[vc_row][vc_column][vc_tta_pageable no_fill_content_area=”1″ active_section=”1″][vc_tta_section title=”Sezione 1″ tab_id=”1456232686782-6c7c72fa-afa9″][vc_column_text]

Araldica Gentilizia

di Giorgio Aldrighetti

 

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Agli albori dell’araldica (sec. XII-XIII) i vari territori feudali assunsero degli stemmi che nel tempo divennero, per lo più, gli emblemi araldici delle famiglie dei loro feudatari.

Nell’Italia centro-settentrionale con la crisi del sistema feudale, avvenuta definitivamente nel sec. XIII, prende vigore il sistema articolato dei Comuni e gli stemmi diventano appannaggio anche delle famiglie consortili nei rinati centri urbani, divisi in terzieri, quartieri o popoli, delle civiche magistrature e delle “Arti” o corporazioni.

Ricordiamo, a tal punto, che la nobiltà del Veneto è un corpus di formazione composita. Ne fanno parte anzitutto le case di origine feudale, le più antiche e illustri derivanti da investiture anteriori al Mille (dei Carolingi, dei Re italici, degli Ottoni), molte altre posteriori, create da sovrani del Sacro Romano Impero (includente il Regno d’Italia), ovvero da principi ecclesiastici, come il Patriarca d’Aquileia, o laici come la Repubblica Veneta.

Concorrono poi a formarla i nobili creati da vari sovrani e principi senza che al titolo corrispondesse un potere effettivo; è il caso dei comites palatini, cui spettavano solo mansioni e preminenze onorifiche. Frequenti già nel Quattrocento, tali attribuzioni di titoli si moltiplicarono nel Sei-Settecento.

Le città e i borghi più importanti erano retti da un Consiglio, cui venne in tempi diversi riconosciuto un carattere nobiliare: vi è quindi una nobiltà cittadina, a sua volta di varia origine e composizione.

Per i titolari del Patriziato Veneto, invece, uno dei fondamenti basilari era l’uguaglianza assoluta di tutti i membri, anche se, di fatto, le differenze, nell’ambito della classe patrizia, erano enormi.

Ne consegue che ognuno poteva, almeno in linea teorica, diventare doge, procuratore di San Marco, savio del Collegio e il voto di un patrizio povero valeva quanto quello del più autorevole senatore. Riflesso di questo principio, o mito, dell’uguaglianza patrizia era il titolo riconosciuto ai patrizi, senza alcuna distinzione: veneto3quello di Nobilis Vir, Nobilis Homo, Nobiluomo.

In tutto il dominio della Repubblica di San Marco tale titolo, abbreviato in N.U., N.H. (N.D. per le donne), spettava solo a loro; esso designava le persone cui era riservato il potere politico. Da ciò il grande valore di quel titolo; esso abilitava alla partecipazione ai consigli sovrani, che amministravano la città e insieme l’intero Stato. Chi lo portava recava in sé una porzione di quella sovranità di cui ogni patrizio era partecipe, assieme agli altri membri del suo ceto. Ci sia permesso, a tal punto, ricordare che gli stemmi delle famiglie patrizie venete Bernardo, Capello, Foscari, Magno, Moro, Mula e Venier, caricano, fra le altre figure araldiche, il leone marciano, in varie positure e smalti.

Dopo la caduta della Repubblica, nel 1797, le varie dominazioni succedutesi e infine il Regno d’Italia hanno creato a loro volta nuove famiglie gentilizie, con la concessione di un titolo nobiliare e del relativo stemma.

Ne deriva che ogni famiglia nobile possiede un proprio stemma gentilizio. Ma se ad ogni famiglia nobile corrisponde necessariamente uno stemma, al contrario è da evidenziare che ad ogni stemma, non corrisponde necessariamente una famiglia nobile.

