l’antico diritto all’insegna che sopravviverà solo quando si trovassero ad essere distaccate dal reggimento.
Le due bandiere, infine, venivano conservate nel Quartier del Colonnello del Reggimento sotto continua guardia “e si custodiranno – dice il regolamento – con tutto il decoro, come si conviene alla pubblica Insegna, ed all’onore delle Milizie””. 2)
Singolare per le figure che vi risultano caricate è la bandiera a forma di guidone che si esponeva in Merceria dell’Orologio il 15 giugno di ogni anno, nell’anniversario della congiura di Bajamonte Tiepolo.
Infatti il drappo è di rosso, seminato di fiamme d’oro e caricato al capo dal leone marciano, in punta da un’arme comitale, con addestrato un ‘carello’ riproducente la fase finale della congiura di Bajamonte Tiepolo.
Il leone, alato e nimbato d’oro, risulta passante e rivoltato ed è sostenuto da un ristretto dello stesso, mentre il monticello figura al naturale.
Il leone con la zampa anteriore sinistra tiene il libro aperto d’argento su cui sta scritto: PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS.
Tale vessillo è conservato al Museo Correr e venne esposto fino al 1797. La tradizione racconta che una certa Giustina (o Lucia) Rossi, nel 1310, durante la congiura di Bajamonte Tiepolo, chiamata alla finestra dal rumore, fece cadere dal davanzale un grosso mortaio di pietra, il quale cadde sull’alfiere che rimase ucciso. Ciò avrebbe causato lo scompiglio e la fuga dei congiurati. La Giustina Rossi, detta la ‘vecia del mortèr’, ottenne che non fosse aumentato né a lei né ai suoi discendenti l’affitto della casa che abitava (che era di proprietà della Procuratoria di S. Marco) e che ogni anno fosse esposto uno stendardo, il 15 giugno, giorno di San Vito, nell’anniversario appunto della congiura.
A pochi passi dall’Arco dell’Orologio, presso il ‘sotoportego del Cappello nero’, si può ancora vedere, sopra l’arco, un rilievo marmoreo raffigurante la ‘vecia del mortèr’ e, sul pavimento, una lastra in pietra con la data del 1310.
Particolare per la iscrizione nel libro risulta, altresì, la bandiera che veniva issata nel penultimo bucintoro. Il drappo, infatti, è caricato dal leone marciano d’oro sostenuto dal ristretto dello stesso, simboleggiante il mare ondoso.
Il leone figura passante e rivoltato, tenente con la zampa anteriore sinistra il libro aperto d’argento, recante le parole nella prima facciata in tre righe, IN HOC SIGNO, nella seconda facciata, in due righe, VICES, con la scritta in lettere maiuscole romane di nero. Il libro risulta cimato da una croce latina d’oro, posta in palo. Il drappo termina con cinque strisce orizzontali, rettangolari, di rosso, ornate da ricami d’oro.
Curioso è il notare nel drappo cinque code e non sei, come nella tradizione araldica veneziana, e la scritta IN HOC SIGNO VICES (senza la N di VINCES), al posto dell’usuale PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS. L’asta risulta sormontata dalla tradizionale sfera armillare.
Ricordiamo, altresì, che la bandiera della nave Capodistriana alla battaglia di Lepanto portava un drappo di rosso caricato dal leone marciano nimbato e passante, impugnante con la zampa anteriore destra una croce latina, posta in palo.
Interessante, infine, è riportare cosa annota Luigi Tomaz nella sua opera Le quattro giornate di Cherso in difesa del Gonfalone di San Marco, 12-15 giugno 1797, edita nel 1995: “Perasto, all’interno delle Bocche di Cattaro, nel 1368, durante il cinquantennio della dominazione ungarica della Dalmazia, s’era volontariamente presentata con navi e armati al Comandante veneziano che assediava Cattaro contribuendo decisamente alla vittoria di San Marco. Vittor Pisani, che era il Comandante veneziano, ne fece le più alte lodi in Senato ed è tradizione che da allora sia stato concesso a Perasto il titolo e l’onore-onere di Fedelissima Gonfaloniera. Dodici gonfalonieri di volta in volta eletti dal Consiglio degli anziani della Comunità Perastina, erano i responsabili delle bandiere di guerra dell’Armata oltremarina di terra e di tutta l’Armata navale.
I vessilli erano custoditi nella sede del Capitano di Perasto (Il Podestà) che era un nobile locale e in battaglia, erano strenuamente difesi dai dodici gonfalonieri sulla nave ammiraglia del capitano Generale da Mar. Più volte il senato ha concesso encomi e privilegi ai Gonfalonieri e ha elevato al titolo di Conte i Capitani di Perasto e i loro discendenti. Molti di loro furono insigniti del Cavalierato di San Marco. A Lepanto dei dodici Gonfalonieri di Perasto rimasero vivi e feriti soltanto quattro. Otto morirono perché il gonfalone continuasse a garrire alla testa dell’Armata”.
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Stemma del 1° reg. Granatieri
Passando allo Stato Sabaudo ricordiamo che nel 1692 Vittorio Amedeo di Savoja concesse, per la prima volta, uno stemma ad ogni suo reggimento.
La prima legge in materia di araldica militare italiana risale, invece, al 1917, in forza del R.D. 18 agosto 1917, n. 1391, che istituisce una onorificenza per premiare i reparti che combattevano contro l’impero austro-ungarico.
Con il R.D. 24 marzo 1932, si sanzionava, invece, la forma definitiva dei “motti araldici” per i reggimenti e corpi dell’Esercito.
Il 4 luglio 1939, con circolare del Ministero della Guerra n. 55619, si fornivano, inoltre, istruzioni per le domande relative alla concessione dello stemma per i reggimenti; con altra circolare del 7 ottobre 1939, la n. 92060, si ribadiva, invece, la forma “sannitica” dello scudo.
Con l’avvento della Repubblica Italiana, con circolare 22 novembre 1948, n. 523, si ripristinava la concessione di stemmi e motti araldici per i corpi dell’Esercito, sospesa nel 1942, perdurando lo stato di guerra.
Con successiva circolare del 13 febbraio 1950, n. 210, si chiariscono le norme e le caratteristiche degli stemmi dell’Esercito.
Ed infine lo Stato Maggiore Esercito, con circolare n. 121 del 9 febbraio 1987, ha disposto, nel quadro di un riordino generale dell’araldica militare, sollecitato dalla Presidenza della Repubblica, che tutti i Corpi ed Enti militari che hanno diritto a fregiarsi di uno stemma, ne rivedano il disegno, secondo le seguenti direttive:
“1. – Corpi ed Enti dell’Esercito che hanno diritto a fregiarsi di uno stemma sono tutti quelli ai quali è stata concessa la Bandiera.
2. – Nel loro complesso e nei loro particolari costitutivi, gli stemmi dovranno porre in giusta evidenza i fattori storici che hanno nobilitato il Corpo o l’Ente.
3. – Lo stemma sarà composto di tre parti: scudo, corona turrita, ornamenti.
Scudo: sarà appuntato (forma detta sannitica). Le sue armi potranno essere formate da tutte le figure (araldiche, naturali ed ideali); per la loro blasonatura ci si dovrà basare principalmente sulle origini, sulle tradizioni, sui legami territoriali e sulle più salienti glorie militari e di fatti d’arme che hanno comportato la concessione di decorazioni al Valore Militare o glorie di eventuale altra natura dei Corpi. Il capo onorevole d’oro, unico e non soggetto a partizioni, blasonerà le Medaglie d’Oro al Valore Militare conseguite.
