L' Araldica Gentilizia
di Giorgio Aldrighetti





    Passando quindi agli elmi osserviamo che è la parte dell'armatura che copre e soprattutto protegge il capo del cavaliere e del guerriero, in generale.

Gli elmi araldici si distinguono in elmi “di famiglie reali”, elmi di famiglie gentilizie” ed elmi “di famiglie di distinta cittadinanza e di borghesia”.

Gli elmi delle famiglie reali sono di metallo dorato rabescato e posti di fronte, con la ventaglia alzata e la bavaglia calata. E da notare anche che talune famiglie principesche o ducali, che hanno l'uso del manto, portano l'elmo posto di fronte.

Gli elmi delle famiglie nobili sono, invece, di metallo argentato e posti di tre quarti alla destra araldica, con la gorgiera fregiata di collana e di medaglia, con la ventaglia chiusa e la bavaglia aperta.

Gli elmi delle famiglie di cittadinanza, come già ricordato sono di metallo brunito posto di pieno profilo a destra, con la visiera chiusa e senza collana. (Art. 66 del Regolamento per la Consulta Araldica del Regno approvato con R. D. 7 giugno 1943, n° 652)

Per completezza d'esposizione ricordiamo, infine, che negli stemmi dei figli cosiddetti “bastardi” l'elmo viene, invece, posto di pieno profilo a sinistra.

Nel tempo, vari tipi di elmo figurano sormontare gli scudi; ricordiamo, di conseguenza i più usati, quali l'elmo a berretto, a bigoncia, a becco di passero ed a cancelli, chiamato anche graticolato, senza dubbio il più usato nelle concessioni, a partire dal secolo XVI.

Il “cimiero” si compone di una o più figure araldiche poste alla sommità dell'elmo; di solito venivano collocate plasticamente in vari materiali, quali il legno, il cartone, il cuoio, lo stagno, figure che già caricavano il campo dello scudo.

Lo scopo del cimiero, che riportava, con maggior frequenza, figure chimeriche, ossia fantastiche o mostruose, era quello di intimorire l'avversario, oltre quello di farsi riconoscere.

Nell'araldica italiana il cimiero è stato, nei vari tempi, poco usato, mentre figura in maniera copiosa presente nell'araldica germanica ed anglosassone.

Con il termine “cercine” ci riferiamo, invece, al rotolo formato dalle stoffe dei colori degli smalti dello scudo che viene attorcigliata a forma di ciambella e posta alla sommità o cocuzzolo dell'elmo, per trattenere gli svolazzi e la corona.

Gli “svolazzi”, chiamati anche lambrecchini, anticamente si componevano di pezzi di stoffa che si dipartivano dal cercine con il compito di riparare l'elmo del cavaliere dai cocenti raggi del sole; nel tempo, alla stoffa, si sostituirono dei veli a forma di fogliame frastagliato, con i colori degli smalti dello scudo.

Le “penne”, compaiono nell'araldica, quale ornamento esteriore, agli inizi del XVI secolo, alla sommità dell'elmo. Si componevano di penne di pavone, in numero da uno a sette, ricadenti sul davanti, con i colori degli smalti dello scudo.

Nel tempo, le penne di pavone verranno sostituite con penne di struzzo. Nell'araldica italiana troviamo le penne alla sommità degli elmi delle famiglie di distinta cittadinanza e di borghesia e nelle concessioni nobiliari napoleoniche.

Con il termine “tenenti” indichiamo, invece, le figure umane, poste ai lati, che sostengono lo scudo; se le figure, invece, sono di animali, prendono il nome di “supporti” ed infine, se ai lati dello scudo figurano delle colonne, trofei, bandiere, prendono, invece, il nome di “sostegni”.

Il “motto”, chiamato anche comunemente “divisa”, scritto, di norma, su di una lista bifida e svolazzante, del colore dello smalto dello scudo, in caratteri maiuscoli romani, collocata in fascia sotto la punta dello scudo, riporta, in estrema sintesi, una sentenza arguta od un auspicio di speranza o di buona fortuna, per il proprietario dello scudo. Ai giorni nostri, troviamo il motto sempre presente negli stemmi dell'araldica ecclesiastica.

Il “grido di guerra”, invece, che si componeva di brevi motti per incitare al coraggio ed al valore, veniva inscritto in liste bifide e svolazzanti, poste, di solito, non in punta dello scudo, ma alla sommità dell'elmo, sopra la corona.

Il “manto”, che secondo alcuni araldisti, ricorderebbe il padiglione o tenda delle famiglie reali e principesche che veniva alzato in prossimità dei luoghi di battaglia e nei tornei, si compone di un drappo di velluto, generalmente, rosso soppannato di ermellino, accollato allo scudo, con il colmo timbrato dall'elmo e corona o dalla sola corona.

    Ci auguriamo, a tal punto, che l'attento lettore (cliccando sull'immagine sopra) individui nei vari stemmi riportati i conseguenti titoli di nobiltà o di cittadinanza.

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