Infatti, e da secoli, esistono legalmente anche gli stemmi di “cittadinanza”, appannaggio questo riservato a famiglie notabili, ma che nulla hanno a che fare con la nobiltà; parimenti esistono anche gli stemmi di comunità o civici, ecclesiastici e militari, delle “arti” e “corporazioni” che nulla hanno a condividere sempre con il mondo gentilizio.

Da sfatare quindi la credenza che lo stemma sia solo e soltanto prerogativa nobiliare.

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Araldica Gentilizia

di Giorgio Aldrighetti

Le parti che compongono lo stemma gentilizio sono essenzialmente lo scudo e la corona. Esistono però numerosi altri ornamenti esteriori dello scudo quali l’elmo, il cimiero, il cercine, gli svolazzi, le penne, i tenenti, i supporti, i sostegni, il motto, il grido di guerra, il manto e le cordigliere.

Relativamente allo scudo, ricordiamo che per la scienza araldica con tale termine si intende il piano o campo sul quale si pongono le pezze o le figure delle quali sono composte le armi; da ciò derivò l’uso di prendere lo scudo per l’arme stessa.

Nel secolo XII e nella prima metà del XIII, lo scudo lo troviamo alto, pari alla metà del guerriero e veniva chiamato triangolare o normanno, risultando nella parte inferiore appuntito e nella parte superiore arrotondato, in modo da riparare la persona del guerriero; veniva portato attorno alla spalla mediante un cingolo.

Nella seconda metà del XIII secolo e nel XIV gli scudi s’impiccoliscono, hanno sempre la forma triangolare, però a lati uguali e prendono il nome scudoforme3di gotico antico. Nel secolo XV diventano retti ai lati e al di sotto arrotondati, chiamati perciò semirotondi o gotici moderni, sui quali si posizionavano più facilmente le armi composte. In questo periodo, nelle giostre e nei tornei vennero usati pure gli scudi a punta, denominati targhe o inglesi, fortemente incavati e piegati e nel lato sinistro forniti di un intaglio traverso il quale, nel giostrare, i cavalieri passavano la lancia.

Concluso l’epico periodo delle giostre e dei tornei, durante il Rinascimento, gli scudi ebbero forme svariatissime ed eleganti e presero il nome di ovali, rotondi, intagliati, sannitici, francesi o moderni, mentre nei secoli XVII e XVIII divennero barocchi, con il nome di targhe, parme, torelle, pavesi, teste di cavallo o di toro. Nel nostro territorio, invece, prevalse l’uso di uno scudo particolare chiamato scudo veneto, scudo questo, peraltro, largamente usato in altre aree della penisola sin dal secolo XV.

Il Regolamento tecnico araldico della Consulta Araldica del regno d’Italia, approvato con Regio Decreto 13 aprile 1905, n. 234, opera dell’insigne araldista barone Antonio Manno, senatore del Regno e commissario di Sua Maestà il Re presso la Consulta Araldica, prescrive, infine, all’art. 6, che la foggia normale dello scudo, sia quella appuntata. Tale foggia viene anche confermata dall’art. 59 del Regolamento per la Consulta Araldica del Regno, approvato con il Regio Decreto 7 giugno 1943, n. 652, tuttora vigente.

Così, per l’araldica, lo scudo è l’elemento più importante della complessa armatura dell’antico cavaliere, in quanto sullo scudo del cavaliere veniva originariamente e per primo raffigurato lo stemma personale o dell’ordine equestre di appartenenza o della nazionalità. Non sorprenda, quindi, che una delle norme araldiche maggiormente usate recita che per descrivere l’arme di una famiglia è sufficiente blasonare lo scudo.

In definitiva uno stemma deve essere esclusivo, vale a dire non presentarsi in forme uguali ad altri stemmi; deve essere di facile lettura, e cioè stilizzato in modo rispondente alle convenzionali norme della descrizione araldica; deve essere costante, cioè sempre identico a sé stesso.