Corona turrita: sarà formata da un cerchio, rosso all’interno, con due cordonate a muro sui margini, sostenente otto torri (cinque visibili). Le torri hanno foggia rettangolare e dieci merli alla guelfa (quattro dei quali angolari), sono munite di una porta e di una sola finestra e sono riunite da cortine di muro, ciascuna finestrata di uno. Il tutto è d’oro e murato di nero. Essa sormonterà lo scudo.
Ornamenti: comprenderanno
Lista bifida: d’oro, svolazzante, collocata sotto la punta dello scudo, incurvata con la concavità rivolta verso l’alto, riportante il motto. I caratteri saranno maiuscoli lapidari romani, di nero. La lingua da usarsi può essere quella italiana o quella latina e solo eccezionalmente, per fondati motivi tradizionali, sarà consentito l’uso di una lingua straniera o di un dialetto.
Onorificenze: saranno accollate alla punta dello scudo con l’insegna pendente al centro del nastro che avrà i colori della stessa. Non potranno essere accollate più di tre diverse onorificenze e non si dovrà dar luogo alla ripetizione della stessa onorificenza più volte conseguita.
Nastri rappresentativi delle ricompense al Valore: annodati nella parte centrale non visibile della corona turrita, scendenti svolazzanti in sbarra ed in banda dal punto predetto, passando dietro la parte superiore dello scudo. Essi si ripartiranno alternativamente ai due lati dello scudo iniziando da destra. La loro larghezza sarà di 1/14 di quella dello scudo e non potranno scostarsi dai fianchi dello stesso di oltre la metà della sua larghezza. Essi saranno tanti quante le medaglie al Valore che fregiano la Bandiera fino ad un massimo di dieci (cinque per lato); qualora il numero complessivo delle decorazioni ecceda il suddetto limite, la stessa ricompensa più volte concessa sarà indicata – a partire da quella di minor prestigio – dal relativo numerico romano, d’oro, caricato sul corrispondente nastro nel senso della larghezza. Le raffigurazioni autorizzate sono – Medaglia d’Oro al Valor Militare: azzurro bordato d’oro; – Medaglia d’Argento al valor Militare: azzurro bordato d’argento; – Medaglia di Bronzo al Valor Militare: azzurro; – Croce di Guerra: azzurro con due filetti centrali d’argento; – Medaglia al Valore dell’Esercito: azzurro con due filetti d’oro; – Medaglia al valor Civile: i tre colori nazionali.
4. – Sostegni e tenenti: se ne ammetterà l’impiego soltanto in via eccezionale allorché una particolare ricerca storica convalidi la necessità di tali ornamenti”.
Per la corona turrita adottata, con la circolare 121 del 9 febbraio 1987, dallo Stato Maggiore Esercito, ci sia permesso far osservare che risulta del tutto simile a quella usata dai comuni che possiedono il titolo di città.
Ne consegue che qualsiasi araldista, visionando lo stemma di un corpo armato dello Stato ed osservandone la corona, lo assegnerà, in prima analisi, ovviamente ad un comune che possiede il titolo di città.
Stemma dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano
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Stemma del reg. Lagunari Serenissima
Passando ora ad analizzare lo stemma del Reggimento Lagunari Truppe Anfibie “Serenissima”, dove figura caricato il leone marciano, ricordiamo che l’arme, concessa con decreto 29 settembre 1966, così recita: “d’azzurro, alla muraglia merlata alla ghibellina accostata da due torri (quella di destra cimata dalla bandiera di porpora al leone di San Marco). Il tutto d’oro murato di nero, nascente da un mare ondato d’argento e di verde”.
Profondamente errata ci sembra la blasonatura, non risultando la muraglia nascente da un mare ondato ecc…, ma fondata su una scogliera ecc. Manca poi ogni e qualsiasi descrizione della bandiera di San Marco, non blasonando che il drappo è di rosso, bordato da filetti d’oro, interni ed esterni incrociantisi negli angoli e ornato da ricami d’oro, caricato dal leone marciano passante, tenente con la zampa anteriore destra il libro aperto recante le parole nella prima facciata, in quattro righe, PAX TIBI MARCE, e nella seconda facciata, similmente in quattro righe, EVANGELISTA MEUS, con la scritta in lettere maiuscole romane di nero, e impugnante una spada, posta in palo, con la punta in alto, il tutto d’oro.
Il Leone di San Marco si trova caricato altresì nell’arme dell’84° Battaglione “Venezia”, concessa con decreto 26 luglio 1960, che così recita: “d’azzurro al leone di San Marco d’oro su campagna di verde ed accompagnato da un destrocherio armato d’argento in atto di piantare un virgulto di alloro in un solco praticato nella campagna stessa; il tutto abbassato ad un capo d’oro”.
Anche tale blasonatura non ci sembra corretta, venendo omesso, tra l’altro, che il leone è passante, che tiene con la zampa anteriore destra un libro d’argento aperto con le parole, nella prima facciata, in caratteri romani maiuscoli di nero PAX-TIBI-MARCE in quattro righe e similmente, EVA-NGE-LISTA-MEUS, nella seconda facciata.
Stranamente, poi, al posto del tradizionale EVAN nella prima riga figura invece EVA mentre nella seconda NGE.
Il leone, infine, non è su campagna di verde, ma sostenuto da una pianura o campagna di verde.
Stemma del btg. Venezia
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Fiamma e Bandiera 1861
Passando ora alla Bandiera della Marina Militare, che carica nel drappo di bianco uno scudo inquartato con nel primo quarto il leone marciano, ricordiamo che il primo vessillo di verde, di bianco e di rosso, con il drappo di bianco caricato dell’arme sabauda timbrata dalla corona, nell’uso di bandiera di Stato e da guerra e senza corona nell’uso civile e mercantile, venne assunto dal re Carlo Alberto di Savoja il 23 marzo 1848, all’inizio della prima guerra d’indipendenza.
“Il proclama di Carlo Alberto del 23 marzo 1848, che istituiva la nuova bandiera tricolore del Regno di Sardegna, si riferiva alle bandiere per le nostre truppe, quindi per l’Esercito ma non per la Marina, per la quale si provvide con il Regio Decreto del 15 aprile 1848 che disponeva: “volendo che la stessa bandiera che quale simbolo dell’unione italiana, sventola sulle schiere da Noi guidate a liberare il sacro suolo d’Italia, sia inalberata sulle Nostre Navi da Guerra e su quelle della marineria mercantile…ordiniamo: Le Nostre Navi da guerra e della marineria mercantile inalbereranno, quale bandiera nazionale, la bandiera tricolore (verde, bianco e rosso) con lo scudo di Savoia al centro. Lo scudo sarà sormontato da una corona per le navi da guerra””. 3)
“Al momento della costituzione della Marina italiana (17 marzo 1861), le navi inalberavano la bandiera nazionale, cioè il Tricolore verde, bianco, rosso, con lo scudo sabaudo con bordo azzurro, sormontato dalla corona reale”. 4)
Il primo Regolamento sulle insegne, onori, saluti, gale, visite e onori funebri fu emanato nel dicembre 1868 e pubblicato come Supplemento n.1 al Giornale Militare per la Marina dell’anno 1869.
