Araldica Militare
di Giorgio Aldrighetti






Veduta di Venezia del 1706

    Le bandiere di bande di zente d'arme, come di compagnie di fanteria, risalgono, evidentemente, al mondo feudale: del condottiero o del signore ripetono colori e stemma, più o meno subordinati all'emblema di San Marco che appare nelle insegne ufficiali, trasformando così la bandiera privata in una pubblica insegna.

Nel 1589 una delle quattordici squadre di cavalleria pesante, quella di Marcio Porcellaga, è condotta alle rassegne e "lo stendardo teneva la già nomata impresa del caval marino, co'l scudo di questa Serenissima Repubblica, l'uno nella suprema, l'altro ne l'infima parte di esso". (dai documenti trascritti dal De Pellegrini, op. cit.)

Pressoché contemporaneo a questa descrizione è un affresco documentariamente interessante, opera di Lorenzino di Tiziano, nell'estrema cappella absidale sinistra della basilica dei SS. Giovanni e Paolo a Venezia, in cui vediamo la cavalleria pesante caricare con i rossi stendardi triangolari a due code dal leone d'oro.

Da qui si arriva ad una delle piccole tele del Correr riproducenti i fatti del Morosini: le 'corazze' venete nel marzo del 1659 si battono raccolte sotto d'una cornetta quadrata d'un azzurro intenso dalle frangie d'oro ed il Leone in maestà.

Con la regolamentazione delle cavallerie stesa dal conte di Steinau e pubblicata nel 1707 l'uso dell'insegna viene disciplinato nel senso che ogni squadrone ne avrà una sola, assegnata alla prima delle compagnie che lo costituiscono: ma circa forme e colori tutto resta al punto di prima.

Le collezioni veneziane possiedono addirittura una cornetta di tela gialla, fregiata del Leone e dello Stemma Correr (al Museo Correr, Venezia, non esposta).

Eccoci, dunque, ad un ulteriore aspetto dell'argomento: le bandiere delle fanterie.

La più antica regolamentazione risale al 23 marzo 1593 e riguarda le Ordinanze: vi si dispone che "in ogni Compagnia sia una sola Insegna, qual sia inalborata, sì alle Mostre Generali, come alle Particolari, e l'Alfiere sia eletto dal Capitanio, e confirmato dal General delle Fanterie, et in assenza sua dal Colonnello, ò Sargente Maggiore, nè altri che egli possa portar la sua insegna".

Le ordinanze, s'è detto, erano un corpo di milizie territoriali, reclutate villaggio per villaggio.

I Comuni da cui si traevano, dunque, potevano disporre di una propria particolare insegna, portata fino al luogo delle mostre da un proprio portinsegna; ma una volta raggiunto il luogo della parata si prescrive che quella "debba esser deposta, et portata da chi ordinerà il Capitanio".

Una bandiera per compagnia, dunque, per tutto il cinquecento ed il seicento e non solo per le ordinanze, possiamo tranquillamente affermare, con i colori e l'insegna del capitano, o meno.

Molto probabilmente doveva appartenere a truppe assoldate non veneziane, come scriveva Giovannina Majer, la terza delle bandiere di San Marco riprodotte tra le miniature di Friburgo, dal leone con libro chiuso e la scritta Sanctus Marcus Evangelista, di forma rettangolare.

Durante le imprese di Morea, nel corso delle quali agli ordini di Francesco Morosini Capitano Generale si trovava un 'generale da sbarco per gli attacchi' siamo certi che veniva 'esposta la bandiera dello sbarco' sulla quale, tuttavia, non ci viene detto di più. Mentre il segnale dall'assalto di mille e duecento fanti scelti a Castelnuovo nel 1687, racconta ancora Pietro Garzoni, fu dato da una bandiera rossa.

Quando, invece, un anonimo pittore veneto vuol rappresentare l'esercito che 'ESPUGNA MEGARRA CON L'ACQUISTO DI CANNONI N. 13 E MOLTI SC:VI SETERE 1654' ci lascia l'immagine d'un alfiere da un'ampia bandiera rettangolare azzurra con largo orlo rosso ed il Leone dorato brandente la spada. (Una bandiera azzurra con Leone di San Marco, dono Guggenheim, è tuttora, non esposta, al Museo Correr).

L'orlo rosso dovrebbe, in questo caso, spiegarsi con i colori della compagnia, stante che l'alfiere ha i fianchi cinti d'una fascia dello stesso colore.

Certamente sino all'anno 1700 in cui furono emanati gli 'Ordini Militari' di Alessando Molin, ogni compagnia continuò ad avere la propria bandiera.

Chiuderemo questa breve rassegna con l'ultima regolamentazione, quella dello Schulenburg, sulla materia.

Da allora ogni reggimento di fanteria "non averà che due Bandiere, e saranno quelle della Compagnia Colonnello, e Tenente Colonnello" vale a dire che porteranno eventualmente stemma e colori dei due ufficiali superiori.