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Araldica Gentilizia

di Giorgio Aldrighetti

Passando alle corone ricordiamo che il più volte ricordato Regolamento tecnico-araldico del 1905 detta che le famiglie gentilizie timbrino lo scudo con corone formate da un cerchio brunito o rabescato d’oro, gemmato, cordonato ai margini e sostenente le insegne del titolo o dignità.

Le corone descritte e previste, secondo il titolo e la dignità, sono:

1, Corona normale di Principe.
È sormontata da otto foglie di acanto o fioroni d’oro (cinque visibili) sostenute da punte ed alternate da otto perle (quattro visibili).

2, 3, 4 , 5, Corone tollerate di Principe.
Sono tollerate le corone che non hanno i fioroni alternati da perle, o che sono bottonati da una perla, o che hanno le perle sostenute da punte, o che sono chiuse col velluto del manto a guisa di tocco sormontato o no da una crocetta d’oro, o da un fiocco d’oro fatto a pennello.

6, Corona di Principe del Sacro Romano Impero.
Le famiglie decorate del titolo di Principe del Sacro Romano Impero possono portare lo speciale berrettone di questa dignità.

7, Corona normale di Duca.
È sormontata da otto fioroni d’oro (cinque visibili) sostenuti da punte.

8, Corona tollerata di Duca. Sono tollerate le corone di Duca coi fioroni bottonati da una perla.

9, Corona normale di Marchese.
È sormontata da quattro fioroni (tre visibili) sostenuti da punte ed alternati da dodici perle disposte tre a tre in quattro gruppi piramidali (due visibili).

10, 11, 12, Corone tollerate di Marchese.
Sono tollerate le corone di Marchese coi gruppi di perle sostenute da punte o colle perle disposte tre a tre una accanto all’altra e collocate o sul margine della corona o sopra altrettante punte.

13, Corona normale di Conte.
È sormontata da sedici perle (nove visibili).

14, 15, 16, 17, 18, Corone tollerate di Conte.
Sono tollerate le corone di Conte con le perle sostenute da punte o sormontate da quattro grosse perle (tre visibili) alternate da dodici piccole perle disposte in quattro gruppi (due visibili) di tre perle ordinate a piramide o collocate una accanto all’altra e sostenute dal cerchio o d’altrettante punte.

19, Corona normale di Barone.
Ha il cerchio accollato da un filo di perle, con sei giri in banda (tre visibili).

20, 21, 22, Corone tollerate di Barone.
Sono tollerate le corone di Barone col tortiglio alternato sul margine del cerchio da sei grosse perle (quattro visibili), oppure, omesso il tortiglio, con la sormontatura di dodici perle (sette visibili), o collocate sul margine del cerchio, o sostenute da altrettante punte.

23, Corona normale di Nobile.
È sormontata da otto perle (cinque visibili).

24, Corona tollerata di Nobile.
È tollerata la corona di Nobile colle perle sostenute da altrettante punte.

25, Corona normale di Cavaliere Ereditario.
È sormontata da quattro perle (tre visibili).

26, Corona normale di Visconte.
È sormontata da quattro grosse perle (tre visibili) sostenute da altrettante punte ed alternate da quattro piccole perle (due visibili).

27, Corona di un ultrogenito (in questo caso nobile dei conti).
L’ultrogenito fregia il proprio scudo con due corone: una più grande, appoggiata al lembo superiore dello scudo e contornante l’elmo, ed un’altra, più piccola, sostenuta dall’elmo stesso. La corona maggiore sarà quella relativa al titolo personale, in questo caso nobile; la minore, quella del titolo più elevato della famiglia, in questo caso conte.

28, Corona tollerata di Visconte.
È tollerata la corona di Visconte sormontata da quattro grosse perle (tre visibili) sostenute da altrettante punte ed alternata da quattro piccole punte (due visibili).

