L' Araldica Gentilizia

di Giorgio Aldrighetti




    Agli albori dell'araldica (sec. XII-XIII) i vari territori feudali assunsero degli stemmi che nel tempo divennero, per lo più, gli emblemi araldici delle famiglie dei loro feudatari.

Nell'Italia centro-settentrionale con la crisi del sistema feudale, avvenuta definitivamente nel sec. XIII, prende vigore il sistema articolato dei Comuni e gli stemmi diventano appannaggio anche delle famiglie consortili nei rinati centri urbani, divisi in terzieri, quartieri o popoli, delle civiche magistrature e delle “Arti” o corporazioni.

Ricordiamo, a tal punto, che la nobiltà del Veneto è un corpus di formazione composita. Ne fanno parte anzitutto le case di origine feudale, le più antiche e illustri derivanti da investiture anteriori al Mille (dei Carolingi, dei Re italici, degli Ottoni), molte altre posteriori, create da sovrani del Sacro Romano Impero (includente il Regno d'Italia), ovvero da principi ecclesiastici, come il Patriarca d'Aquileia, o laici come la Repubblica Veneta.

Concorrono poi a formarla i nobili creati da vari sovrani e principi senza che al titolo corrispondesse un potere effettivo; è il caso dei comites palatini, cui spettavano solo mansioni e preminenze onorifiche. Frequenti già nel Quattrocento, tali attribuzioni di titoli si moltiplicarono nel Sei-Settecento.

Le città e i borghi più importanti erano retti da un Consiglio, cui venne in tempi diversi riconosciuto un carattere nobiliare: vi è quindi una nobiltà cittadina, a sua volta di varia origine e composizione.

Per i titolari del Patriziato Veneto, invece, uno dei fondamenti basilari era l'uguaglianza assoluta di tutti i membri, anche se, di fatto, le differenze, nell'ambito della classe patrizia, erano enormi.

Ne consegue che ognuno poteva, almeno in linea teorica, diventare doge, procuratore di San Marco, savio del Collegio e il voto di un patrizio povero valeva quanto quello del più autorevole senatore. Riflesso di questo principio, o mito, dell'uguaglianza patrizia era il titolo riconosciuto ai patrizi, senza alcuna distinzione: quello di Nobilis Vir, Nobilis Homo, Nobiluomo.

In tutto il dominio della Repubblica di San Marco tale titolo, abbreviato in N.U., N.H. (N.D. per le donne), spettava solo a loro; esso designava le persone cui era riservato il potere politico. Da ciò il grande valore di quel titolo; esso abilitava alla partecipazione ai consigli sovrani, che amministravano la città e insieme l'intero Stato. Chi lo portava recava in sé una porzione di quella sovranità di cui ogni patrizio era partecipe, assieme agli altri membri del suo ceto. Ci sia permesso, a tal punto, ricordare che gli stemmi delle famiglie patrizie venete Bernardo, Capello, Foscari, Magno, Moro, Mula e Venier, caricano, fra le altre figure araldiche, il leone marciano, in varie positure e smalti.

Dopo la caduta della Repubblica, nel 1797, le varie dominazioni succedutesi e infine il Regno d'Italia hanno creato a loro volta nuove famiglie gentilizie, con la concessione di un titolo nobiliare e del relativo stemma.

Ne deriva che ogni famiglia nobile possiede un proprio stemma gentilizio. Ma se ad ogni famiglia nobile corrisponde necessariamente uno stemma, al contrario è da evidenziare che ad ogni stemma, non corrisponde necessariamente una famiglia nobile.

Infatti, e da secoli, esistono legalmente anche gli stemmi di “cittadinanza”, appannaggio questo riservato a famiglie notabili, ma che nulla hanno a che fare con la nobiltà; parimenti esistono anche gli stemmi di comunità o civici, ecclesiastici e militari, delle “arti” e “corporazioni” che nulla hanno a condividere sempre con il mondo gentilizio.

Da sfatare quindi la credenza che lo stemma sia solo e soltanto prerogativa nobiliare.

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