Araldica Ecclesiastica
di Giorgio Aldrighetti





LO STEMMA


STEMMA
di Sua Eccellenza Reverendissima mons.
ANGELO SCOLA
patriarca di VENEZIA
metropolita della provincia veneta
(prima di essere creato cardinale nel 2003)



IL LEONE MARCIANO

    Il leone fa parte dei quattro Viventi che il profeta Ezechiele così descrive nel Suo libro: “Il cinque del quarto mese dell'anno trentesimo, mentre mi trovavo fra i deportati sulle rive del Canale Chebàr, i cieli si aprirono ed ebbi visioni divine. Il cinque del mese - era l'anno quinto della deportazione del re Ioiachìn - la parola del Signore fu rivolta al sacerdote Ezechiele figlio di Buzì, nel paese dei Caldei, lungo il canale Chebàr. Qui fu sopra di lui la mano del Signore. Io guardavo ed ecco un uragano avanzare dal settentrione, una grande nube e un turbinio di fuoco, che splendeva tutto intorno, e in mezzo si scorgeva come un balenare di elettro incandescente. Al centro apparve la figura di quattro esseri animati, dei quali questo era l'aspetto: avevano sembianza umana e avevano ciascuno quattro facce e quattro ali. Le loro gambe erano diritte e gli zoccoli dei loro piedi erano come zoccoli dei piedi d'un vitello, splendenti come lucido bronzo. Sotto le ali, ai quattro lati, avevano mani d'uomo; tutti e quattro avevano le medesime sembianze e le proprie ali, e queste ali erano unite l'una all'altra. Mentre avanzavano, non si volgevano indietro, ma ciascuno andava diritto avanti a sé. Quanto alle loro fattezze, ognuno dei quattro aveva fattezze d'uomo; poi fattezze di leone a destra, fattezze di toro a sinistra e, ognuno dei quattro, fattezze d'aquila. Le loro ali erano spiegate verso l'alto; ciascuno aveva due ali che si toccavano e due che coprivano il corpo. Ciascuno si muoveva davanti a sé; andavano là dove lo spirito li dirigeva e, muovendosi, non si voltavano indietro. Tra quegli esseri si vedevano come carboni ardenti simili a torce che si muovevano in mezzo a loro. Il fuoco risplendeva e dal fuoco si sprigionavano bagliori. Gli esseri andavano e venivano come un baleno. Io guardavo quegli esseri ed ecco sul terreno una ruota al loro fianco, di tutti e quattro. Le ruote avevano l'aspetto e la struttura come di topazio e tutt'e quattro la medesima forma, il loro aspetto e la loro struttura era come di ruota in mezzo a un'altra ruota. Potevano muoversi in quattro direzioni, senza aver bisogno di voltare nel muoversi. La loro circonferenza era assai grande e i cerchi di tutt'e quattro erano pieni di occhi tutt'intorno. Quando quegli esseri viventi si muovevano, anche le ruote si muovevano accanto a loro e, quando gli esseri si alzavano da terra, anche le ruote si alzavano. Dovunque lo spirito le avesse spinte, le ruote andavano e ugualmente si alzavano, perché lo spirito dell'essere vivente era nelle ruote. Quando essi si muovevano, esse si muovevano; quando essi si fermavano, esse si fermavano e, quando essi si alzavano da terra, anche le ruote ugualmente si alzavano, perché lo spirito dell'essere vivente era nelle ruote. Al di sopra delle teste degli esseri viventi vi era una specie di firmamento, simile ad un cristallo splendente, disteso sopra le loro teste, e sotto il firmamento vi erano le loro ali distese, l'una di contro all'altra; ciascuno ne aveva due che gli coprivano il corpo. Quando essi si muovevano, io udivo il rombo delle ali, simile al rumore di grandi acque, come il tuono dell'Onnipotente, come il fragore della tempesta, come il tumulto d'un accampamento.

