CONFORTI, PAOLO RINALDO, Il Patrimonio Araldico della Real Casa Borbone Parma. L’Ordine di San Lodovico, Silva Editore, 1998, pp. 302.

L’Autore di questa pubblicazione ha dimostrato di aver saputo sviluppare un argomento conosciuto, sino ad oggi, solo dagli studiosi di ordini e decorazioni degli antichi stati italiani. Il grande merito è quello di aver offerto un’opera completa sull’Ordine di San Lodovico di Parma, facilmente leggibile e destinata  ad un pubblico sia di studiosi che di appassionati.

Gli argomenti trattati sono tutti esaustivi e il testo è completo! Si può giustamente dire che finalmente abbiamo un buon libro, arricchito da una preziosa iconografia.

L’opera è così composta: dopo la presentazione di Carlo Ugo di Borbone Parma, troviamo quelle di: Cesare Bonicelli, Vescovo di Parma; Calisto Tanzi, Presidente del Consiglio Generale di Amministrazione dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio di Parma; Lupo Meli Lupi di Soragna Tarasconi. Seguono poi l’Introduzione; e i dodici capitoli: I. I Gran Maestri, II. Le Origini, III. La decorazione di San Lodovico per il merito civile di Lucca, IV. L’Ordine del Merito di San Lodovico e i nuovi regolamenti del 1849, I Regolamenti, Le Uniformi; V. L’Onorificenza, VI. I documenti; VII. La nobiltà, I diplomi; VIII. Il ruolo sociale e istituzionale; IX. L’Ordine e l’Europa; X. Natura storico-giuridica; XI. Dopo il 1859; XII. Le medaglie, Gli insigniti, Forme di controllo dei titoli di nobiltà, Elenco degli Insigniti – Lucca, Elenco degli insigniti – Parma, L’iconografia.

L’autore nell’introduzione coglie un aspetto sino ad oggi poco studiato e preso seriamente in considerazione (in Italia), ma fondamentale per capire cosa fossero e a cosa servissero le Decorazioni sorte nel secolo XIX; è di grande interesse riferire quanto si legge: “Per troppi anni pubblicazioni e studi sugli ordini cavallereschi sono stati caratterizzati da maniacali disquisizioni sui colori dei nastri, sulla forma delle decorazioni o su ampollosi riferimenti a principi, duchi e arciduchi senza mai cogliere rapporti e interrelazioni fra queste distinzioni equestri e l’evoluzione dei modelli giuridico-istituzionali dello Stato o dei rinnovati meccanismi di nobilitazione. Solo di recente si sono iniziate seriamente ad approfondire le dinamiche storiche, i denominatori sociali e le strategie politiche che disegnavano un unico quadro entro il quale le decorazioni cavalleresche avevano assunto ruoli ben definiti, sia in funzione interna, sia nei rapporti diplomatici fra le Corti dell’Europa post-napoleonica”.

La nascita dell’Ordine di San Luigi è “ispirata” dall’omonimo ordine istituito in Francia da re Luigi XIV nel 1693 avente lo scopo di ricompensare quegli ufficiali “che si sono segnalati per fatti notevoli, pieni di valore e di coraggio nelle vittorie e nelle conquiste”.

La nascita ufficiale dell’Ordine di San Lodovico per il merito civile ad opera della dinastia borbonica avviene a Lucca nella persona di Carlo Ludovico, duca di Lucca, il 22 dicembre 1836. La nuova decorazione lucchese riprende il giglio, cui fa esplicito riferimento nella forma.

Questo Ordine, come altre decorazioni analoghe istituite nel sec. XIX, ammette i candidati con lo scopo di premiare il merito personale dell’individuo, ma riconosceva con decreto dell’11 agosto 1849 ai decorati di gran croce e ai commendatori la nobiltà ereditaria, e ai cavalieri quella personale, rappresentando così l’ultimo atto dei processi di nobilitazione nella storia del Ducato (e dimostrando quanto ormai l’accesso alla nobiltà dal secolo XIX fosse completamente onorario ed assimilabile in tutto e per tutto ad una decorazione della famiglia o della persona).

L’Ordine di San Lodovico era quindi un mezzo per creare una nuova nobiltà da affiancare a quella più antica, sempre in continua estinzione o giù di tono a livello sociale.

Anche il Regno d’Italia riconobbe la nobiltà ereditaria legata ai decorati di Gran Croce o Commenda con espressa dichiarazione nel massimario della Consulta Araldica del 1905 (art 48 ). Sempre sul concetto di nobiltà l’autore si sofferma scrivendo: “Oggi, all’alba del XXI secolo, la condizione araldico-giuridica di un Ordine già nobilitante merita comunque una riflessione. Come è noto la XIV disposizione transitoria della Costituzione della Repubblica Italiana ‘non riconosce’ i titoli nobiliari, e risulta evidente che un Ordine cavalleresco i cui antichi regolamenti riconoscevano la nobiltà all’insignito non può produrre i medesimi effetti di quando la Casa regnante godeva della piena sovranità territoriale. Complessi e talvolta opinabili sono i pareri degli studiosi di diritto araldico circa le condizioni necessarie per dare un riconoscimento e legittimità a un atto pubblico di nobilitazione, per il quale dovrebbero realisticamente unirsi due condizioni: la fons honorum e il diritto territoriale. In realtà l’elemento territoriale, in un Ordine dinastico-familiare istituito da una Casa reale già sovrana, risulta ininfluente nel valutare la legittimità dell’Ordine stesso, il quale, muovendosi in un ambito privatistico, non ha bisogno di alcun riconoscimento pubblico, se non per la ovvia tutela di legge del ‘marchio’ e del cognome.

Diversi sono invece gli ‘effetti’ connessi ai contenuti dei regolamenti circa la nobilitazione dell’insignito, che non trova né riconoscimento, né tutela nell’attuale ordinamento giuridico italiano. Un conferimento, quindi, che non produce effetti giuridicamente riconoscibili o attivanti, allo stato delle cose, diritti per l’iscrizione negli elenchi nobiliari ufficiali. In ogni caso risulta evidente la volontà del legittimo titolare del patrimonio araldico, erede degli antichi sovrani, di esprimere un apprezzamento all’insignito, secondo le norme e con gli effetti degli storici regolamenti dell’Ordine, inclusi, ovviamente, i connessi aspetti di nobilitazione”.

È da ricordare che l’Ordine dopo la caduta del Ducato continuò ad essere conferito sino alla morte (1907) da Roberto I, e tutti i suoi discendenti nel titolo di Capo della Real Casa di Borbone-Parma, sempre ne assunsero il Gran Magistero.

L’opera è conclusa da una splendida iconografia tratta da vari archivi (fra cui: Juan Balansò – Madrid; Giancarlo de Goyzueta – Napoli) e da testi di Adele Vittoria Marchi e di Roberto Selvaggi. (mlp)