29, Corona normale di Patrizio.
È formata da un cerchio d’oro brunito o rabescato, gemmato, cordonato ai margini. La corona però può essere sormontata da otto perle (cinque visibili) alternate da otto fioroni abbassati sul cerchio (quattro visibili). Per quei Patrizi, per i quali era dimostrato con documenti o monumenti di storica importanza che godettero l’uso molto antico di corone speciali, queste, caso per caso, si potevano riconoscere con deliberazione della Consulta Araldica.

30, Tocco di Duca napoleonico.
È sormontato da sette piume.

31, Tocco di Conte napoleonico.
È sormontato da cinque piume.

32, Elmo di famiglia Nobile.
Gli elmi delle famiglie nobili sono argentati con la gorgeretta fregiata di collana e medaglia, con la ventaglia chiusa e la bavaglia aperta e sormontati dalla corona d’oro formata da un cerchio brunito e rabescato, gemmato, cordonato ai margini e sostenente le insegne del titolo o dignità.

33, Tocco di Barone napoleonico.
È sormontato da tre piume.

34, Tocco di Cavaliere napoleonico.
È sormontato da un piumetto.

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Araldica Gentilizia

di Giorgio Aldrighetti

Sempre nel Regolamento tecnico-araldico, all’art. 35, si recita testualmente: “la corona normale di Patrizio è formata dal solo cerchio.”

Nel seguente art. 36 viene però precisato: “Per quei patriziati per i quali sarà dimostrato con documenti o monumenti di storica importanza che godettero l’uso molto antico di corone speciali, queste, caso per caso, si potranno riconoscere con deliberazione della Consulta Araldica preceduta dal parere della relativa Commissione regionale e sanzionata dal Ministro Presidente. Tali deliberazioni si dovranno pubblicare nella parte ufficiale del Bollettino della Consulta Araldica.
Finora non si riconobbe nessuna Corona speciale patriziale all’infuori che per i Patrizi genovesi che la usano fregiata di quattro fioroni (tre visibili) alternati da quattro perle (due visibili)”.

Per quanto sopra i Patrizi Veneti, con la massima della Consulta Araldica approvata in data 8 giugno 1911 e inserita nel Bollettino Ufficiale del 1924, 4) ottennero l’uso legittimo della antica corona “formata da un cerchio d’oro, gemmato e contornato, sostenente otto fioroni stilizzati (tre e due mezzi visibili) alternati da altrettanti perle (quattro visibili)”.

Tale corona speciale venne poi riportata all’art. 89 del R.D. 7 giugno 1943, n. 652, Regolamento per la Consulta Araldica del Regno.

Nel tempo però anche gli altri patrizi ottennero l’uso di una corona speciale, così descritta all’art. 88 del R.D. 7 giugno 1943, n. 652: “La corona normale di Patrizio è cimata da otto perle (cinque visibili) alternate da otto fioroni abbassati sul cerchio (cinque visibili)”. In effetti, però, i fioroni abbassati visibili sono quattro e non cinque, se si osservano quattro perle.

Non di rado troviamo corone nobiliari che timbrano gli scudi dell’araldica civica, quale segno di vetusti ed insigni privilegi. torino3Valgano gli esempi della città di Torino che timbra il proprio stemma: “d’azzurro al toro furioso d’oro, cornato d’argento”, con una “corona comitale”, avendo tale città il titolo di contessa di Grugliasco e Signora di Beinasco o della città di venezia1996_3Venezia che timbra il proprio stemma: “d’azzurro, al leone d’oro, alato e nimbato dello stesso, con la testa posta di fronte, accovacciato, tenente fra le zampe anteriori avanti al petto il libro d’argento, aperto, scritto delle parole a lettere maiuscole romane di nero PAX TIBI MARCE nella prima facciata in quattro righe ed EVANGELISTA MEUS nella seconda facciata, similmente in quattro righe”, con il “corno dogale”, nel ricordo della millenaria Serenissima repubblica di San Marco.