Quando poi si fermavano, ripiegavano le ali. Ci fu un rumore al di sopra del firmamento che era sulle loro teste. Sopra il firmamento che era sulle loro teste apparve come pietra di zaffiro in forma di trono e su questa specie di trono, in alto, una figura dalle sembianze umane. Da ciò che sembrava essere dai fianchi in su, mi apparve splendido come l'elettro e da ciò che sembrava dai fianchi in giù, mi apparve come di fuoco. Era circondato da uno splendore il cui aspetto era simile a quello dell'arcobaleno nelle nubi in un giorno di pioggia. Tale mi apparve l'aspetto della gloria del Signore. Quando la vidi, caddi con la faccia a terra e udii la voce di uno che parlava”. 16)

La visione che San Giovanni descrive mirabilmente nell'enigmatico libro dell'Apocalisse è conseguente alla visione di Ezechiele, di cui ricalca numerosi elementi ed il leone è il primo Vivente ad essere descritto:

“Dopo ciò ebbi una visione: una porta era aperta nel cielo. La voce che prima avevo udito parlarmi come una tromba diceva: Sali quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito. Subito fui rapito in estasi. Ed ecco, c'era un trono nel cielo, e sul trono uno stava seduto. Colui che stava seduto era simile nell'aspetto a diaspro e cornalina. Un arcobaleno simile a smeraldo avvolgeva il trono. Attorno al trono, poi, c'erano ventiquattro seggi e sui seggi stavano seduti ventiquattro vegliardi avvolti in candide vesti con corone d'oro sul capo. Dal trono uscivano lampi, voci e tuoni; sette lampade accese ardevano davanti al trono, simbolo dei sette spiriti di Dio. Davanti al trono vi era come un mare trasparente simile a cristallo. In mezzo al trono e intorno al trono vi erano quattro esseri viventi pieni d'occhi davanti e di dietro. Il primo vivente era simile a un leone, il secondo essere vivente aveva l'aspetto di un vitello, il terzo vivente, aveva l'aspetto d'uomo, il quarto vivente era simile a un'aquila mentre vola. I quattro esseri viventi hanno ciascuno sei ali, intorno e dentro sono costellati di occhi; giorno e notte non cessano di ripetere: Santo, santo, santo il Signore Dio, l'Onnipotente, Colui che era, che è e che viene!

E ogni volta che questi esseri viventi rendevano gloria, onore e grazie a Colui che è seduto sul trono e che vive nei secoli dei secoli, i ventiquattro vegliardi si prostravano davanti a Colui che siede sul trono e adoravano Colui che vive nei secoli dei secoli e gettavano le loro corone davanti al trono, dicendo: Tu sei degno, o Signore e Dio nostro, di ricevere la gloria, l'onore e la potenza, perché tu hai creato tutte le cose, e per la tua volontà furono create e sussistono”. 17)

“Questi animali ricordano i Kâribu assiri (il cui nome corrisponde a quello dei cherubini dell'arca, cf. Es 25,18), esseri dalla testa umana, corpo di leone, zampe di toro e ali d'aquila, le cui statue custodivano i palazzi di Babilonia. Questi servi di dei pagani sono qui legati al carro del Dio di Israele: vivace espressione della trascendenza di Jahvè”. 18)

Queste quattro presenze cardinali costituiscono quindi i supporti mobili della vita della volta celeste, le assise del trono prestigioso della Maestà Divina.

“Si riconosce la cosmografia degli antichi: la volta trasparente e solida del firmamento, il trono divino posto al di sopra della volta nel punto più alto, cioè nel polo. La stessa campana celeste si regge sulle quattro costellazioni cardinali della banda zodiacale: il Toro, il Leone, l'Uomo e l'Aquila che i nostri vecchi testi citano più spesso che il vicino Scorpione. La tradizionale simbologia mesopotamica del Dio dell'universo rivela la sua ampiezza. Ezechiele a sua volta la riprende anche se, con la sovrana libertà dei profeti di Iahvè, la piega secondo la necessità del suo messaggio”. 19)