Per quanto riguarda bandiere ed insegne, il Regolamento prevedeva (art. 1) che: “i Legni dello Stato all’ancora portassero la bandiera nazionale a poppa, la bandiera di bompresso a prora e la fiamma alla maestra”. Però “la bandiera di bompresso e la fiamma erano ancora quelle adottate dal Regno di Sardegna nel 1848, e cioè tricolori”. 5)
Infatti: “La bandiera di bompresso, nella forma rimasta in uso fino al 1946, fu istituita con R.D. 22 aprile 1879. La bandiera di bompresso che le Regie Navi devono tenere stando all’ancora sarà di forma quadrata con croce bianca verticale in campo rosso, contornata d’azzurro, secondo l’unito disegno”. 6)
“Il ‘Regolamento di disciplina militare per i corpi della Regia Marina’, approvato con R.D. del 20 settembre 1882, conteneva una parte riguardante insegne, saluti, visite, onori navali e militari, nella quale erano ripetute le norme inserite nel Regolamento del 1868, precedentemente citato, ed aveva una appendice intitolata ‘Modelli delle bandiere’”. 7).
Il 30 dicembre 1939, il Ministero della Marina chiese, poi, alla Consulta Araldica del Regno d’Italia la concessione di uno stemma per la Regia Marina, specificando che: “l’emblema araldico della Marina sarà applicato allo scafo delle RR. Navi, sull’estrema prora, al posto della stella a cinque punte attualmente prescritta”. Il che non è mai avvenuto.
Con tale lettera il Sottosegretario di Stato alla Marina, ammiraglio Domenico Cavagnari, così si esprimeva: “Questo Ministero, ottenuta l’alta approvazione del Duce, domanda a codesta Regia Consulta araldica che sia riconosciuto alla Regia Marina uno stemma araldico, quale emblema delle tradizioni storiche ed eroiche delle Marinerie Italiche, delle quali essa è naturale erede e continuatrice.
Lo stemma araldico, del quale si allega un disegno schematico, riunisce emblemi caratteristici della Marina imperiale di Roma, delle Repubbliche marinare di Venezia, Genova, Pisa ed Amalfi e della Marina imperiale… (Ai quattro stemmi che ricordavano il passato medievale, doveva essere unito un emblema per ricordare che la Marina era ora imperiale) In cuore, sovrapposto ai quattro quarti (dove erano gli stemmi delle Repubbliche marinare) lo scudo sabaudo affiancato dal fascio littorio.
A simboleggiare l’origine della marineria di Roma, lo stemma è sormontato dalla Corona turrita e rostrata, emblema di onore e di valore che il Senato romano conferiva ai duci di imprese navali, conquistatori di terre e città oltremare.
Tale corona, cimata di torri, porta sulla fascia motivi alternati di rostri e di ancore romane, ed è fiancheggiata da due prore rostrate che sporgono lateralmente (nella corona romana il rostro era unico e sporgeva dalla fronte).
Lo stemma, a forma sannitica, è contornato, per significare l’unione simbolica delle quattro marinerie, da una bordatura di cavo torticcio, elemento proprio della architettura veneta”.
Dopo questa minuziosa descrizione dello stemma e del significato dei suoi simboli, la lettera concludeva: “La Regia Marina ambirebbe all’onore di ottenere il conferimento dello stemma araldico per Decreto Reale e con lettera patente di S.M. il Re Imperatore”.
Bandiera di bonpresso 1879
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Stemma Marina Militare 1941
Benché il 10 giugno 1940 l’Italia fosse entrata in guerra, e ci fossero molti importanti problemi da risolvere, la procedura burocratica proseguì il suo inarrestabile cammino e così, circa un anno e mezzo dopo, con Decreto Reale del 25 aprile 1941 – anno XIX E. F. n. 3107, registrato alla Corte dei Conti il 5 giugno successivo, lo stemma araldico venne concesso e riportato nella pubblicazione DCN 105 “Norme riguardanti emblemi, distintivi e nome da applicare sulle RR. Navi”, edizione marzo 1942”. 8)
Il decreto così recita:
“Vittorio Emanuele III”
PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÁ DELLA NAZIONE
RE D’ITALIA E DI ALBANIA
IMPERATORE D’ETIOPIA
Veduta la domanda del Ministero della Marina diretta ad ottenere la concessione di un particolare stemma per uso della Nostra Marina;
Veduti gli atti prodotti a corredo di questa domanda;
Udito il Nostro Commissario per la Consulta Araldica;
Veduto l’art. 4 del Nostro decreto in data 9 ottobre 1930, n. 1405;
Veduto l’art. 79 dello Statuto Fondamentale del Regno;
Sulla proposta del Duce del Fascismo, Capo del Governo;
Veduta la Delega 3 novembre 1939 XVIII, rilasciata dal Duce del Fascismo, Capo del Governo, al Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Abbiamo decretato e decretiamo
Concediamo alla Nostra Marina il seguente stemma:
Inquartato: al 1° (Marineria Veneta) di rosso al leone di S. Marco con la spada e con il libro degli Evangelisti chiuso, quale si usava in tempo di guerra; al 2° (Marineria Genovese) d’argento alla croce di rosso; al 3° (Marineria Amalfitana) d’azzurro alla croce biforcata d’argento; al 4° (Marineria Pisana) di rosso alla croce pisana d’argento; sul tutto l’insegna Sabauda affiancata da due fasci littori d’oro;
Lo scudo sarà contornato da un cavo torticcio d’oro e sormontato da una corona formata da un cerchio con motivi alternati di rostri e di ancore romane, cimato da quattro torri (tre visibili) merlate alla guelfa, fiancheggiato da due prore rostrate che sporgono lateralmente, il tutto d’oro.
Il Duce del Fascismo, capo del Governo, è incaricato della esecuzione del presente Decreto che sarà registrato alla Corte dei Conti e trascritto nei registri della Consulta Araldica e nell’archivio di Stato in Roma.
Dato a Roma: addì 25 aprile 1941 XIX.
Vittorio Emanuele”. 9)
Ci sia permesso, a tal punto, evidenziare che la blasonatura del Regio Decreto ci sembra infelice e difettosa. Manca, ad esempio, la descrizione dello smalto del leone marciano e la positura della stessa figura araldica, se “passante”, “accovacciata”…; lo smalto, poi, dello scudo della Veneta repubblica non è mai stato “di rosso”, ma “d’azzurro”, essendosi, invece, nel tempo usato il “di rosso”, preferibilmente e solo in Bandiera; 10) che il leone marciano impugnante una spada con il libro chiuso lo si usasse, poi, “in tempo di guerra” è solo una falsa e diffusa credenza; 11)
La “croce pisana d’argento”, invece, ha i pomelli disgiunti e non uniti ai bracci della croce ed infine, per la corona, non viene specificato il numero dei “rostri e delle ancore romane”.
Le successive “norme di applicazione” prescrivevano:
“Lo stemma araldico della Regia Marina, o del nome della nave, sarà sistemato a prora delle corazzate e incrociatori, assegnando lo stemma araldico del nome della nave a quelle corazzate e incrociatori che abbiano un nome cui si riferisce uno stemma araldico. Lo stemma araldico del nome della nave sarà pure sistemato sulle imbarcazioni, bitte e tappi di volata dei cannoni relativi a corazzate e incrociatori che abbiano nomi cui si riferisce uno stemma araldico. Essi saranno in bronzo a superficie liscia. Il fondo sarà in smalto bleu scuro”.
