di Giorgio Aldrighetti


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    I Comuni, ai tempi del feudalesimo, non possedevano stemmi, ma rendendosi indipendenti, già con il XII secolo, assunsero uno stemma, concesso di norma dall'imperatore o dal vescovo. Nel tempo, oltre che i Comuni, assunsero degli stemmi anche le Contrade, le Corporazioni, le Fondazioni e le Opere Pie.
    Lo stemma civico, di conseguenza, non è altro che un simbolo rappresentato graficamente, che raffigura la dignità, l'onore, la personalità di un Comune, di una Provincia, di una Regione, considerati nella loro qualità di Enti giuridici pubblici, con la conseguenza che il diritto allo stemma civico spetta al Comune, alla Provincia, alla Regione come Ente, e non già ai singoli cittadini che di tali comunità ne fanno parte, risultando elementare la distinzione fra la personalità giuridica degli Enti collettivi e quella dei singoli componenti. 1)

Ne consegue che la difesa o meglio la tutela di uno stemma civico tocca la sfera del diritto pubblico, configurando sotto i suoi vari aspetti il diritto dell'Ente territoriale, proprietario esclusivo del proprio stemma, alla tutela di esso, diritto implicante la facoltà di impedirne l'uso da parte di privati. 2)

Gli Enti territoriali hanno quindi l'obbligo di vigilare affinché il proprio stemma non venga usato da enti diversi, perché il dominio dello stemma è esclusivo e l'uso da parte di chiunque non ne abbia l'appartenenza lede il diritto del legittimo possessore. 3)

Dal XII secolo, sino ai nostri giorni, lo stemma civico, che serve per distinguere i Comuni, le Province e gli altri enti territoriali tra di loro, venne usato sia nella forma originaria sia con le modifiche causate da rivolgimenti politici o da successive sovrane concessioni.

Nel XIX secolo, invece, molti Comuni, che risultavano sprovvisti di stemmi civici, adottarono uno stemma, talvolta senza la prescritta autorizzazione dell'autorità governativa.

Con la creazione della Consulta Araldica del Regno d'Italia, nel 1869, invece, si cercò subito di disciplinare la materia, affermando, tra l'altro, il principio che solo tale Istituto aveva la facoltà di istruire le pratiche araldiche e di fornire i conseguenti pareri, prima dell'emanazione dei decreti reali e delle conseguenti Regie Lettere Patenti di concessione dello stemma.

Con il R.D. 5 luglio 1896, n. 314, si istituì, invece, il “Libro Araldico degli Enti Morali” dove vengono riportati tutti i decreti concessivi di stemmi, gonfaloni, sigilli e bandiere ad enti territoriali e morali.

Gli enti territoriali si identificano nelle Regioni, Province, Città e Comuni, mentre quelli morali riguardano le Fondazioni, Università, Banche, Opere Pie, Ospedali e Corpi militari

Ai giorni nostri la materia trova la propria disciplina nell'Ordinamento dello stato nobiliare italiano, approvato con il R. D. 7 giugno 1943, n. 651 e nel Regolamento per la Consulta Araldica, reso esecutivo con il R. D. 7 giugno 1943, n. 652, mentre l'istruttoria per la concessione degli stemmi civici e la stesura dei Decreti Presidente della Repubblica concessivi dello stemma, compete all'Ufficio Araldico istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Le parti dello stemma di un ente territoriale o morale si compongono dello scudo, della corona e dell'elemento decorativo, mentre non sono riproducibili gli elmi, ai sensi dell'art. 67 del R.D. 7 giugno 1943, n. 652, e, di conseguenza, anche il cercine, gli svolazzi ed il cimiero, elementi questi indissolubilmente connessi all'elmo nell'araldica ed altresì esclusi figurano anche i motti, i sostegni ed i tenenti, come previsto dall'art. 39 del R.D. 21 gennaio 1929, n. 61.

Per lo scudo, che è l'elemento più importante di uno stemma, si seguono le stesse regole di qualsiasi altro scudo araldico gentilizio o ecclesiastico, in quanto lo stemma di un ente territoriale pur essendo lo stemma di una comunità, e non uno stemma gentilizio o ecclesiastico, è a tutti gli effetti uno stemma araldico; di conseguenza dovrà essere “appuntato”e misurare sette moduli di larghezza e nove moduli d'altezza, salvo speciale concessione ad usare un altro scudo come nel caso della città di Venezia che legalmente usa uno scudo “di forma veneta”, riconosciuto con Decreto del Presidente della Repubblica 6 novembre 1996.

Per la corona, che costituisce la seconda parte di uno stemma di un ente territoriale o morale, nel mentre ricordiamo che nell'araldica civica rientrano, di norma, gli stemmi degli Stati, delle Regioni, Province, Città, Comuni, preme subito precisare che le Regioni, essendo sorte dopo l'emanazione dei RR. DD. 7 Giugno 1943 nn. 651 e 652, non dispongono legalmente di corone.

Ma l'Ufficio Araldico istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha previsto per tale tipo di ente una corona d'oro all'antica, come si evince dalla concessione dello stemma alla Regione Autonoma della Valle d'Aosta, il cui Decreto Presidente della Repubblica 13 luglio 1987 concessivo così recita: “Stemma: di nero, al leone d'argento, linguato e armato di rosso; alla bordatura diminuita, d'oro. Lo stemma è sormontato da corona d'oro, formata da un cerchio brunito, gemmato, cordonato ai margini, sostenente quattro alte punte di corona all'antica (tre visibili) alternate da otto basse punte, ugualmente all'antica (quattro visibili, due e due)”.

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