“Si tratta evidentemente dell'analogia tradizionale tra le quattro figure in questione e i segni zodiacali del cielo delle stelle fisse, che sono il toro, il leone, lo scorpione e l'acquario (i segni mediani relativi alle quattro stagioni). Lo scorpione succede all'aquila, l'acquario al toro. Inoltre i quattro Evangelisti verranno posti in relazione con i quattro Cherubini, gli angeli che circondano il trono divino; a partire dal V secolo risulta comune l'identificazione col tetramorfo chiaramente legata all'influsso delle dottrine astrologiche”. 20)

Motivo di riflessione anche il seguente accostamento tra i quattro Viventi, le tribù d'Israele e il nome divino:

“Le dodici tribù d'Israele sono state spesso messe in rapporto con i dodici segni dello zodiaco che il sole percorre in un anno. Il campo ebreo è un cosmo sacralizzato; è orientato verso est come sarà il tempio di Gerusalemme, il tempio di pietra che rimpiazzerà quello mobile provvisorio dell'Esodo che ne costituiva la prefigurazione. La disposizione fondamentale delle dodici tribù raccolte in quadrato, tre per tre ad ogni punto cardinale, rimarrà nella pianta del tempio ideale immaginato da Ezechiele, e infine nella Gerusalemme celeste descritta da san Giovanni nell'Apocalisse; è quest'ultima che appare in nuce, ridotta alla sua più semplice espressione nella disposizione dei quattro Viventi che circondano il trono dell'Eterno, nella grande visione inaugurale del capitolo IV. A questo punto siamo pronti ad addentrarci più in profondità nel simbolismo di questa disposizione. Vedremo che essa è in rapporto con il carro divino di cui molte religioni hanno fatto il trono della divinità e il punto cosmico in cui si uniscono le peculiarità delle quattro direzioni cardinali. Ezechiele riuscirà ad introdurre anch'egli nel suo libro il concetto di carro di Iahvè che è necessario illuminare con la simbologia giudaica. Date le analogie che legano lo zodiaco alle dodici tribù d'Israele, sarà interessante apprendere da un targoum dello Pseudo-Gionata che le tribù si raggruppavano per tre sotto lo stesso emblema. C'erano, dunque, quattro emblemi che erano precisamente quelli del tetramorfo: Issachar, Zabulon, Giuda: leone; Ruben, Simeone, Gad: uomo; Efraim, Manasse, Beniamino: toro; Dan, Aser, Neftali: aquila (...) La tradizione giudaica fa corrispondere a ciascuno di essi le quattro lettere del nome divino [YHVH]: Y corrisponde all'uomo; H al leone; V al toro e la seconda H all'aquila. Questo carro simboleggia le azioni divine nel mondo, è un'altra espressione della rivelazione naturale o cosmica, la Volontà del Verbo che agisce sul mondo sensibile come sul mondo soprannaturale; essa determina e mantiene ogni cosa (Hani). Ritroviamo dunque nell'ordine della simbologia giudaica ciò che abbiamo già largamente riscontrato nell'ordine dei grandi simboli naturali: il rapporto costante e naturale fra l'uno trascendente (YHVH, il polo celeste) e la quaterna della sua manifestazione e azione nel mondo creato”. 21)

Sant'Ireneo, (sec. II) per primo, interpreta i quattro Viventi con un accostamento tutto personale. Per Lui il leone simboleggia l'Evangelista San Giovanni, il vitello San Luca, l'uomo San Matteo e l'aquila San Marco. 22)

Lo stesso “ha ampiamente trattato le qualità specifiche dei simboli degli Evangelisti confrontandoli con il tetramorfo, non ha però discusso in dettaglio la questione, occupandosi solo del quadruplice senso del Vangelo: il leone esprime la qualità regale, il bue il sacrificio, l'uomo l'incarnazione e l'aquila il pneuma divino che sorregge la chiesa”. 23)