“Le dimensioni dello stemma di prora dovevano essere le seguenti:
– corazzate e incrociatori: altezza 1200 mm, larghezza 600 mm;
– incrociatori minori: altezza 1000 mm, larghezza 500 mm.
I problemi derivanti dalla guerra e, a partire dal 1943, quelli ancor più gravi derivanti dall’armistizio e dalla divisione dell’Italia in due parti che si combattevano fra loro, fecero trascurare la questione dello stemma araldico. In quegli anni, fra l’altro non si costruirono molte grandi navi sulle quali applicarlo”. 12).[/vc_column_text][/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Sezione 7″ tab_id=”1459156530774-01d3d8b6-663a”][vc_column_text]
Bandiera e Fiamma della Marina Militare
Con l’avvento della forma repubblicana, a seguito del referendum istituzionale, venne soppresso lo stemma Sabaudo caricato nel drappo di bianco del tricolore, con il Decreto Legislativo Presidenziale 19 giugno 1946, n.1, che all’art. 8 così recitava: “Fino a quando non venga diversamente deliberato dall’Assemblea Costituente, la bandiera nazionale è formata da un drappo rettangolare distinto verticalmente in tre sezioni uguali rispettivamente dei colori verde, bianco e rosso”. 13)
“Non è stato possibile reperire le disposizioni esecutive impartite dal Ministero della Marina per l’adozione della nuova bandiera. Evidentemente tali disposizioni furono date con circolari non riportate né sul Giornale Ufficiale, né sul Foglio d’Ordini. Per questo motivo non si può stabilire la data in cui fu alzata per la prima volta la nuova bandiera. Si presume che ciò sia avvenuto fra il 25 e il 30 giugno 1946, trascorso il tempo necessario per confezionare e distribuire le nuove bandiere tricolori”. 14)
Ma il semplice Tricolore di verde, di bianco e di rosso inalberato sulle navi militari e mercantili italiane provocava non pochi equivoci, usando, parimenti, anche il Messico, una bandiera Tricolore di verde, di bianco e di rosso.
Venne perciò incaricato il Consiglio Superiore della Marina di proporre un simbolo da applicare sul drappo di bianco del Tricolore e la scelta cadde nello stemma concesso alla Marina Militare con R.D. 25 aprile 1941, n. 3107.
Il 24 settembre 1947, il Segretario Generale del Ministero Difesa-Marina comunicava, perciò, al Gabinetto della Difesa: “Atteso che il tricolore puro e semplice è già usato dal Messico per la propria bandiera mercantile,… fu scelto l’emblema araldico della Marina, rappresentante in quattro quarti gli stemmi delle repubbliche marinare (Venezia, Genova, Pisa, Amalfi) con il quale caricare al centro la banda bianca del tricolore. Lo stesso emblema fu scelto per la bandiera di bompresso”. 15)
Per quanto sopra, il Capo Provvisorio dello Stato, in data 9 novembre 1947, decretò la nuova Bandiera della Marina Militare, con lo stemma concesso nell’aprile del 1941, da caricare nel drappo centrale di bianco, ovviamente privato dello scudetto Sabaudo, con due fasci littori d’oro per sostegni, sopra il tutto.
Il relativo decreto Legislativo del capo Provvisorio dello Stato, n. 1305, così recita: “… E’ istituita per la Marina militare e per la Marina mercantile una bandiera navale conforme ai modelli risultanti dalla tavola annessa al presente decreto, firmata dai Ministri per la difesa e per la marina mercantile. Per la Marina militare, la bandiera navale è costituita dal tricolore italiano, caricato, al centro della banda bianca, dall’emblema araldico della Marina militare, rappresentante in quattro parti gli stemmi delle Repubbliche marinare (Venezia; Genova, Pisa, Amalfi), e sormontata da una corona turrita e rostrata.
Per la Marina mercantile, la bandiera navale è costituita dal tricolore italiano, caricato, al centro della banda bianca, dallo stemma araldico indicato nel precedente comma, senza corona turrita e rostrata, e con il leone di San Marco con il libro, anziché con Spada. …”. 16).[/vc_column_text][/vc_tta_section][vc_tta_section title=”Sezione 8″ tab_id=”1459156688471-d02acdd2-95b4”][vc_column_text]
Stemma Marina Militare Italiana
A seguito della pubblicazione, nella Gazzetta Ufficiale n. 275 del 29 novembre 1947, del D.L.C.P.S., le nuove Bandiere vennero issate sulle navi militari, nei distaccamenti della Marina e nelle navi mercantili, per la prima volta, il 30 novembre 1947. 17)
Per lo stemma della Marina Militare ci eravamo permessi formulare diverse osservazioni allo Stato Maggiore Marina, Roma.
Con nota del gennaio 1993, avevamo, infatti, evidenziato che lo stemma della Marina Militare, riportato in bianco/nero in pubblicazioni ufficiali, non portava più i previsti segni convenzionali indicanti gli smalti. 18)
Lo Stato Maggiore Marina, Ufficio Affari Generali, con nota dell’11 febbraio 1993, rispondeva testualmente: “In merito a quanto rappresentato nella Sua lettera datata 27 gennaio 1993, sento il dovere di esprimerLe i sensi di viva gratitudine per le preziose indicazioni fornite. Sarà cura di questo Stato Maggiore diffondere e richiamare l’attenzione degli “addetti ai lavori” per la corretta e fedele riproduzione dello stemma della Marina militare quando rappresentato in bianco e nero. Augurandomi di poter ancora usufruire della Sua competente collaborazione, voglia gradire i miei più cordiali saluti”. 19)
Parimenti lo Stato Maggiore Marina dedicava alla nostra osservazione, l’intera pagina 32 del prestigioso Notiziario della Marina, del marzo 1993. 18)
Successivamente, con nota del 2 giugno 1993, ci permettevamo chiedere spiegazioni sul perché delle ombreggiature di marrone-nero, nel sottocorona in bandiera, osservando, altresì, che lo stemma, sovente, quando viene riportato a colori, in pubblicazioni ufficiali dello S. M. M., porta, invece, “l’ancora e due rostri romani di rosso”, contravvenendo così alla blasonatura concessa con R.D. del 25 aprile 1941, ove si parla, invece, per la corona, “il tutto d’oro”. 20)
Con altra nota del luglio 1994, osservavamo che i “quarti” riproducenti le armi delle Repubbliche di Venezia e di Pisa non ci risultavano rispondenti agli stemmi di queste antiche marinerie, in quanto nella tradizione araldica veneziana, in scudo, il campo è sempre stato “d’azzurro” e non “di rosso” ed il leone, sempre in scudo, veniva, di norma, caricato nella classica positura di accovacciato, con la testa posta di fronte e senza impugnare la spada. Si chiedevano, altresì, informazioni, sempre per l’arme di Venezia, sul perché della presenza di tre, non meglio identificate, “figure d’oro”, addestrate al leone marciano passante, sul campo di rosso.