Gli stemmi di “cittadinanza”, invece, figurano con lo scudo che carica l’arma di famiglia, timbrato da un elmo d’acciaio brunito, senza collana, con la visiera chiusa e collocato di pieno profilo a destra. A tal proposito ricordiamo che l’Art. 30 dell’Ordinamento dello Stato Nobiliare Italiano, approvato con R. D. 7 giugno 1943, n° 651, così recita: “E’ ammesso il riconoscimento di stemmi di cittadinanza a famiglie non nobili, ma di distinta civiltà, che possano provare con documenti autentici o riproduzione di monumenti di goderne da un secolo il legittimo possesso”. Si notano, parimenti, anche degli elmi di cittadinanza sormontati da tre, cinque o sette penne ricadenti sul davanti, con i colori degli smalti dello scudo; si incontrano, infine, anche degli elmi sormontati dai lambrecchini, più comunemente chiamati svolazzi, riportanti sempre i colori degli smalti dello scudo.

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Araldica Gentilizia

di Giorgio Aldrighetti

Passando quindi agli elmi osserviamo che è la parte dell’armatura che copre e soprattutto protegge il capo del cavaliere e del guerriero, in generale.

Gli elmi araldici si distinguono in elmi “di famiglie reali”, elmi di famiglie gentilizie” ed elmi “di famiglie di distinta cittadinanza e di borghesia”.

Gli elmi delle famiglie reali sono di metallo dorato rabescato e posti di fronte, con la ventaglia alzata e la bavaglia calata. E da notare anche che talune famiglie principesche o ducali, che hanno l’uso del manto, portano l’elmo posto di fronte.

Gli elmi delle famiglie nobili sono, invece, di metallo argentato e posti di tre quarti alla destra araldica, con la gorgiera fregiata di collana e di medaglia, con la ventaglia chiusa e la bavaglia aperta.

Gli elmi delle famiglie di cittadinanza, come già ricordato sono di metallo brunito posto di pieno profilo a destra, con la visiera chiusa e senza collana. (Art. 66 del Regolamento per la Consulta Araldica del Regno approvato con R. D. 7 giugno 1943, n° 652)

Per completezza d’esposizione ricordiamo, infine, che negli stemmi dei figli cosiddetti “bastardi” l’elmo viene, invece, posto di pieno profilo a sinistra.

Nel tempo, vari tipi di elmo figurano sormontare gli scudi; ricordiamo, di conseguenza i più usati, quali l’elmo a berretto, a bigoncia, a becco di passero ed a cancelli, chiamato anche graticolato, senza dubbio il più usato nelle concessioni, a partire dal secolo XVI.

Il “cimiero” si compone di una o più figure araldiche poste alla sommità dell’elmo; di solito venivano collocate plasticamente in vari materiali, quali il legno, il cartone, il cuoio, lo stagno, figure che già caricavano il campo dello scudo.

Lo scopo del cimiero, che riportava, con maggior frequenza, figure chimeriche, ossia fantastiche o mostruose, era quello di intimorire l’avversario, oltre quello di farsi riconoscere.

Nell’araldica italiana il cimiero è stato, nei vari tempi, poco usato, mentre figura in maniera copiosa presente nell’araldica germanica ed anglosassone.

Con il termine “cercine” ci riferiamo, invece, al rotolo formato dalle stoffe dei colori degli smalti dello scudo che viene attorcigliata a forma di ciambella e posta alla sommità o cocuzzolo dell’elmo, per trattenere gli svolazzi e la corona.

Gli “svolazzi”, chiamati anche lambrecchini, anticamente si componevano di pezzi di stoffa che si dipartivano dal cercine con il compito di riparare l’elmo del cavaliere dai cocenti raggi del sole; nel tempo, alla stoffa, si sostituirono dei veli a forma di fogliame frastagliato, con i colori degli smalti dello scudo.

Le “penne”, compaiono nell’araldica, quale ornamento esteriore, agli inizi del XVI secolo, alla sommità dell’elmo. Si componevano di penne di pavone, in numero da uno a sette, ricadenti sul davanti, con i colori degli smalti dello scudo.