“L'interpretazione che Sant'Ireneo ha dato del tetramorfo e che la Chiesa ha fatto sua, si colloca nella stessa prospettiva sul prolungamento di questa linea. Nella misteriosa apparizione dispiegatasi dal cielo semiaperto, in mezzo ai quattro Viventi, Ireneo riferendosi ai simboli tradizionali dell'universo nell'antichità ha riconosciuto la manifestazione universale di Dio agli uomini accorti, essendo quella la figura dell'annuncio di Cristo al mondo attraverso i quattro Vangeli. «Non è ammissibile - egli spiega - che ci siano più di quattro vangeli o meno di quattro perché sono quattro le regioni del mondo in cui viviamo, e quattro i venti ai quattro punti cardinali... Da ciò si deduce che il Cristo artefice dell'universo, Lui che è seduto sui cherubini (i Viventi della visione) e che mantiene tutto unito, una volta manifestato agli uomini, ci ha dato il Vangelo in quattro forme pur esprimendo un solo Spirito... i cherubini hanno effettivamente quattro figure (leone, toro, aquila, uomo) che sono le immagini dell'attività del Figlio di Dio». Ireneo espone successivamente il gemellaggio degli evangelisti con i Viventi; evidentemente, esso non può che essere arbitrario e rivestire in realtà un certo interesse solo per quanto riguarda l'iconografia; dopo una leggera modificazione, questo gemellaggio si è perpetuato attraverso le epoche, fino a noi. L'aquila fu attribuita a Giovanni, il toro a Luca, il leone a Marco e l'angelo-uomo a Matteo.

Un bel testo d'Ippolito di Roma, morto martire nel 235, opera la sintesi di quanto detto con la simbologia dei fiumi del Paradiso. Eden è il nome del nuovo giardino di delizie... Scorre nel giardino un fiume d'acqua inesauribile. Quattro fiumi ne sgorgano, che irrorano tutta la terra. Così è della Chiesa. Cristo che è il fiume è annunciato al mondo dai quattro vangeli (Comment. Daniele 1,17). L'immagine del mondo ereditata dall'antichità è diventata l'immagine cristiana del cosmo evangelizzato. Questo mondo emana da Cristo artigiano dell'universo, centro della nuova creazione, seduto su un trono circondato dai quattro Viventi, orientato verso i quattro punti cardinali simboleggianti la diffusione del messaggio dei quattro evangelisti nei quattro angoli del mondo”. 24)

San Girolamo (sec. IV), da cui nasce tutta la tradizione sulle interpretazioni dei quattro Viventi, assegna infatti a San Giovanni l'aquila, per l'acutezza teologica del linguaggio, a San Matteo l'uomo perché inizia il Suo Vangelo con la genealogia di Cristo, a San Luca il vitello perché il Vangelo inizia con il sacrificio al tempio di Zaccaria, padre di San Giovanni il Battista e a San Marco il leone perché il Suo Vangelo inizia con le tentazioni di Gesù nel deserto. 25)

“Il pensiero teologico occidentale, spogliando le immagini del loro valore di parabola orientale, vide in quei simboli la personificazione di determinate idee, li trasformò in geni ispiratori e ben presto in intermediari fra Dio e gli evangelisti, ai quali avrebbero suggerito il significato teologico celato in ciascun Vangelo. San Gregorio (+ 604) scrive al riguardo: Quegli animali si attagliano perfettamente ai quattro evangelisti, poiché il primo ha descritto la nascita di Cristo secondo la natura umana; l'altro la purezza dell'offerta del sacrificio, rappresentata dal toro, abituale vittima dei sacrifici; il terzo la sua forza e la sua potenza, simboleggiante dal ruggito del leone; il quarto la nascita eterna del Verbo: come l'aquila è capace di fissare il sole nascente. Lo stesso autore aggiunge: «Questi animali possono raffigurare anche il Salvatore stesso, che ha preso la nostra natura; si è fatto sgozzare come le vittime d'un tempo; leone terribile, con la sua potenza ha infranto i legami della morte; infine, come l'aquila si è innalzato nei cieli con la sua ascensione». Proseguendo sull'abbrivio, gli esegeti addomesticheranno la Bibbia simulando che i contenuti teologici da essi dedottine vi siano stati introdotti dai misteriosi intermediari fra Dio e i Vangeli.