Per l’arme pisana, osservavamo, infine, che i pomelli, negli antichi stemmi di Pisa, non figurano congiunti ai bracci della croce. 22)
A tali note, lo Stato Maggiore Marina, nell’agosto 1994, rispondeva: “Nel ringraziarLa per le segnalazioni contenute nella Sua nota del 2 giugno 1993,… si trasmette copia del volumetto “Insegne Bandiere Distintivi e stemmi della Marina in Italia”, pubblicato quale supplemento alla RIVISTA MARITTIMA nel 1992 e nel quale la S.V. potrà trovare riscontro, per quanto possibile, ai quesiti di cui alla Sua ultima nota del 23 luglio 1994”. 23)
Con successiva nota dell’ottobre 1994, lo Stato Maggiore Marina comunicava: “Prosecuzione foglio 8036785/H/3/1 in data 26 agosto 1994. La presente per informarLa che a seguito della segnalazione contenuta nella Sua nota del 2 giugno 1993, lo S.M.M. è venuto alla determinazione di prevedere l’emendamento dell’errore evidenziato, accettando, per motivi di economicità, la coesistenza delle bandiere araldicamente non perfette fino a consumazione”. 24)
Con nostra del luglio 1997, infine, ci siamo permessi chiedere allo Stato Maggiore Marina, quale errore era stato emendato (corona, quarto di Venezia, quarto di Pisa) nell’emblema della Marina Militare Italiana. 25)
E lo Stato Maggiore Marina, con nota del 24 luglio 1994, rispondeva: “ringraziando per la circostanziata ed interessante segnalazione di cui alla Sua lettera dello scorso 1° luglio con la quale si sofferma su alcuni particolari dello stemma della Bandiera navale.
Al riguardo osservo come le potenziali imperfezioni da lei individuate investano in maniera certamente non marginale la configurazione dello stemma, in particolare per quanto concerne la quartina del Leone di S. Marco. Ove, riscontrate oggettivamente ed inequivocabilmente valide, le stesse fossero recepite e formalizzate in una concreta modifica, la bandiera verrebbe variata in maniera significativa rispetto a quanto ormai ben consolidato ed universalmente conosciuto.
Come può ben immaginare, a prescindere dal conforto del supporto normativo che sanziona la composizione dello stemma araldico della Marina (R.D. 25 aprile 1941, n. 3107 e successive modificazioni/integrazioni), non è ragionevole ipotizzare, alla luce dell’ormai consolidato storico, che lo stemma possa essere così significativamente modificato. Detto pragmatico orientamento trova peraltro qualche supporto in una serie di rapide ricerche attivate a seguito del Suo scritto.
Da dette ricerche: – per quanto concerne la croce pisana si è avuta prevalente indicazione che i pomelli sono disgiunti dai bracci (ancorché la allegata pag. 400 del Vol. XXVII della Treccani li riporti congiunti); – per il Leone di San Marco si è potuto risalire a varie raffigurazioni (alcune risalenti al 1300) in cui la figura è anche in campo rosso e la posizione non è accovacciata (cfr. al riguardo l’allegato foglio estratto dal volume “Le Bandiere storie e simboli”).
Ancora grato per il Suo puntuale interessamento, Le formulo i più cordiali saluti ed i migliori auspici”. 26).
Stemma della Marina Militare Italiana in b/n con i tratteggi
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Stemma Marina Militare Italiana
Ci permettiamo solo di aggiungere che per la corona, lo Stato Maggiore Marina nulla risponde riguardo ai rostri ed all’ancora romana “di rosso” ed alle ombreggiature di nero-marrone nel sottocorona presenti, tuttora, in diverse pubblicazioni ufficiali edite dallo Stato Maggiore Marina mentre l’originaria blasonatura parla di “tutto d’oro”; per l’arme di Venezia, poi, non possiamo che riconfermare che, in scudo, il campo è “d’azzurro” e non “di rosso”, mentre il leone marciano figura “accovacciato, con la testa posta di fronte”, in Venezia chiamato “in moleca” e non nella positura di “passante”. Parimenti nulla osserva per le “tre piccole figure d’oro”, non meglio specificate, e addestrate al leone marciano, presenti nel campo di rosso dell’emblema veneziano e non blasonate nel R.D. del 25 aprile 1941, concessivo dello stemma, che secondo taluni, opportunamente, risulterebbero essere, invece, delle “granate fiammeggianti d’oro” e nemmeno per il “ristretto” raffigurante, si presume, la terra ed il mare, sul quale dovrebbe appoggiare il leone marciano; “ristretto” quanto mai approssimativo, confuso e sintetico, nel disegno. 27).
“Da sfatare, infine, come già ricordato, la diffusa convinzione che assegna sembianze bellicose al leone marciano che tiene il libro chiuso e che impugna una spada, posta in palo, con la punta rivolta verso l’alto o, meglio, che tale simbolo rappresenti la Veneta repubblica “in stato di guerra”. Tale credenza non trova nessun riscontro storico-araldico”. 28).
Siamo perfettamente coscienti che i tempi attuali sono meno sensibili al valore dei simboli ed alla scienza araldica; ci permettiamo, comunque, a futura memoria, blasonare, nella forma ideale, l’arme della Marina Militare Italiana, ritenendolo un atto di deferenza per quello che la nostra Marina ha rappresentato e rappresenta.
“Inquartato: nel 1° d’azzurro, al leone d’oro, alato e nimbato dello stesso, con la testa posta di fronte, accovacciato, tenente fra le zampe anteriori avanti al petto il libro d’argento, aperto, scritto delle parole a lettere maiuscole romane di nero PAX TIBI MARCE nella prima facciata in quattro righe, ed EVANGELISTA MEUS nella seconda facciata, similmente in quattro righe (Repubblica di Venezia); nel 2° d’argento alla croce di rosso (Repubblica di Genova); nel 3° d’azzurro alla croce d’argento, di otto punte, patente (Repubblica di Amalfi); nel 4° di rosso alla croce d’argento, patente e ritrinciata, con tre pomelli dello stesso, disgiunti dalle estremità dei bracci (Repubblica di Pisa). Lo scudo, orlato in filetto da un cavo torticcio d’oro, sarà timbrato da una corona formata da un cerchio, rostrato di sei (quattro visibili) e munito di due ancore romane (una visibile), sostenente quattro torri (tre visibili), merlate alla guelfa di tre, il tutto d’oro”.
____________________________
1) N. Papadopoli Aldobrandini, Il leone di San Marco, cit. pp. 294-295.
2) E. Concina, Le trionfali armate venete, Venezia 1972, pp. 133-137.
3) G.Galuppini – F.Gay., INSEGNE BANDIERE DISTINTIVE E STEMMI DELLA MARINA ITALIANA, due secoli di storia, in “Rivista Marittima”, n. 4 – Roma, aprile 1992, INSERTO. p. 64.
4) ibidem, p. 22.
5) ibidem, p. 27.
6) ibidem, p. 28.
7) ibidem, p. 29.
8) ibidem, pp. 59-60.
9) Regio Decreto 25 aprile 1941 – anno XIX E. F., n. 3107.
10) Per gli smalti dello scudo marciano, Domenico D’Acquino, nella sua opera: Giuoco d’Armi dei Sovrani d’Europa, così recita per l’insegna di Venezia: “Vedi colà de la Città di Marco sovra campo d’azzur d’oro il Leone”. (D. D’Acquino., Giuoco d’armi dei Sovrani d’Europa, Napoli 1678).