Nel tempo, le penne di pavone verranno sostituite con penne di struzzo. Nell’araldica italiana troviamo le penne alla sommità degli elmi delle famiglie di distinta cittadinanza e di borghesia e nelle concessioni nobiliari napoleoniche.

Con il termine “tenenti” indichiamo, invece, le figure umane, poste ai lati, che sostengono lo scudo; se le figure, invece, sono di animali, prendono il nome di “supporti” ed infine, se ai lati dello scudo figurano delle colonne, trofei, bandiere, prendono, invece, il nome di “sostegni”.

Il “motto”, chiamato anche comunemente “divisa”, scritto, di norma, su di una lista bifida e svolazzante, del colore dello smalto dello scudo, in caratteri maiuscoli romani, collocata in fascia sotto la punta dello scudo, riporta, in estrema sintesi, una sentenza arguta od un auspicio di speranza o di buona fortuna, per il proprietario dello scudo. Ai giorni nostri, troviamo il motto sempre presente negli stemmi dell’araldica ecclesiastica.

Il “grido di guerra”, invece, che si componeva di brevi motti per incitare al coraggio ed al valore, veniva inscritto in liste bifide e svolazzanti, poste, di solito, non in punta dello scudo, ma alla sommità dell’elmo, sopra la corona.

Il “manto”, che secondo alcuni araldisti, ricorderebbe il padiglione o tenda delle famiglie reali e principesche che veniva alzato in prossimità dei luoghi di battaglia e nei tornei, si compone di un drappo di velluto, generalmente, rosso soppannato di ermellino, accollato allo scudo, con il colmo timbrato dall’elmo e corona o dalla sola corona.
rusconi3

 

Ci auguriamo, a tal punto, che l’attento lettore (cliccando sull’immagine sopra) individui nei vari stemmi riportati i conseguenti titoli di nobiltà o di cittadinanza.

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Araldica Gentilizia

di Giorgio Aldrighetti

Riteniamo utile, a tal punto, riportare la blasonatura della grande arme di dominio e di pretensione della Serenissima Repubblica di Venezia, dove appunto, siamo in presenza di un padiglione.

Nell’arme sono presenti gli stemmi di dominio e di pretensione dei territori del Veneto, Lombardia, della costa adriatica, dell’Istria, della Dalmazia, della Croazia, della Rascia (Serbia) e delle isole di Giacinto (Zante) e Cipro.