Su di una vetrata della cattedrale di Brou si può vedere la marcia trionfale del Salvatore: il suo carro è tirato dagli animali del tetramorfo; essi svolgono dunque un ruolo attivo nella glorificazione di Cristo! Bossuet andrà ancora più lontano: Con questi quattro animali - afferma - si possono intendere i quattro evangelisti...; ma negli evangelisti, principali scrittori del Nuovo Testamento, sono compresi tutti gli apostoli e tutti i santi dottori che hanno illuminato la Chiesa con i loro scritti... Nei quattro animali si manifestano quattro qualità principali dei santi: nel leone, il coraggio e la forza; nel bue, che porta il giogo, la docilità e la pazienza; nell'uomo, la saggezza; nell'aquila, l'elevatezza dei pensieri e dei desideri. Ed ecco che il tetramorfo, di cui Bossuet vorrebbe fare lo strumento del quale Dio si sarebbe servito per foggiare la Chiesa Cattolica, finisce per diventare qui niente più che il simbolo di qualche virtù cristiana.

Ci si accosta di più al vero senso simbolico del quadruplice segno dicendo che l'uomo di Matteo parla d'incarnazione, il leone di Marco evoca la potenza e la regalità di Cristo, il toro ne ricorda il sacrificio, ma anche l'unicità del suo sacerdozio, più alto di quello del Grande Sacerdote; l'aquila, infine, allude all'interpretazione dello Spirito Santo. Questa lettura appartiene a un antichissimo documento bizantino, che si premura di aggiungere che il tiro a quattro dev'essere unito per poter tirare la quadriga divina, come dire che vi è una profonda unità fra i Vangeli.

Quanto alle diverse rappresentazioni del tetramorfo, si nota che da principio e per molto tempo ancora gli evangelisti sono raffigurati con il relativo libro sulle ginocchia, su di un leggio o su di una tavola; hanno la penna in mano, mentre al loro fianco appare il rispettivo simbolo, che è semplicemente un uomo, un leone, un toro o un'aquila. I simboli hanno un valore meramente denotativo, permettendo di sapere di quale evangelista si tratti. Dotandoli di ali, dopo aver riletto le visioni di Ezechiele e dell'Apocalisse (è così che l'uomo di Matteo diventa un angelo), fu conferita loro una specifica personalità; divennero messaggeri divini, e come tali furono rapidamente dotati di un nimbo. Lo riscontriamo già in testimonianze sparse del V secolo, per esempio in un mosaico dell'arco di San Paolo sulla via d'Ostia. Ma la frequenza maggiore si ha nel VI secolo, come in San Vitale a Ravenna. In generale anche gli evangelisti sono aureolati, eccezion fatta per San Giovanni, che non reca l'aureola, mentre l'aquila sì, fino al XIII secolo, significando l'umiltà di colui che non volle che il suo nome apparisse nel suo Vangelo.

La presenza di un personaggio cui veniva attribuita tale importanza a lato di ogni evangelista divenne ingombrante per il pensiero teologico cristiano. Due intermediari fra Dio e la sua parola scritta erano troppi. Per riguadagnare una certa unità, fu rivalutata l'idea di un segno puramente denotativo, sopprimendo le ali dei quattro simboli. Il tentativo di unire il simbolo e il personaggio da esso rappresentato diede luogo alla sostituzione della testa dell'evangelista con quella del proprio simbolo, generando la mostruosità di personaggi umani con la testa di leone, di toro o d'aquila, ma si trattò semplicemente di una moda effimera. Venne quindi soppresso l'evangelista, ritenendo sufficiente lasciare solo l'emblema. Tuttavia questo recuperò le ali, che implicano l'idea del soprannaturale, e riguadagnò l'aureola. Ma presto l'aureola fu di nuovo soppressa, mentre fra le mani o fra le zampe compariva il libro del vangelo, poi ridottosi a una striscia e quindi soppresso anch'esso. È in questo modo che si giunge al tetramorfo scolpito nel timpano del vestibolo centrale di molte cattedrali del XIII secolo: i quattro simboli alati circondano Cristo assiso in una mandorla.

