L' Araldica Gentilizia
di Giorgio Aldrighetti





Le parti che compongono lo stemma gentilizio sono essenzialmente lo scudo e la corona. Esistono però numerosi altri ornamenti esteriori dello scudo quali l'elmo, il cimiero, il cercine, gli svolazzi, le penne, i tenenti, i supporti, i sostegni, il motto, il grido di guerra, il manto e le cordigliere.

Relativamente allo scudo, ricordiamo che per la scienza araldica con tale termine si intende il piano o campo sul quale si pongono le pezze o le figure delle quali sono composte le armi; da ciò derivò l'uso di prendere lo scudo per l'arme stessa.

Nel secolo XII e nella prima metà del XIII, lo scudo lo troviamo alto, pari alla metà del guerriero e veniva chiamato triangolare o normanno, risultando nella parte inferiore appuntito e nella parte superiore arrotondato, in modo da riparare la persona del guerriero; veniva portato attorno alla spalla mediante un cingolo.

Nella seconda metà del XIII secolo e nel XIV gli scudi s'impiccoliscono, hanno sempre la forma triangolare, però a lati uguali e prendono il nome di gotico antico. Nel secolo XV diventano retti ai lati e al di sotto arrotondati, chiamati perciò semirotondi o gotici moderni, sui quali si posizionavano più facilmente le armi composte. In questo periodo, nelle giostre e nei tornei vennero usati pure gli scudi a punta, denominati targhe o inglesi, fortemente incavati e piegati e nel lato sinistro forniti di un intaglio traverso il quale, nel giostrare, i cavalieri passavano la lancia.

Concluso l'epico periodo delle giostre e dei tornei, durante il Rinascimento, gli scudi ebbero forme svariatissime ed eleganti e presero il nome di ovali, rotondi, intagliati, sannitici, francesi o moderni, mentre nei secoli XVII e XVIII divennero barocchi, con il nome di targhe, parme, torelle, pavesi, teste di cavallo o di toro. Nel nostro territorio, invece, prevalse l'uso di uno scudo particolare chiamato scudo veneto, scudo questo, peraltro, largamente usato in altre aree della penisola sin dal secolo XV.

Il Regolamento tecnico araldico della Consulta Araldica del regno d'Italia, approvato con Regio Decreto 13 aprile 1905, n. 234, opera dell'insigne araldista barone Antonio Manno, senatore del Regno e commissario di Sua Maestà il Re presso la Consulta Araldica, prescrive, infine, all'art. 6, che la foggia normale dello scudo, sia quella appuntata. Tale foggia viene anche confermata dall'art. 59 del Regolamento per la Consulta Araldica del Regno, approvato con il Regio Decreto 7 giugno 1943, n. 652, tuttora vigente.

Così, per l'araldica, lo scudo è l'elemento più importante della complessa armatura dell'antico cavaliere, in quanto sullo scudo del cavaliere veniva originariamente e per primo raffigurato lo stemma personale o dell'ordine equestre di appartenenza o della nazionalità. Non sorprenda, quindi, che una delle norme araldiche maggiormente usate recita che per descrivere l'arme di una famiglia è sufficiente blasonare lo scudo.

In definitiva uno stemma deve essere esclusivo, vale a dire non presentarsi in forme uguali ad altri stemmi; deve essere di facile lettura, e cioè stilizzato in modo rispondente alle convenzionali norme della descrizione araldica; deve essere costante, cioè sempre identico a sé stesso.

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