Giulio Cesare De Beatiano, nella sua pubblicazione: L’Araldo Veneto, descrivendo il “Blasone della Repubblica di Venetia, e de’ Suoi Regni, e Stati”, per l’emblema della Serenissima, così annota: “Lo scudetto nel mezzo dello Scudo sopra il tutto, ò centro d’azurro con un Leone passante”. (G. C. De Beatiano, L’Araldo Veneto, overo Universale Armerista, mettodico di tutta la Scienza Araldica, Venetia, MDCLXXX, p. 271).
Vincenzo Coronelli, invece, asserisce: “Innalza Venetia per blasone in campo azzurro il leone di San Marco d’oro, il quale ha da essere alato; deve mostrare l’uno e l’altro occhio e tenere un libro aperto, nel quale si vede scritto PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS”. ( V. Coronelli., Viaggi, parte I, Venezia 1697).
Napoleone I, con lettere patenti 9 gennaio 1813, concesse alla “Buona Città di Venezia” il seguente stemma: “d’azzurro con la testa di leone alata d’oro, posto in maestà: terminato dal capo di verde colla lettera N d’oro posta nel cuore ed accostata da tre rose di sei foglie, del medesimo”. (Archivio di Stato di Venezia, Miscellanea atti diplomatici e privati, b. 77, n. 2190). La Delibera del Consiglio comunale di Venezia, adottata il 15 dicembre 1879, per quanto riguarda lo stemma civico, così recita: “Lo stemma del Comune di Venezia viene stabilito in uno scudo azzurro, col leone posto in maestà, ossia di fronte, alato e nimbato d’oro, tenente nella branche un libro aperto del medesimo metallo, in cui sarà scolpito in lettere nere il motto: PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS”. (Archivio Comunale di Venezia, Atti del Consiglio Comunale di Venezia, anno 1879, Relazione dell’Assessore Cattanei, a nome della Giunta).
Il Decreto del Capo del Governo 1° maggio 1942, XX E. F., concessivo dello stemma alla città di Venezia così recita: Stemma: “d’azzurro al leone d’oro posto in maestà (in moleca) alato e nimbato d’oro, tenente fra gli artigli il libro aperto dell’Evangelo su cui sta scritto, a lettere nere, il motto PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS. Capo del Littorio: di rosso (porpora) al Fascio Littorio d’oro circondato da due rami di quercia e di alloro annodati da un nastro dai colori nazionali. Lo scudo, di forma veneta, sarà cimato dal corno dogale cinto da corona a fioroni”. (Archivio Comunale di Venezia, D. C. G. 1° maggio 1942, XX E. F., concessivo dello stemma alla città di Venezia).
(Il Capo del Littorio fece la sua comparsa con il R.D. 24 ottobre 1933, n. 1440, ove si prevedeva appunto, negli scudi dei Comuni e delle Province, tale emblema che è: “di rosso (porpora) al Fascio Littorio d’oro circondato da due rami di quercia e di alloro annodati da un nastro dai colori nazionali”. Il Capo del Littorio venne abolito con Decreto Legislativo Luogotenenziale 26 ottobre 1944, n. 313).
Il Decreto Presidente della Repubblica 6 novembre 1996, che convalida la sostituzione dello stemma di cui al citato D. C. G. 1° maggio 1942, così recita: Stemma: “d’azzurro, al leone d’oro, alato e nimbato dello stesso, con la testa posta di fronte, accovacciato, tenente fra le zampe anteriori avanti al petto il libro d’argento, aperto, scritto delle parole a lettere maiuscole romane di nero PAX TIBI MARCE nella prima facciata in quattro righe, ed EVANGELISTA MEUS nella seconda facciata, similmente in quattro righe. Lo scudo di forma veneta sarà timbrato dal corno dogale”. ( Archivio Comunale di Venezia, D. P. R. 6 novembre 1996, concessivo dello stemma alla città di Venezia, in sostituzione di quello concesso con D. C. G. 1° maggio 1942).
Per le bandiere marciane, invece, osserviamo che: “nelle cerimonie ufficiali e nelle processioni alle quali partecipava il serenissimo Principe, lo stesso era sempre preceduto da otto “comandatori” che reggevano altrettanti vessilli marciani. I colori del drappo erano di bianco, di rosso, d’azzurro e di violetto. Secondo il cerimoniale veneziano, avevano la precedenza i vessilli il cui colore corrispondeva al momento politico in cui si trovava la Serenissima. Così precedevano gli stendardi con il drappo di bianco, se la Repubblica era in pace, con drappo di rosso, se in guerra, con drappo d’azzurro, se in alleanza con qualche sovrano ed infine con drappo di violetto, se in tregua d’armi” (G. Aldrighetti – M. De Biasi., Il Gonfalone di San Marco, analisi storico-araldica dello stemma, gonfalone, bandiera e sigillo della città di Venezia, Venezia 1998, p. 43).
“Le bandiere delle fortezze erano di colore vario, il più spesso azzurro, e portavano le armi del Castellano e del Comandante insieme col leone veneziano. Quelle dell’esercito portavano i colori e gli stemmi dei singoli proprietari e comandanti delle condotte, o dei reggimenti” (N. Papadopoli Aldobrandini., Il leone di San Marco – Pensieri ed osservazioni di un numismatico, in “Rivista mensile della città di Venezia”, dicembre 1923, p. 295).
9?-11) G. Aldrighetti – M. De Biasi., Il Gonfalone di San Marco, analisi storico-araldica dello stemma, gonfalone, bandiera e sigillo della città di Venezia, Venezia 1998, pp. 43-44. “ Che la spada stia ad indicare uno stato di guerra è una diceria posteriore, certo nata perché le monete di Candia (1643) mostrano un leone che reca una spada. Sulle monete per la Dalmazia e l’Albania il leone ha un ramo d’olivo. Durante la guerra del Peloponneso, esso può tenere nelle zampe una croce o una palma con la scritta FIDES ET VICTORIA, o una spada con la dicitura ISOLE ET ARMATA ovvero ARMATA ET MOREA.” (W.H. Rudt de Collenberg., Il leone di San Marco: Aspetti storici e formali dell’emblema statale della Serenissima, in “Ateneo Veneto”, anno CLXXVI (1989), pp. 66-67).
Nei leoni di San Marco: “si può notare come l’evangelario si presenti all’inizio sempre chiuso, in seguito o chiuso o aperto. Anche a questo proposito troviamo detto che il primo caso indica uno stato di guerra, il secondo la pace; ma la cosa non è dimostrata. In origine il libro aperto poteva recare varie scritte finché non si è generalmente imposta la dizione PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS”. (W.H. Rudt de Collenberg., Il leone di San Marco: Aspetti storici e formali dell’emblema statale della Serenissima, cit., pp.67-68).
12) G. Galuppini – F. Gay, INSEGNE BANDIERE DISTINTIVE E STEMMI DELLA MARINA ITALIANA, due secoli di storia, cit., pp. 63-64.
13) D. L. P. 19 giugno 1946, n. 1.
14) G. Galuppini – F. Gay, INSEGNE BANDIERE DISTINTIVE E STEMMI DELLA MARINA ITALIANA, due secoli di storia, cit., p. 64.
15) Segretariato Generale del Ministero Difesa-Marina, nota del 24 settembre 1947, indirizzata al Gabinetto del Ministero Difesa, Roma.
16) D.L.C.P.S. 9 novembre 1947, n. 1305.
17) G.U. 29 novembre 1947, n. 275.