La figura significa: ecco che vi accoglie il Cristo dei Vangeli, non il Cristo d'una leggenda o d'una filosofia”. 26)

E il poeta cristiano Celio Sedulio (sec. V) esprimerà con questo verso l'interpretazione di San Girolamo per quanto attiene San Marco: “Marcus ut alta fremit vox per deserta leonis”. Ricordiamo inoltre che: “i quattro simboli degli Evangelisti furono posti in relazione con i quattro grandi profeti dell'Antico Testamento (Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele) e con i dottori e i padri della Chiesa (Agostino, Ambrogio, Gerolamo e Gregorio Magno). Senza alcun dubbio la scelta della maestà, della forza, della vista e della mobilità risale, nelle creature in cui sono personificate (leone, toro, aquila, angelo), a temi antichissimi. Tradizionale è infatti la correlazione con le quattro virtù cardinali: Prudenza, Fortezza, Giustizia e Temperanza. La rappresentazione simbolica degli Evangelisti nella figura di quattro filosofi romani togati con libro e leggio, diviene usuale già nel primo medioevo. In altri testi i Vangeli vengono posti in relazione con i quattro fiumi del paradiso”. 27)

La scritta PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS, che appare nel libro aperto sostenuto dal leone marciano, trae origine dalla leggenda secondo la quale quando l'evangelista Marco ebbe, per incarico di San Pietro, evangelizzato Aquileia, nel tornare a Roma una tempesta sospinse la sua nave nella laguna di Venezia, facendola incagliare proprio nella sabbia delle solinghe ed ancora disabitate isole di Rialto.

L'evangelista, scampato alla furia dei marosi e dei venti, scese a terra e si addormentò. Gli apparve in sogno un angelo del Signore, che gli disse: PAX TIBI MARCE, EVANGELISTA MEUS, HIC REQUIESCET CORPUS TUUM... Pace a te Marco, mio evangelista, e sappi che qui un giorno riposerà il tuo corpo. Ti sta davanti un'ancor lunga via, o evangelista di Dio, e molte fatiche dovrai sopportare nel nome di Cristo. Ma dopo la tua morte il popolo credente che abiterà questa terra edificherà in questo luogo una città meravigliosa e si paleserà degno di possedere il tuo corpo... . 28)

“La Repubblica di Venezia usò sui suoi stendardi, nei secoli XII e XIII, l'immagine di san Marco (la prima citazione è del 24 luglio 1177), cui venne a sostituirsi il simbolo dello stesso santo, in forma leonina, nei primi anni del secolo XIV. Il leone fu dapprima piccolo, di forma rozza, ora intiero ora a mezzo corpo, di color rosso in campo bianco. Solo verso il mezzo del secolo cominciò a comparire la bandiera di campo rosso (più visibile in mare) e il leone, divenuto d'oro, andò perfezionandosi nel disegno. La Serenissima però non codificò mai ufficialmente la sua araldica, sì che leone e bandiera furono rappresentati in modo assai vario, fino alla loro scomparsa, avvenuta nel maggio del 1797”. 29)

Ricordiamo, infine, che l'insegna araldica del Patriarcato di Venezia è : “d'argento al leone alato di San Marco, al naturale, col libro”, 30) mentre i patriarchi veneziani la caricano al capo dei loro scudi; specie nel passato, i vescovi originari di Venezia o del Triveneto caricavano, invece, nei loro stemmi il capo di San Marco “di rosso al leone marciano passante col libro, il tutto d'oro”.

Come l'uomo, così il simbolo è anche ciò che è stato per essere autenticamente ciò che sarà. Necessita quindi fare memoria e speranza di questa sorgente ricchissima e inesausta, a cui è possibile attingere ancora per il nostro oggi.