Le altre compagnie perdono dunque, in condizioni normali, l'antico diritto all'insegna che sopravviverà solo quando si trovassero ad essere distaccate dal reggimento.

Le due bandiere, infine, venivano conservate nel Quartier del Colonnello del Reggimento sotto continua guardia "e si custodiranno - dice il regolamento - con tutto il decoro, come si conviene alla pubblica Insegna, ed all'onore delle Milizie"”. 2)

Singolare per le figure che vi risultano caricate è la bandiera a forma di guidone che si esponeva in Merceria dell'Orologio il 15 giugno di ogni anno, nell'anniversario della congiura di Bajamonte Tiepolo.

Infatti il drappo è di rosso, seminato di fiamme d'oro e caricato al capo dal leone marciano, in punta da un'arme comitale, con addestrato un 'carello' riproducente la fase finale della congiura di Bajamonte Tiepolo.

Il leone, alato e nimbato d'oro, risulta passante e rivoltato ed è sostenuto da un ristretto dello stesso, mentre il monticello figura al naturale.

Il leone con la zampa anteriore sinistra tiene il libro aperto d'argento su cui sta scritto: PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS.

Tale vessillo è conservato al Museo Correr e venne esposto fino al 1797. La tradizione racconta che una certa Giustina (o Lucia) Rossi, nel 1310, durante la congiura di Bajamonte Tiepolo, chiamata alla finestra dal rumore, fece cadere dal davanzale un grosso mortaio di pietra, il quale cadde sull'alfiere che rimase ucciso. Ciò avrebbe causato lo scompiglio e la fuga dei congiurati. La Giustina Rossi, detta la 'vecia del mortèr', ottenne che non fosse aumentato né a lei né ai suoi discendenti l'affitto della casa che abitava (che era di proprietà della Procuratoria di S. Marco) e che ogni anno fosse esposto uno stendardo, il 15 giugno, giorno di San Vito, nell'anniversario appunto della congiura.

A pochi passi dall'Arco dell'Orologio, presso il 'sotoportego del Cappello nero', si può ancora vedere, sopra l'arco, un rilievo marmoreo raffigurante la 'vecia del mortèr' e, sul pavimento, una lastra in pietra con la data del 1310.

Particolare per la iscrizione nel libro risulta, altresì, la bandiera che veniva issata nel penultimo bucintoro. Il drappo, infatti, è caricato dal leone marciano d'oro sostenuto dal ristretto dello stesso, simboleggiante il mare ondoso.

Il leone figura passante e rivoltato, tenente con la zampa anteriore sinistra il libro aperto d'argento, recante le parole nella prima facciata in tre righe, IN HOC SIGNO, nella seconda facciata, in due righe, VICES, con la scritta in lettere maiuscole romane di nero. Il libro risulta cimato da una croce latina d'oro, posta in palo. Il drappo termina con cinque strisce orizzontali, rettangolari, di rosso, ornate da ricami d'oro.

Curioso è il notare nel drappo cinque code e non sei, come nella tradizione araldica veneziana, e la scritta IN HOC SIGNO VICES (senza la N di VINCES), al posto dell'usuale PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS. L'asta risulta sormontata dalla tradizionale sfera armillare.

Ricordiamo, altresì, che la bandiera della nave Capodistriana alla battaglia di Lepanto portava un drappo di rosso caricato dal leone marciano nimbato e passante, impugnante con la zampa anteriore destra una croce latina, posta in palo.

Interessante, infine, è riportare cosa annota Luigi Tomaz nella sua opera Le quattro giornate di Cherso in difesa del Gonfalone di San Marco, 12-15 giugno 1797, edita nel 1995: “Perasto, all'interno delle Bocche di Cattaro, nel 1368, durante il cinquantennio della dominazione ungarica della Dalmazia, s'era volontariamente presentata con navi e armati al Comandante veneziano che assediava Cattaro contribuendo decisamente alla vittoria di San Marco. Vittor Pisani, che era il Comandante veneziano, ne fece le più alte lodi in Senato ed è tradizione che da allora sia stato concesso a Perasto il titolo e l'onore-onere di Fedelissima Gonfaloniera. Dodici gonfalonieri di volta in volta eletti dal Consiglio degli anziani della Comunità Perastina, erano i responsabili delle bandiere di guerra dell'Armata oltremarina di terra e di tutta l'Armata navale.
I vessilli erano custoditi nella sede del Capitano di Perasto (Il Podestà) che era un nobile locale e in battaglia, erano strenuamente difesi dai dodici gonfalonieri sulla nave ammiraglia del capitano Generale da Mar. Più volte il senato ha concesso encomi e privilegi ai Gonfalonieri e ha elevato al titolo di Conte i Capitani di Perasto e i loro discendenti. Molti di loro furono insigniti del Cavalierato di San Marco. A Lepanto dei dodici Gonfalonieri di Perasto rimasero vivi e feriti soltanto quattro. Otto morirono perché il gonfalone continuasse a garrire alla testa dell'Armata”.


Gonfalone di San Marco di Perasto

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