18) Giorgio Aldrighetti, nota del 27 gennaio 1993 indirizzata allo Stato Maggiore Marina, Roma.
19) Stato Maggiore Marina, Ufficio Affari Generali, nota dell’11 febbraio 1993, prot. 04, indirizzata a Giorgio Aldrighetti, Chioggia.
20) Stato Maggiore della Marina, Uff. Document. ed attività promozionali, Notiziario della Marina, anno XL, N° 3, marzo 1993, p. 32.
21) Giorgio Aldrighetti, nota del 2 giugno 1993 indirizzata allo Stato Maggiore Marina, Roma. 22) Ibidem.
23) Stato Maggiore Marina, Rep. U.A.G., Ufficio 3/1°, nota del 26 agosto 1994, prot. 8036785, indirizzata a Giorgio Aldrighetti, Chioggia.
24) Ibidem.
25) Giorgio Aldrighetti, nota del 1 luglio 1997 indirizzata allo Stato Maggiore Marina, Roma.
26) Stato Maggiore Marina, Ufficio Affari Generali, nota del 24 luglio 1994, prot. 037, indirizzata a Giorgio Aldrighetti, Chioggia.
27) G. Aldrighetti – M. De Biasi., Il Gonfalone di San Marco, analisi storico-araldica dello stemma, gonfalone, bandiera e sigillo della città di Venezia, Venezia 1998, pp. 86-100.
28) Ibidem, pp. 43-44, 104-121, 218, 230, 236, 278, 362, 370.
W.H. Rudt de Collenberg., Il leone di San Marco: Aspetti storici e formali dell’emblema statale della Serenissima, in “Ateneo Veneto”, anno CLXXVI (1989).
G. Aldrighetti., Il Leone di San Marco, Analisi storico-araldica per lo stemma, gonfalone, bandiera e sigillo della Provincia di Venezia, in “Provincia di Venezia”, n. 1/3, 1995, SUPPLEMENTO, Venezia 199
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ALCUNI STEMMI ANTICHI E MODERNI
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Stemma
Arma dei Carabinieri
di
GIORGIO ALDRIGHETTI
Con il D.P.R. 21 maggio 2002 è stato concesso il nuovo stemma all’Arma dei Carabinieri, divenuta quarta Forza Armata dello Stato. 1)
L’ottima blasonatura contenuta nel Decreto così recita: “Scudo di forma mistilinea: di rosso, inquartato dalla croce diminuita d’argento, il I e il IV alla mano destra recisa d’argento, posta in banda, impugnante il serpente di verde, allumato e linguato di nero, avvolgente la mano stessa, con la testa e la coda volte a destra; il II e III alla granata d’oro, infiammata dello stesso; al capo d’azzurro caricato dal leone illeopardito passante d’oro, allumato e linguato di rosso, armato d’oro, sostenuto dalla linea di partizione, attraversante il tronco del rovere d’argento sradicato, coi rami doppiamente decussati, ghiandifero di otto, d’oro. Sotto lo scudo, su lista svolazzante d’azzurro, il motto in lettere maiuscole lapidarie romane d’oro “NEI SECOLI FEDELE”.
Lo scudo è timbrato dalla corona turrita d’oro, merlata alla guelfa, murata di nero, formata dal cerchio, rosso all’interno con due cordonate di muro sui margini, sostenente otto torri (cinque visibili), le torri di foggia rettangolare, merlate di dodici (quattro merli visibili, due angolari), chiuse e finestrate di uno di nero, il fastigio merlato di quarantotto (ventiquattro visibili), sei merli fra torre e torre”.
Nel nuovo stemma, che recupera diversi elementi araldici presenti nel primo emblema concesso nel 1935, troviamo gli smalti d’azzurro, di rosso, di verde, d’argento e d’oro e le figure araldiche del leone illeopardito passante, della mano recisa, del serpente, della granata fiammeggiante e del rovere sradicato.
In estrema sintesi ricordiamo che l’azzurro per la Benemerita rappresenta il valore, l’amor patrio e la fedeltà con cui i Carabinieri operano per la difesa dello Stato, mentre il rosso simboleggia, invece, l’ardire, il coraggio ed il sacrificio. Il leone caricato al capo indica la determinazione con la quale viene assicurato il buon governo, mentre il rovere simboleggia le glorie militari, attraverso le numerose decorazioni conseguite ed è, altresì, simbolo di antichità, costante rinverdimento, di merito riconosciuto e di animo forte e guerriero. Il serpente caricato nello stemma è simbolo, infine, di cautela e di buon governo.
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L’ Araldica Civica
DI GIORGIO ALDRIGHETTI
Come già ricordato il più antico stemma dell’Arma dei Carabinieri risale al 1935 quando, a seguito della concessione della Bandiera di Guerra sancita con R.D. 7 luglio 1932, n° 375, venne autorizzato l’emblema araldico alla Benemerita, con R.D. 2 maggio 1935, seguito dalle RR.LL.PP. in data 27 maggio 1935, caricato con le figure araldiche che riscontreremo, in parte, anche nelle modificazioni successive dello stemma. 2)
Con D.P.R. 27 dicembre 1952, l’emblema verrà modificato, per ottemperare alle direttive del Ministero della Difesa, a seguito del cambiamento istituzionale dello Stato Italiano. 3)
Con successivo D.P.R. 19 gennaio 1977, lo stemma subirà altre modifiche e porterà la seguente descrizione araldica: “Lo stemma concesso all’Arma dei Carabinieri con DPR 27 dicembre 1952 è così modificato: tagliato: nel primo d’azzurro alla branca di leone d’oro movente dal fianco destro dello scudo e stringente un serpente al naturale volto a sinistra; nel secondo di rosso alla quercia sradicata d’argento. Il tutto abbassato al capo d’oro partito da un palo d’azzurro. Lo scudo accollato a due carabine antiche e a quattro sciabole, tutte in decusse; le impugnature delle sciabole uscenti dallo scudo, sopra d’oro e sotto d’argento. Ornamenti esteriori: Sullo scudo il fregio dell’Arma dei carabinieri accompagnato dai nastri indicativi delle ricompense al valore di cui l’Arma ha titolo di fregiarsi. Sotto lo scudo, su lista con le estremità bifide troncate di rosso e d’azzurro, con alamari d’argento, il motto: NEI SECOLI FEDELE”. 4)
Lo stemma verrà nuovamente modificato nel 1987 per aggiornarlo alle direttive dallo Stato Maggiore Esercito contemplate nella circolare 121 del 9 febbraio 1987. 5)
Si riporta la relativa blasonatura tratta da: STATO MAGGIORE ESERCITO, Ufficio Storico, Elementi di Araldica di Amedeo CHIUSANO, Gaeta 1995: “a) Scudo: tagliato; nel primo d’azzurro alla branca di leone d’oro movente dal fianco destro dello scudo e stringente un serpente al naturale volto a sinistra; nel secondo di rosso alla quercia sradicata d’argento. Il tutto abbassato al capo d’oro. b) Corona Turrita. c) Ornamenti (1) Lista bifida: d’oro, svolazzante, collocata sotto la punta dello scudo, incurvata con la concavità rivolta verso l’alto, riportante il motto: “NEI SECOLI FEDELE”. (2) Onorificenza: accollata alla punta dello scudo con l’insegna pendente al centro del nastro con i colori della stessa. (3) Nastri rappresentativi delle ricompense al Valore: annodati nella parte centrale non visibile della corona turrita, scendenti svolazzanti in sbarra ed in banda dal punto predetto, passando dietro la parte superiore dello scudo”. 6)
Concludiamo, esprimendo la nostra intima gioia nel vedere, finalmente, la concessione all’Arma dei Carabinieri di uno stemma che recupera il patrimonio storico-araldico della “Benemerita”, rinnovando, infine, le nostre felicitazioni per la eccellente blasonatura. 7)
1) Nel 1692 Vittorio Amedeo di Savoja concedeva, per la prima volta, uno stemma ad ogni suo reggimento. La prima legge in materia di araldica militare risale, invece, al 1917, in forza del R.D. 18 agosto 1917, n. 1391, che istituisce una onorificenza per premiare i reparti che combattevano contro l’impero austro-ungarico. Con il R.D. 24 marzo 1932, si sanzionava, invece, la forma definitiva dei “motti araldici” per i reggimenti e corpi dell’Esercito. Con circolare del Ministero della Guerra del 20 maggio 1932 veniva attribuito all’Arma dei Carabinieri il motto “Nei secoli fedele”.