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1) Catechismo della Chiesa Cattolica, Città del Vaticano 1999, p. 335.

2) P. F. degli UBERTI, Gli Stemmi Araldici dei Papi degli Anni Santi, Ed. Piemme, s. d.

3) da L'Osservatore Romano, 31 marzo 1969.

4) L'insigne araldista Sua Ecc. za Rev. ma mons. Bruno Bernard Heim per lo stemma patriarcale così recita: “I patriarchi ornano il loro scudo con un cappello di color verde dal quale scendono due cordoni pure verdi che terminano in quindici fiocchi verdi per ciascun lato”.

B. B. Heim, L'Araldica della Chiesa Cattolica, origini, usi, legislazione, Città del Vaticano 2000, p. 106.

5) G. Crollalanza (di), Enciclopedia araldico-cavalleresca, Pisa 1886, p. 28, voce Al naturale.

6) M. LURKER, Dizionario delle Immagini e dei Simboli Biblici, Cinisello Balsamo (Milano) 1990, pp. 130-131, voce Nave.

7) G. C. Bascapè – M. Del Piazzo, con la collaborazione di L. Borgia, Insegne e simboli. Araldica pubblica e privata medioevale e moderna, Roma 1983, p.14.

8) M. LURKER, Dizionario delle Immagini e dei Simboli Biblici, cit., pp. 64-66, voce Croce.

9) G. Crollalanza (di), Enciclopedia araldico-cavalleresca, , cit., p. 561, voce Stella.

10) P. GUELFI CAMAJANI, Dizionario Araldico, Milano 1940, pp. 521-522, voce Stella.

11) M. LURKER, Dizionario delle Immagini e dei Simboli Biblici, cit., pp. 203-204, voce Stella del mattino.

12) Ibidem, pp. 204-205, voce Stelle.

13) “The use of the hexagram as an alchemical symbol denoting the harmony between the antagonistic elements of water and fire became current in the later 17th century, but this had no influence in Jewish circles. Many alchemists, too, began calling in the shield of David (traceable since 1724). But another symbolism sprang up in Kabbalistic circles, where the 'shield of David' became the 'shield of the son of David', the Messiah”. (Encyclopaedia Judaica, Gerusalemme 1971, vol. 11, p. 696, voce Magen David).

14) M. LURKER, Dizionario delle Immagini e dei Simboli Biblici, cit., p. 205, voce Stelle.

15) Ibidem, pp.122-123, voce Mare.

16) Ez 1,1-28.

17) Ap 4,1-11. 18) La Bibbia di Gerusalemme, Bologna 1974, p. 1826, (nota a Ez 1,10).

19) G. De Champeaux – S. Sterckx, I simboli del medio evo, Milano 1981, p. 444.

20) H. Biedermann, Enciclopedia dei simboli, Milano 1991, p. 175.

21) G. De Champeaux – S. Sterckx, I simboli del medio evo, cit., p. 443.

22) Adv. Haer. III, 11,8.

23) H. Biedermann, Enciclopedia dei simboli, cit., p. 176.

24) G. De Champeaux - S. Sterckx, I simboli del medio evo, cit., pp. 443-444.

25) Comm. in Mt, Prol.
Comm. in Ez 7 ss.

26) E. Urech, Dizionario dei Simboli Cristiani, Roma 1995, pp. 247-249.

27) H. Biedermann, Enciclopedia dei simboli, cit., p. 176.

28) G. Aldrighetti – M. De Biasi, Il Gonfalone di San Marco, Venezia 1998, p. 38.
G. Aldrighetti, Il Leone di San Marco, Venezia 1995.

29) G. C. Bascapè – M. Del Piazzo, Insegne e simboli. Araldica pubblica e privata medioevale e moderna, cit., p. 460.

30) Ibidem, p. 338.

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Ideazione, blasonatura ed esegesi a cura dell'araldista Giorgio Aldrighetti, socio ordinario dell'Istituto Araldico Genealogico Italiano.

Bozzetti araldici a cura del blasonista Sandro Nordio.

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