Testo a cura del prof. Sergio Ravagnan

JACOPO NACCHIANTI,
UN VESCOVO RIFORMATORE
(CHIOGGIA 1544-1569)
Rimase in città per oltre vent’anni

PER DUE VOLTE SOTTO INCHIESTA

Un personaggio che nel secolo XVI s’impose oltre i ristretti confini del territorio clodiense fu Jacopo Nacchianti, vescovo di Chioggia dal 1544 al 1568.Domenicano, entrato in gioventù nel famoso convento di San Marco di Firenze, uomo di grande cultura e intelligenza fu uno dei protagonisti del Concilio di Trento (1545-63). Poteva contare sulla protezione di papa Paolo III: era stato scelto alla sede di Chioggia proprio per la sua vicinanza con quella dell’importante consesso ecclesiale. Nacchianti fin da prima dell’apertura del Concilio, aveva evidenziato posizioni innovative; s’era schierato poi con il gruppo di vescovi meno intransigenti nel riconsiderare certe tesi avanzate da Lutero. Sostenne sempre fino all’ultimo, ad esempio, la priorità delle Sacre Scritture rispetto al valore della Tradizione, che anzi considerava “tanto gravosa per il popolo cristiano”.

Memorabile fu al riguardo un suo pronunciamento in aula per contrastare il concetto di parità tra le due cose che stava trovando un consenso maggioritario. “E’ empio – disse – mettere sullo stesso piano Scrittura e tradizione”: espressione considerata addirittura offensiva al punto che ne nacque un “gran tumulto” . Anche dopo che fu ritrovato un compromesso il battagliero vescovo clodiense, mai domo, in sede di votazione finale espresse il suo voto non con un “placet”, ma con un “obbedisco”.

Per tutta una serie di posizioni non conformistiche, ma che trovano motivo in una profonda conoscenza dei testi sacri, fu oggetto di illazioni e incomprensioni, al punto d’esser definito “luterano” e addirittura sospettato di eresia. Indubbiamente il Nacchianti fu influenzato dal pensiero critico di Erasmo da Rotterdam, ma pur molto sensibile al problema della necessità di una riforma della chiesa, mai si pose in aperto contrasto con l’autorità pontificia.

Dovette comunque sottostare per ben due volte all’esame della Sacra inquisizione, una volta a Roma nel 1548 e una seconda a Venezia l’anno successivo, inchieste condotte rispettivamente dal Massarelli e dal Grisonio. Si trovò in questa condizione d’accusato, assieme al vescovo di Capodistria Pier Paolo Vergerio, che poi fuggì, passando dalla parte protestante; ma contrariamente a lui, fu assolto e potè continuare a governare la sua diocesi fino alla sua morte.

Il motivo per cui fu in sospetto di eresia fu la sua posizione circa la venerazione dei santi, il culto delle immagini e certe cerimonie e tradizioni ecclesiastiche. Egli aveva cercato di correggere radicalmente nella sua chiesa alcune pratiche popolari più vicine ai riti superstiziosi che ad autentiche espressioni della fede. Una vera utopia questa sua volontà di riforma in un contesto sociale molto povero e culturalmente arretrato, in cui lo stesso clero scontava gravi lacune .Aveva deriso ”l’usanza di portare in processione le statue dei patroni ornate di foglie di cocomeri e di meloni” e proibito di riempire le pile dell’acqua santa il sabato santo, per stroncare la pratica superstiziosa, seguita da folle di persone, secondo cui al tocco delle campane bisognava bagnarsi gli occhi con quell’acqua benedetta, per ottenere la grazia di sfuggire il pericolo di annegamento per tutto l’anno successivo.

Per questo suo atteggiamento, la prima denuncia per sospetta eresia partì proprio dall’interno della sua diocesi, da certo maestro Ercolano da Chioggia. Tra le accuse addotte ci furono anche quelle di “ predicare poco sul culto mariano e sulla devozione dei santi”.

D’altra parte non era facile per il troppo “ elevato “ Nacchianti sradicare così semplicemente forme di superstizione secolari ( e che continueranno fino al nostro secolo) come “ far croci sulle piaghe e sulle fratture, di pronunciare scongiuri sulle malattie dei bambini, di praticare fattucchierie per legare a sé l’amore degli uomini “ ed altri gesti e formule magiche.