2) Il successivo 4 di luglio 1939, con circolare del Ministero della Guerra n. 55619, si fornivano istruzioni per le domande relative alla concessione dello stemma per i reggimenti; con altra circolare del 7 di ottobre 1939, la n. 92060, si ribadiva, invece, la forma “sannitica” dello scudo.
3) Con l’avvento della Repubblica, con circolare n. 523 del 22 di novembre 1948, si ripristinava la concessione di stemmi e motti araldici per i corpi dell’Esercito, sospesa nel 1942, perdurando lo stato di guerra. Con successiva circolare n. 210 del 13 di febbraio 1950, si chiarivano, invece, le norme e le caratteristiche degli stemmi dell’Esercito. Con nota n. 548, in data 1 di luglio 1952, il Ministero della Difesa sanzionava la granata fiammeggiante che doveva sormontare il nuovo scudo.
4) Su proposta del Comando Generale dell’Arma, il Ministero della Difesa, con nota n. 741 del 25 di giugno 1976, abrogò la granata fiammeggiante, istituendone una nuova, in tutto simile alla prima, ma caricata con le cifre d’onore R.I. Per la blasonatura dell’arme era meglio dire: …serpente ondeggiante in palo con la testa rivolta…al posto di … serpente al naturale volto a sinistra…; invece che al naturale si poteva scegliere lo “smalto” consueto per i serpenti, cioè il di verde; il tutto abbassato al capo d’oro ci sembra espressione infelice; giovava dire: …al capo d’oro caricato dal palo d’azzurro ovvero il tutto sotto il capo d’oro caricato dal palo d’azzurro.
5) Lo Stato Maggiore Esercito, con circolare n. 121 del 9 di febbraio 1987, pubblicata nel Giornale Ufficiale del 14 febbraio 1987, disponeva, nel quadro di un riordino generale dell’araldica militare, sollecitato dalla Presidenza della Repubblica, che tutti i Corpi ed Enti militari che hanno diritto a fregiarsi di uno stemma, ne rivedano il disegno, secondo le seguenti direttive:
“1. – Corpi ed Enti dell’Esercito che hanno diritto a fregiarsi di uno stemma sono tutti quelli ai quali è stata concessa la Bandiera.
2. – Nel loro complesso e nei loro particolari costitutivi, gli stemmi dovranno porre in giusta evidenza i fattori storici che hanno nobilitato il Corpo o l’Ente.
3. – Lo stemma sarà composto di tre parti: scudo, corona turrita, ornamenti. a. scudo: sarà appuntato ( forma detta sannitica). Le sue armi potranno essere formate da tutte le figure (araldiche, naturali ed ideali); per la loro blasonatura ci si dovrà basare principalmente sulle origini, sulle tradizioni, sui legami territoriali e sulle più salienti glorie militari e di fatti d’arme che hanno comportato la concessione di decorazioni al Valore Militare o glorie di eventuale altra natura dei Corpi. Il capo onorevole d’oro, unico e non soggetto a partizioni, blasonerà le Medaglie d’Oro al Valore Militare conseguite. b. corona turrita: sarà formata da un cerchio, rosso all’interno, con due cordonate a muro sui margini, sostenente otto torri (cinque visibili). Le torri hanno foggia rettangolare e dieci merli alla guelfa (quattro dei quali angolari), sono munite di una porta e di una sola finestra e sono riunite da cortine di muro, ciascuna finestrata di uno. Il tutto è d’oro e murato di nero. Essa sormonterà lo scudo.
c. ornamenti: comprenderanno:
(1) Lista bifida: d’oro, svolazzante, collocata sotto la punta dello scudo, incurvata con la concavità rivolta verso l’alto, riportante il motto. I caratteri saranno maiuscoli lapidari romani, di nero. La lingua da usarsi può essere quella italiana o quella latina e solo eccezionalmente, per fondati motivi tradizionali, sarà consentito l’uso di una lingua straniera o di un dialetto.
(2) Onorificenze: saranno accollate alla punta dello scudo con l’insegna pendente al centro del nastro che avrà i colori della stessa. Non potranno essere accollate più di tre diverse onorificenze e non si dovrà dar luogo alla ripetizione della stessa onorificenza più volte conseguita.
(3) Nastri rappresentativi delle ricompense al Valore: annodati nella parte centrale non visibile della corona turrita, scendenti svolazzanti in sbarra ed in banda dal punto predetto, passando dietro la parte superiore dello scudo. Essi si ripartiranno alternativamente ai due lati dello scudo iniziando da destra. La loro larghezza sarà di 1/14 di quella dello scudo e non potranno scostarsi dai fianchi dello stesso di oltre la metà della sua larghezza. Essi saranno tanti quante le medaglie al Valore che fregiano la Bandiera fino ad un massimo di dieci (cinque per lato); qualora il numero complessivo delle decorazioni ecceda il suddetto limite, la stessa ricompensa più volte concessa sarà indicata – a partire da quella di minor prestigio – dal relativo numerico romano, d’oro, caricato sul corrispondente nastro nel senso della larghezza. Le raffigurazioni autorizzate sono – M.O.V.M.: azzurro bordato d’oro; – M.A.V.M.: azzurro bordato d’argento; – M.B.V.M.: azzurro; – Croce di Guerra: azzurro con due filetti centrali d’argento; – Medaglia al Valore dell’Esercito: azzurro con due filetti d’oro; – Medaglia al valor Civile: i tre colori nazionali.
(4) Sostegni e tenenti: se ne ammetterà l’impiego soltanto in via eccezionale allorché una particolare ricerca storica convalidi la necessità di tali ornamenti”. (Dispensa 7 – Circolare 121, N. 121 – ORDINAMENTO DELL’ESERCITO – Stemmi araldici – (Stato Maggiore dell’Esercito) – 9 febbraio 1987).
6) Per la blasonatura valgono, in parte, le considerazioni espresse nella nota 4).
7) Cfr.: G. Aldrighetti, Lo Stemma dell’Arma dei Carabinieri, “Nobiltà”, Rivista di araldica, genealogia, ordini cavallereschi, edita dall’Istituto Araldico Genealogico Italiano, n. 29, Milano, marzo-aprile 1999.[/vc_column_text][/vc_tta_section][/vc_tta_pageable][/vc_column][/vc_row]