Araldica Civica
di Giorgio Aldrighetti





    Per la bandiera, invece, la Commissione di esperti si era pronunciata “favorevole per lo stendardo nautico usato dalla Veneta repubblica, il Leone d'oro andante in campo rosso”, 44) ma la Giunta propose di adottare come bandiera del Comune di Venezia “la bandiera tricolore nazionale in tre campi, verde all'asta, bianco in mezzo e rosso all'aria. Per tutto il campo verde in larghezza e per un terzo della sua altezza verrà inquartato un Leone d'oro passante con libro e spada in campo rosso”. 45)

Anche tale proposta venne approvata dal Consiglio comunale a maggioranza.

Per tale bandiera, nel 1886, l'araldista Cecchetti scrisse che il Commissario del Re presso la Consulta araldica, con nota del 5 gennaio 1886, riteneva il vessillo scelto dal comune di Venezia “irregolare, per riguardo all'arte araldica, e vizioso, relativamente all'estetica e faceva voti che per la regolarità e per la bellezza del simbolo, vi si introducano modificazioni consone alle buone regole dell'araldica, concordi coll'estetica, ed improntate allo studio ed alle risultanze dei monumenti e delle tradizioni”. 46)

Venne, di conseguenza, nominata un'altra Commissione “coll'incarico di studiare l'argomento nei riguardi storici ed artistici e di fornire così elementi sicuri per le proposte da presentare al Consiglio comunale”, 47) ma nessun provvedimento venne nel tempo preso.

Nel 1933, per simboleggiare l'indissolubile unione degli enti territoriali con il regime fascista, venne previsto negli stemmi civici il capo del littorio con il R.D. 24 ottobre 1933, n. 1440, che così recita: “di rosso (porpora) al fascio littorio d'oro, circondato da due rami di quercia e di alloro, annodati da un nastro dai colori nazionali”.

Ricordiamo, a tal fine, che il capo, araldicamente è una pezza onorevole, a larga fascia, che occupa la terza parte superiore dello scudo.

Per adeguarsi alle nuove norme araldiche il Podestà di Venezia, il 12 settembre 1938 rivolse, di conseguenza, istanza al Capo del Governo al fine di ottenere il riconoscimento, con il previsto capo del Littorio, dello stemma, del sigillo, del gonfalone e della bandiera civica.

Il successivo 1° maggio 1942 vedrà la luce il Decreto del Capo del Governo, concessivo degli emblemi, che così recita:

1) Spettare alla Città di Venezia il diritto di fare uso dello stemma, del sigillo, del gonfalone e della bandiera, descritti come appresso:

STEMMA: D'azzurro al leone d'oro, posto in maestà (in “moleca”, ossia a guisa di granchio), alato e nimbato d'oro, tenente fra gli artigli il libro aperto dell'Evangelo su cui sta scritto, a lettere nere, il motto: “Pax tibi Marce Evangelista meus”.
Capo del Littorio; di rosso (porpora) al Fascio Littorio d'oro circondato da due rami di quercia e d'alloro annodati da un nastro dai colori nazionali. Lo scudo, di forma veneta, sarà cimato del corno dogale cinto da corona a fioroni.

SIGILLO: Il leone di S. Marco dello stemma affiancato da due fasci littori, con la leggenda “Città di Venezia”.

GONFALONE: Drappo di colore rosso, seminato di stelle d'oro, al leone di S. Marco passante d'oro, con le zampe anteriori, di cui la destra con il libro dell'Evangelo, poggianti sulla terra, da cui si erge una fortezza e con le posteriori nell'acqua. Intorno al drappo una bordura con fregi d'oro e immagini sacre rappresentanti i quattro evangelisti, l'Annunciazione e la Sacra Colomba. Il drappo terminerà con sei code ornate di simboli di guerra.

BANDIERA: Drappo interzato in palo, di verde, di bianco e di rosso col campo verde caricato di un quadrato rosso al leone di S. Marco d'oro passante.

2) Doversi prendere nota del presente provvedimento nel Libro Araldico degli Enti Morali.

Roma, addì 1° maggio 1942 XX. 48)

Il Capo del Littorio verrà poi abolito con il Decreto Legislativo Luogotenenziale, 26 ottobre 1944, n. 313. Ma molti Enti, tra i quali il comune di Venezia, ignorando probabilmente l'esistenza di tale Decretotivo Luogotenenziale, hanno tolto, alla caduta del fascismo, solo “il fascio littorio d'oro, circondato da due rami di quercia e di alloro, annodati da un nastro dei colori nazionali”, mantenendo invece il capo di rosso, ritenendo, a torto, che tale pezza appartenesse, invece, all'arme dell'Ente e non all'emblema araldico del fascismo.

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