La blasonatura dei 21 stemmi componenti l’arme è la seguente: Partito di tre e troncato di tre: nel 1° d’azzurro all’aquila spiegata d’oro, coronata, rostrata, linguata e membrata di rosso grandearme3(Friuli), nel 2° d’argento alla croce di rosso (Padova), nel 3° di rosso alla croce d’argento accantonata nel primo e secondo cantone da due stelle di 8 punte dello stesso (Treviso), nel 4° d’azzurro alla croce d’oro accantonata nel primo e secondo cantone da due draghi dello stesso con le teste affrontate (Belluno), nel 5° d’azzurro alla croce d’oro (Verona), nel 6° d’argento al leone d’azzurro armato, lampassato e codato di rosso (Brescia), nel 7° di rosso alla croce d’argento (Vicenza), nell’8° di rosso alla torre merlata alla guelfa d’argento, sormontata da due torricelle piegate all’infuori dello stesso, aperta e finestrata di nero (Feltre), nel 9° partito, nel primo d’oro, nel secondo di rosso (Bergamo), nel 10° troncato, nel primo di rosso, nel secondo d’argento (Crema), nell’11° d’azzurro alla nave degli argonauti d’oro (Corfù), nel 12° d’azzurro al fiore di giacinto d’argento (Zante), nel 13° d’azzurro, al castello torricellato di tre pezzi, al naturale, le torri merlate alla guelfa, la centrale più alta, aperto, finestrato e murato di nero, fondato sulla pianura di verde (Adria), nel 14° di verde, al muro torricellato di due pezzi, al naturale, le torri sormontate da un leone di San Marco, passante, d’oro (Polesine), nel 15° d’argento alla croce di rosso (Cefalonia), nel 16° di verde al cavallo spaventato d’argento, crinito e unghiato di nero (Cherso e Ossero). Sul tutto cinque scudetti coronati posti in croce: il primo, in capo, inquartato: nel l° d’argento alla croce potenziata e scorciata d’oro accantonata da quattro crocette dello stesso (Gerusalemme), nel 2° burellato d’argento e d’azzurro caricato di un leone di rosso, armato e coronato d’oro, (Cipro), nel 3° d’oro al leone di rosso (Armenia), nel 4° d’argento al leone di rosso (Lusignano), (il tutto per il Regno di Cipro); il secondo, nel fianco destro, troncato: nel l° d’argento, caricato di un’aquila di nero in volo beccata e armata d’oro, tenente fra gli artigli tre fulmini dello stesso, nel 2° di rosso al Minotauro d’oro, armato di porpora (il tutto per il Regno di Candia); il terzo, nel fianco sinistro, inquartato: nel 1° di rosso a tre teste di leopardo d’oro, coronate dello stesso, lampassate di rosso, poste 2, 1 (Dalmazia), nel 2° scaccato di rosso e d’argento di cinque file, 2, 2 (Croazia), nel 3° d’oro a tre ferri di cavallo di nero, posti 2, 1 (Serbia), nel 4° d’oro al leone di rosso lampassato e armato d’azzurro (Albania), (il tutto per il Regno di Dalmazia e d’Albania); il quarto, in punta, d’azzurro alla capra d’oro, cornata e unghiata di rosso, (Marchesato d’Istria); il quinto, in cuore, d’azzurro al leone d’oro, alato e nimbato dello stesso, coricato, con la testa posta di fronte, tenente, tra le zampe anteriori avanti al petto, un libro d’argento aperto, con la scritta di nero PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS (Repubblica di Venezia).
Il grande scudo è accollato ad un padiglione di porpora, soppannato di ermellino, bordato con frange d’oro, con il colmo sormontato dal corno dogale.

Riportiamo ora la blasonatura dell’arma del Sovrano Militare Ordine di Malta, 6) trovandoci, caso unico nell’araldica, in presenza di un manto, con velluto di nero, armesmom3per evidenziare che siamo in presenza di un Ordine religioso, oltre che ospedaliero, militare e sovrano.

Di rosso alla croce d’argento. Lo scudo è accollato alla croce di otto punte e patente, d’oro, smaltata di bianco e contornata dal paternostro, terminante in punta con la crocetta di otto punte e patente, d’oro, smaltata di bianco, e ad un padiglione di nero, foderato di ermellino, bordato con frange d’oro, con il colmo timbrato dalla corona principesca, chiusa con velluto di nero, e sormontata da una crocetta di otto punte e patente, d’oro, smaltata di bianco.

Le “cordigliere”, infine, sono ornamenti esteriori dello scudo riservati alle donne e si principessareales1936_3principerealesg1936_3compongono generalmente di due cordoni intrecciati che circondano lo scudo, terminanti in punta con due fiocchi svolazzanti. I fiocchi risultano di solito, sciolti negli stemmi delle dame nubili, mentre figurano annodati nelle dame maritate.

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bullet Corone imperiali e reali
bullet Corone di principe
bullet Corone di duca
bullet Corone di marchese
bullet Corone di conte
bullet Corone di barone
bullet Corone di nobile
bullet Elmo di famiglia nobile
bullet Corone di cavaliere ereditario
bullet Corone di visconte

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bullet Corona di ultrogenito
bullet Corone di patrizio
bullet Elmi di cittadinanza
(Gli Stemmi delle
famiglie chioggiotte)
bullet Tocco di duca napoleonico
bullet Tocco di conte napoleonico
bullet Tocco di barone napoleonico
bullet Tocco di cavaliere napoleonico

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